il collocamento pubblico e' licenziato



 
il manifesto - 12 Aprile 2002 
 
Art.18 e non solo...
Il collocamento pubblico è licenziato 
Il governo vara la riforma del collocamento pubblico: abolite le liste e il
libretto di lavoro, cambia lo stato di disoccupato, si restringono i
diritti per i licenziamenti collettivi. Per il ministro Maroni è un passo
importante. Il testo è molto simile a quello che aveva presentato Cesare
Salvi al tempo del centro sinistra
PAOLO ANDRUCCIOLI
Il consiglio dei ministri ha varato ieri il decreto legislativo che riforma
il collocamento pubblico. Le maggiori novità riguardano la fine delle liste
- salvo alcune eccezioni - l'introduzione della chiamata diretta per tutti,
con relativa assunzione diretta (senza passare cioè dal collocamento
stesso), la modifica dello stato di disoccupato, più tutta un'altra serie
di norme che cambiano radicalmente il sistema di reclutamento finora in
vigore. E' in pratica il superamento del collocamento pubblico come lo
abbiamo conosciuto negli ultimi trent'anni ed è anche una riforma che, pur
essendo attesa da tempo, cade in un momento di massima destrutturazione dei
meccanismi che regolano tutto il mercato del lavoro. Il decreto dovrà
essere convertito in legge e quindi dal varo di ieri a palazzo Chigi alla
riforma effettiva passeranno altri mesi. Se sarà trasformato in legge, non
avremo più le liste di collocamento, né il libretto di lavoro, che sarà
sostituito da una scheda professionale con dati sul percorso lavorativo
degli individui, dati che saranno inseriti in un nuovo Sistema informativo
del lavoro (Sil). Rimarranno però quattro tipi di liste pubbliche di
collocamento: quella dei lavoratori in «mobilità», quella della gente di
mare, quella dei disabili e infine quella dei lavoratori dello spettacolo.
Il collocamento pubblico rimarrà in vita solo per loro.

Tutti gli altri dovranno regolarsi diversamente. Chi cercherà lavoro o ha
intenzione di cambiare il proprio, verrà iscritto a un elenco anagrafico
che non si baserà più sulla permanenza nelle liste pubbliche nello stato di
disoccupato. Non conterà più nulla cioè da quanto tempo un disoccupato è
iscritto alla nuova anagrafe e non ci saranno quindi più né graduatorie, né
punteggi, dato che tra l'altro l'assunzione sarà diretta, cosa che
favorisce prima di tutto le aziende. Saranno infatti le imprese a
scegliersi le persone da assumere senza dover rispettare guaduatorie o
obbighi di legge (anche se rimangono le normative sulle persone
handicappate). Le imprese che decideranno di assumere qualcuno dovranno
solo comunicare la loro scelta agli enti competenti.

Cambia la definizione teorica di disoccupato. Con questo termine si
intenderà una persona priva di lavoro che sia «immediatamente disponibile
allo svolgimento o alla ricerca di una attività lavorativa». Un disoccupato
di «lunga durata» sarà considerato colui/colei che risultano alla ricerca
di occupazione da più di 12 mesi (periodo che si abbassa a sei mesi per i
giovani con meno di 25 anni). Oltre al superamento delle liste e della
chiamata attraverso gli uffici pubblici, viene anche modificato il rapporto
tra Stato e regioni, dato che saranno queste ultime a stabilire i modi di
verifica e di accertamento dello stato di disoccupazione. Vengono
programmati anche specifici percorsi di orientamento che saranno curati dai
servizi per l'impiego. Attraverso colloqui e interviste si cercherà di
favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Ma a quanto sembra non
si tratta di una difesa di un piccolo spazio e di un ruolo per il pubblico
quanto di una pia intenzione. La realtà dei fatti spinge infatti sempre di
più verso una completa privatizzazione del mercato del lavoro. Domanda e
offerta si incontreranno nel mercato stesso, dato che con la legge delega
in discussione al senato e con lo sviluppo massiccio delle aziende
interinali e delle future agenzie del lavoro sarà il mercato stesso a
determinare il mercato. Lo Stato si eclissa anche in questo campo. E non
sono affatto casuali molte dichiarazioni di esponenti della maggioranza di
governo che mettono l'accento sul carattere di ulteriore deregulation di
questo provvedimento.

La riforma stabilisce poi anche altre due o tre cosette che fanno da
pendant alle deleghe in discussione nel senso della flessibilizzazione e
precarizzazione dei rapporti di lavoro. Si perderà per esempio lo stato di
disoccupato se si rifiuteranno iniziative formative o una congrua offerta
di lavoro a tempo pieno e indeterminato, o anche un lavoro a termine
superiore a 8 mesi. Inoltre verrà anche limitato il diritto di precedenza
nella riassunzione presso la medesima azienda in caso di licenziamento
collettivo. Oggi questo diritto alla riassunzione vale per un anno. Con la
riforma varrà solo sei mesi. Una norma che sembra andare in una direzione
opposta a quella che si è scelta in Francia.

Si dovrà ora chiarire bene la portata di questo provvedimento. Ieri
Giuseppe Casadio, della segreteria nazionale della Cgil, ha detto che una
riforma del genere è già in ritardo di oltre un anno. La situazione del
collocamento in Italia era diventata infatti praticamente ingestibile e lo
stesso schema del decreto varato ieri dal governo di centro destra era
stato messo a punto dal governo di centro sinistra con il decreto di Cesare
Salvi. Si tratta ora di capire bene le differenze o le somiglianze dei due
testi. Quello che è già chiaro è che questa riforma del collocamento cade
in un momento molto diverso da quello che si era immaginato qualche mese
fa. Si smonta il ruolo del pubblico, si cerca di cancellare lo Statuto dei
lavorarori, si dà massimo spazio al privato creando una competizione tra
privati, ovvero tra le grandi aziende multinazionali del lavoro interinale
(che pensavano di aver conquistato il monopolio) e le future agenzie miste
del lavoro in cui si vuole perfino coinvolgere i sindacati nel ruolo di
selezionatori di manodopera. Quello che si prospetta dunque per ora, invece
di essere una razionalizzazione del pubblico, è sicuramente una
semplificazione del privato. Saranno le aziende ha scegliere praticamente
tutto o quasi.