ilva cornigliano 5 morti sospette



da repubblica di mercoledi 10 aprile 2002

  
10 Aprile 2002 
 
 
 
 
 
 

 La prima di Genova 
  
 
  I medici: "Un nesso quasi certo fra fabbrica e malattie" L'elenco delle
vittime sul tavolo del piemme Antonella Dragotto, il magistrato che
coordina gli accertamenti 
Cornigliano, inchiesta su 5 morti 

VINCENZO CURIA  

NEL CIMITERO delle «morti bianche» dell'ex Italsider ci sarebbero altre
cinque croci. Questo emerge dalle consulenze medicolegali che hanno
accertato un "nesso di causalità" nella misura del 99 per cento. Tutto è
partito dall'inchiesta sul decesso di Giuseppe Motta, l'operaio della
«Bundy» (ora «TI Group Automotive Systems»), di Busalla, morto a 58 anni di
mesotelioma ai polmoni per la sua pluridecennale esposizione a lavorazioni
a caldo di amianto e sui casi di carcinoma polmonare e di mesotelioma
accertati nello stabilimento di Cornigliano.
L'elenco delle vittime di questo terribile malanno, che non dà scampo, è
sul tavolo del piemme Antonella Dragotto, il magistrato che coordina gli
accertamenti. «Le persone morte per mesotelioma sono due» ricorda la
dottoressa Dragotto «Altre due sono state uccise dal carcinoma. I decessi
si sono susseguiti dal 1998 al 2001. Soltanto due ebbero come vittime
anziani, rispettivamente, di 76 e 75 anni. Quanto agli altri, avevano,
nell'ordine, poco più di cinquant'anni a testa. Non va dimenticato che un
operaio è deceduto per avere contratto l'asbestosi, una patologia che
colpisce quanti hanno contatti saltuari con l'amianto, e che un altro
dipendente dell'ex Italsider è fortunatamente ancora vivo perché la
malattia, anche se grave e pericolosa, è controllabile se scoperta in tempo
e se non ha danneggiato irrimediabilmente le pleure dei polmoni».
E' suscettibile di sviluppi questa inchiesta?
«Certamente. Il procedimento è sempre aperto. Non siamo ancora riusciti a
individuare eventuali responsabilità, violazioni della normativa
sull'antinfortunistica. Non si tratta di accertamenti facili. Nel corso
degli anni il personale viene spostato da un reparto all'altro. Non è
semplice ricostruire i trasferimenti».
Non può escludersi, quindi, che qualcuno dell'ex Italsider potrebbe finire
nel registro degli indagati....
«Proprio così. Ora come ora sono sotto accusa soltanto due ex dirigenti
della «Bundy», Angelo Mora (73 anni) e Francesco Balbi (62 anni),
nell'ordine amministratore e direttore di stabilimento nel decennio
19651975. Entrambi in relazione alla morte di Giuseppe Motta. In un primo
tempo l'ipotesi di accusa era di lesioni colpose, ma l'addebito è stato
trasformato poi in quello di omicidio colposo, dopo la morte dell'operaio,
avvenuta il 17 maggio dello scorso anno. Tutti e due sono stati informati
della conclusione delle indagini e hanno perciò una ventina di giorni di
tempo per chiedere di essere convocati per eventuali dichiarazioni».
Come pubblicato nella nostra edizione di ieri, Mora e Balbi sono assistiti
dall'avvocato Corrado Pagano. Quanto alla famiglia di Giuseppe Motta,
sappiamo che gli interessi della vedova (Maria Giovanna Buffa) - per ora,
tecnicamente parte offesa - sono curati dall'avvocato Giuliano Salernitano
e che non viene esclusa una composizione bonaria della «controversia», con
una transazione risarcitoria.
Sulla situazione salute all'ex Bundy, siamo venuti a conoscenza di un altro
caso di mesotelioma polmonare. Un altro operaio di 58 anni sarebbe stato
costretto a lasciare il lavoro, per avere contratto il terribile male, agli
inizi del 2001 e che lo stesso sarebbe ricoverato dall'estate scorsa presso
l'ospedale di Novi Ligure. Questa vicenda è protetta dal «top secret», ma
circola una voce secondo cui ci sarebbero già stati contatti con la
fabbrica di Busalla per avere un indennizzo.
Non sarà il primo caso, né l'ultimo. Si ha ragione di ritenere che le
domande di risarcimento per decessi da mesotelioma si susseguiranno senza
soluzione di continuità. Questa patologia - come ricordato dal piemme
Antonella Dragotto - è ormai considerata «malattia professionale»; i
parenti delle vittime si faranno perciò avanti, oltretutto anche per far sì
che aziende a rischio tutelino i lavoratori come prevede la legge.
Approntando misure di sicurezze, evitando turni prolungati sei settori di
lavorazioni a caldo dell'amianto e facendo sottoporre i dipendenti a
frequenti visite mediche.