web divergenze digitali



  
il manifesto - 06 Aprile 2002 
HIGHTECH
Il paradosso del gossip 
La fine della vecchia Internet e lo sviluppo della Rete, dove le imprese
cercano di colonizzare la comunicazione on line. «Divergenze digitali»,
l'ultimo libro di Franco Carlini
BENEDETTO VECCHI
Internet è morta, ma sulle sue ceneri si è sviluppata la Rete, una
ragnatela che avvolge il mondo, riflettendo le tensioni, i conflitti, gli
stili di vita, le strategie imprenditoriali che vivono al di fuori degli
schermi dei computer connessi tra loro. Il decesso del «vecchio» World Wide
Web è però da considersi un fenomeno «naturale» e non serve a nulla
rimpiangere il bel tempo antico in cui Internet era una terra di nessuno
che consentiva di vivere in libertà e offriva riparo da una realtà pervasa
da una logica mercantile che tende a ridurre tutto a merce. Questo
appartiene al passato e il presente ha bisogno di essere compreso,
analizzato, a partire da quella lenta, ma inesorabile colonizzazione da
parte della logica mercantile. Strumento idoneo a questa necessaria
«decodificazione» è la registrazione puntuale di ciò che accade. E' questo
il contesto in cui si inscrive il lavoro, oramai ventennale, di Franco
Carlini di indagine sull'industria informatica e non solo - da articoli
scritti per questo giornale a libri «pionieri» sull'«era digitale» - e, che
si arricchisce in questi giorni con il volume Divergenze digitali
(manifestolibri, pp. 195, 14,46 euro). Franco Carlini è una firma storica
di questo giornale, sin dalla sua fondazione quando, giovanissimo, cominciò
a scrivere per il manifesto da Genova. Una presenza costante che ha avuto
il merito di aprire il giornale alla riflessione sulla «grande
trasformazione» provocata dal personal computer. Un'attenzione che non è
mai venuta meno, come testimonia la pagina settimanale Chip&Salsa da lui
curata da orami un decennio. Analisi quindi serrata e conclusioni mai
avventate sui mutamenti work in progress del mondo dell'high-tech, sempre
fuggendo dalla tentazione di apodittiche affermazioni su questo o
quell'aspetto della «rivoluzione informatica». Una metodologia che viene
riproposta anche in Divergenze digitali.

Un libro che segnala quindi lo stato dell'arte della diffusione della Rete,
senza voler arrivare ad affrettate sintesi, né a nessuna proposta
«rivoluzionaria», ma che vuole offrire una asciutta ricognizione di una
realtà che non conosce punti di equilibrio, ma solo tendenze tra loro
conflittuali: dal commercio elettronico alla trasformazione di Internet in
una pervasiva televisione interattiva, dall'evoluzione del diritto d'autore
alla tesi che vede la «rete» come il medium della cosiddetta new economy.

La rete non è più quella di vent'anni o dieci anni fa. E' cresciuta in
termini di nodi, di connnessioni, di utenti, al punto che va considerata
davvero un «medium» globale, nonostante l'accesso a Internet continui a
essere precluso alla maggioranza della popolazione mondiale. Internet è
cioè diventato uno strumento di comunicazione alla portata di tutti, più o
meno come il telefono. E come valeva e vale per il telefono,
l'impossibilità o meno di avere un apparecchio in ogni casa dipende da
altri fattori - politici, economici, di potere - inerenti ai rapporti
sociali. La trasformazione di Internet in medium globale attiene quindi ai
rapporti di potere all'interno della società industriale e alla capacità
del capitalismo di presentarsi come un modello di società «universale». Una
delle prime conseguenze della trasformazione di Internet in una tecnologia
della comunicazione globale è l'uso che ne stanno facendo le imprese per
«fare affari». Questa è, afferma con ragione Franco Carlini, la novità
degli ultimi anni. Ciò non significa che i tentativi di usare Internet per
«commerciare» abbiano avuto successo. Al contrario solo una parte marginale
degli scambi economici avviene in Rete. Allo stesso tempo, i tentativi di
trasformare Internet in una televisione interattiva sono anch'essi segnati
da clamorosi insuccessi. Questo non significa che Internet non rappresenti
un mercato appettibile per le grandi corporation della comunicazione, come
segnalano, tra le altre cose, i massicci investimenti fatti dai colossi
dell'intrattenimento o la corsa a concentrazioni oligopoliste. Ma anche in
questo caso, secondo l'autore, possono essere considerate più delle
sperimentazioni che una tendenza vincente nella colonizzazione mercantile
della rete. Per Carlini, Internet è nata per «chiaccherare», e poco importa
se di cose futili o importanti. Da qui nasca la affermazione che la rete
sarà conquistata solo da chi sfrutterà questa sua caratteristica
«genetica». Ed è proprio su questo paradosso di Internet - gli investimenti
multimiliardari da parte delle multinazionali che incontrano l'indifferenza
degli oltre mezzo miliardo di uomini e donne che quotidianamente si
collegano a Internet solo per «chiaccherare» - che il volume si dilunga di
più. Partendo dalla nota vicenda di Napster. Nato come sito per scambiarsi
brani musicali da parte dei teenager americani, Napster è diventato il
nemico numero uno delle case discografiche Usa per la violazione dei
diritti d'autore. Ne è nata una causa giudiziaria che ha visto prevalere le
ragioni dei discografici. Ma da quando Napster è diventato a pagamento, le
connessioni sono crollate, mentre i siti a pagamento messi in piedi da
alcune case discografiche si sono rivelate un fallimento. Per Carlini
questa è la vicenda che meglio rappresenta lo «spirito» dominante nella
rete con il quale fare i conti: non si capisce perché bisogna pagare
qualcosa che ha a che fare con i gusti, le preferenze, quel piacere
conviviale di scambiarsi opinioni su questo o quello. Inoltre, scambiarsi
brani musicali non impedisce l'acquisto del cd del gruppo o del solista
preferito. Anzi, spesso è una forma indiretta di promozione, cioè di quel
«marketing virale» che sucita interesse. E' questa la nuova frontiera di
Internet, sia per le imprese che per chi è alieno dalla logica mercantile:
come garantire l'accesso e la gratuità Di Internet, chiedono politicamente
i libertari del cyberspazio. Come fare affari senza intaccare questa
preferenza per la gratuità espressa dai navigatori di Internet, si
domandano i manager più spregiudicati.

Questa parte del libro è sicuramente quella che più risente dell'attualità.
Da buon giornalista Carlini sa benisssino che quello che brilla al sole
oggi, può essere dimenticato domani. E tuttavia è indubitale che è in atto
una tendenza irreversibile a concentrare nella mani di pochi l'accesso alla
rete, la sua produzione di contenuti «immateriali», di software... Tendenza
che non viene smentita, ma anzi rafforzata dalla fioritura di imprese
basate su una buona idea, mentre il «surplus» prodotto dalla speculazione
finanziaria sembra essere un polmone inesauribile di denaro fresco per
spregiudicate operazioni di capital venture e start-up. Anche in questo
caso Carlini mette in guardia e invita a guardare alla struttura «profonda»
del capitalismo. Ma proprio guardando a quanto avviene nella new economy
questa predilizione verso la sola «struttura» fa perdere di vista il
labirinto delle soggettività, delle forme di vita, dei conflitti che
animano la new economy, ridiemensionando il fatto che le piccole e
dinamiche imprese high-tech sono il vettore dell'innovazione che si avvale
di una cooperazione sociale «in libertà vigilata».

Una impresa dot.com, così vengono chiamate le imprese operanti su Internet,
spesso produce solo idee, merci «immateriali», chiacchere. Non mettere in
rapporto ciò con i mutamenti proprietari avvenuti su Internet rischia di
far perdere la bussola anche al più smaliziato dei naviganti. Inoltre,
questo vociante atelier della cooperazione sociale che rende il diritto
d'autore la frontiera su cui si gioca il conflitto più aspro dell'era
digitale o dell'«era dell'accesso», come sostiene Jeremy Rifkin. Va detto
subito, e a scanso di equivoci, che l'analisi di Carlini sul diritto
d'autore e il diritto d'accesso è più convincente di quella dello studioso
americano. Da una parte il diritto d'autore e il diritto d'accesso sono
terreni di conflitto dentro e oltre lo schermo e non una tendenza lineare
governata dalle grandi multinazionali della conoscenza che incontra rare e
marginali opposizioni, come invece sostiene Rifkin. Ma il diritto d'autore
è lo strumento giuridico e quindi politico per «sussumere» la comunicazione
alla logica capitalista. Anche in questo caso Franco Carlini è cauto nel
tirare conclusioni. Riconosce che è questa la frontiera dove si gioca il
futuro della «nuova Internet», ma non vuole azzardare previsioni. Una
cautela che rinvia solamente a quella caratteristica «genetica» della Rete
che rifiuta la dimensione economica, da considerare quindi come l'unico
antidoto alla sua completa colonizzazione da parte delle imprese. Ma se il
diritto d'autore è il nodo che tutti cercano di sbrogliare, l'analisi della
struttura capitalistica deve arricchirsi dei conflitti che popolano il
mondo dentro e fuori lo schermo. Altra strada da percorrere non c'è
all'orizzonte. E Franco Carlini, da grande amante e conoscitore della
montagna, sa individuare i sentieri poco battuti. L'auspicio è che la
prossima tappa della sua ricognizione del World Wide Web contempli la
necessità di cominciare a tracciare quella mappa per uscire dal labirinto
della cooperazione sociale assoggettata alla logica capitalistica.