le pensioni dei desideri



dal manifesto

     
    
 
    
 

13 Marzo 2002 
  
 
  
Le pensioni dei desideri
Nella delega non viene previsto nulla in caso di crollo dei mercati
finanziari. Tutto l'opposto del famoso modello olandese che prevede invece
un sistema di garanzia 
PAOLO ANDRUCCIOLI 

Ggli aderenti ai fondi pensione negoziali, ovvero quelli dei sindacati di
categoria, hanno superato quest'anno gli aderenti ai cosiddetti fondi
preesistenti aziendali (vedi l'articolo qui sotto). I "fondi chiusi" sono
quindi al primo posto nella classifica generale della previdenza
complementare, anche se questo primato non vale per l'entità dei patrimoni:
i più ricchi, con circa 52 mila miliardi di lire, rimangono i vecchi fondi
aziendali costruiti da tanti anni, mentre gli altri fondi (i "negoziali" e
gli "aperti") sono giovanissimi, essendo operativi da due o tre anni. E
comunque non è detto che i primati di oggi rimangano invariati perché, in
campo previdenziale, sta per scoppiare un altro terremoto: la delega del
governo Berlusconi, infatti, oltre ad abbassare ulteriormente il grado di
copertura delle pensioni pubbliche ("il tasso di sostituzione"), introduce
un elemento che scompaginerà ulteriormente le carte: si vuole mettere tutti
sullo stesso piano, fondi chiusi, fondi aperti, il risparmio privato, il
risparmio collettivo, le assicurazioni, le banche e via dicendo. Gli
operatori temono l'avvio di una lunga fase di "concorrenza sleale" e di
mancanza di trasparenza, poiché oggi è vero che i lavoratori sono vincolati
per legge al loro fondo (almeno per 5 anni), ma è anche vero che i fondi
negoziali funzionano sulla base di precise regole e sono sottoposti a
controlli pubblici che non si estendono invece (almeno allo stesso modo)
agli altri strumenti previdenziali privati.
Il punto vero dello scontro riguarda il futuro dei soldi risparmiati dai
lavoratori, i loro rendimenti e il rischio della volatilità. E quindi, in
fondo, il futuro di tutte le nostre pensioni "integrative". La delega del
governo Berlusconi (meglio conosciuto con il governo del "Polo delle
libertà") parte dall'assunto che il lavoratore deve essere obbligato a
prendersi il rischio di esporre i suoi contributi pensionistici alle
tempeste cicliche della borsa. In questo contesto si evoca spesso il
"modello olandese". "In realtà - spiega il professor Marcello Messori,
docente all'università di Roma Tor Vergata e presidente del Mefop - è vero
che nei Paesi Bassi è obbligatorio iscriversi ai fondi pensione. Ma bisogna
anche specificare che in quei paesi i fondi si basano sul principio del
beneficio garantito. Il rischio viene bilanciato e in caso di perdita
dovuto ai negativi andamenti dei mercati finanziari devono essere le
imprese a intervenire per garantire comunque il patrimonio dei lavoratori".
Negli Usa tutto si gioca invece sul rischio puro, fino al caso estremo
della Enron. Nel Regno Unito non è obbligatorio per legge iscriversi a un
fondo, ma lo è nella prassi. Nei Paesi Bassi - modello che qui da noi
spesso si evoca appunto anche per le questioni del mercato del lavoro - i
rischi dei risparmiatori e dei lavoratori che accumulano negli anni i loro
contributi hanno un paracadute garantito. Ovvero il lavoratore, alla fine
della sua esperienza professionale, può anche non guadagnarci nulla, ma è
sicuro di poter contare almeno su quel capitale che ha risparmiato.
In Italia si rischia di passare invece di colpo da un sistema di pensioni
pubbliche garantite (anche se il grado di copertura è passato dall'80 al
60-55%) a un sistema che espone tutti al rischio, senza prevedere
paracadute. Si vuole lanciare il sistema dei fondi affidandolo solo al
mercato, senza prevedere interventi di bilanciamento, affidare insomma i
soldi alla lampada di Aladino. Nel panorama attuale solo le compagnie di
assicurazione promettono infatti un "beneficio garantito". Ma questa
"sicurezza" viene pagata a caro prezzo: i costi della gestione sono
enormemente più alti rispetto a qualsiasi altro strumento. Può succedere
quindi che per assicurarsi individualmente il gruzzolo finale, ci si perda
altrettanto (o almeno una parte consistente del risparmio) in costi, ovvero
in soldi regalati alle singole assicurazioni. Cosa che non può succedere
per i fondi chiusi di categoria che non garantiscono il beneficio finale,
ma hanno costi molto più bassi e sistemi di controllo più garantiti e
soprattutto collettivi.
I problemi da risolvere sono dunque ancora tanti e molto complessi. Quelli
più urgenti. Da una parte bisogna rispondere alla domanda: come possono
crearsi una pensione integrativa tutti quei lavoratori "intermittenti" che
caratterizzano il nuovo mercato del lavoro italiano e che quindi non hanno
un loro fondo "negoziale"? E seconda questione: per evitare la concorrenza
selvaggia, gettando tutti nelle mani delle Assicurazioni, sarebbe opportuno
prevedere una qualche garanzia per i lavoratori che aderiscono ai fondi. Il
professor Messori pensa per esempio "a un sistema che minimizzi il rischio"
e che dia ai lavoratori una garanzia di "beneficio minimo garantito". Ma
l'aria che tira sembra tutt'altra e l'esito peggiore di tutta questa storia
sarebbe quello di dire addio al sistema della previdenza pubblica per
essere inghiottiti direttamente dalla giungla. (4.fine)