modelli sociali a barcellona



dal manifesto

     
    
 
    
 

14 Marzo 2002 
  
 
   
Modelli sociali a Barcellona 
A confronto nel summit spagnolo le ipotesi di Tony Blair (e Berlusconi e
Aznar) per una deregulation liberista del mercato del lavoro; e quelle di
Jospin, per un intervento dello stato. In discussione anche le cifre
dell'occupazione 
ANNA MARIA MERLO - PARIGI 

Dopo Lisbona e Stoccolma arriva Barcellona, terzo vertice dell'Unione
europea dedicato ai problemi economici e sociali. Il clima si annuncia
caldo: perché, al di là degli impegni passati, noti sotto il nome di
"processo di Lisbona" - che hanno posto come obiettivo generale quello di
far diventare, entro il 2010, l'economia dell'Ue la più dinamica del mondo
in un contesto di coesione sociale mantenuta - è giunta l'ora di precisare
di quale modello sociale si tratta.
L'Europa ha un solo "modello sociale" o ne ha due, contrapposti? A
Barcellona è prevedibile un braccio di ferro tra due modelli, quello della
"regolazione" del mercato del lavoro, difeso dalla Francia, e quello del
social-liberismo, guidato dalla Gran Bretagna (alleati di circostanza
Spagna e Italia); con la Germania in bilico tra i due. Questo secondo campo
ha segnato un altro punto, con un nuovo documento sottoscritto da Tony
Blair, dopo quello con Berlusconi, questa volta con un partner imbarazzante
per la sinistra non liberista: Blair, col premier socialdemocratico svedese
GÖran Persson, scrive che è indubbio che "l'Unione europea sia un successo
in termini economici". Ma i due aggiungono che "dobbiamo modernizzare le
nostre strutture economiche". Il termine "modernizzare" significa ormai per
tutti "riformare" in senso social-liberista, in sostanza mettendo una buona
dose di flessibilità nel lavoro, di "contratto tra le parti" al posto della
legge.
La Francia ha messo le mani avanti. Una settimana fa ha inviato ai partner
un documento dove parla di necessario "equilibrio" tra la modernizzazione e
la riforma da un lato e la difesa del modello sociale europeo dall'altro:
che significa una presenza dell'intervento pubblico per correggere le
derive del mercato lasciato a se stesso, per non lasciare ai margini la
parte più debole della popolazione. Lo scontro tra i due campi riguarda
anche l'interpretazione dell'obiettivo di Lisbona: aumentare l'occupazione.
Il fronte social-liberista intende fermarsi ai dati grezzi, al conteggio
meccanico del numero degli occupati. Il che significa privilegiare la
flessibilità del lavoro e gli impieghi non garantiti. L'altro fronte
insiste sulla qualità di questi posti di lavoro. Di qui lo scontro
sull'Agenda sociale europea, che la Francia aveva fatto approvare al
vertice di Nizza, a fine 2000.
L'Agenda sociale è una piattaforma che può essere usata per "modernizzare"
senza rinunciare alla qualità: formazione nell'arco di tutta la vita
lavorativa, lotta contro le discriminazioni di ogni genere, misure per la
salute e la sicurezza sul lavoro. Il fronte dell'attenuazione del
social-liberismo puro e duro chiede inoltre anche misure di democrazia: per
esempio associare di più i parlamenti nel coordinamento delle politiche
economiche dei paesi membri.
A Barcellona si dovrà anche fare il punto sull'applicazione della strategia
di sviluppo durevole - cioè sull'introduzone dei temi ambientali nel
processo di Lisbona - che era stato approvata a GÖteborg. Anche qui i due
fronti rischiano di trovare un nuovo elemento di scontro - e sì che i
Quindici hanno approvato il protocollo di Kyoto - visto che i vincoli
ambientali sono qualcosa che il mercato senza regole difficilmente potrà
rispettare. Le forze sociali, che saranno ricevute stasera dal premier
spagnolo José Maria Aznar, dovranno far presente che le manifestazioni
previste a Barcellona in questi giorni sono l'espressione della voce di
coloro che la flessibilità la subiscono, senza che sia mai chiesto il loro
parere. La Commissione, invece, ha fissato alcuni orientamenti generali per
eliminare gli ostacoli che frenano la crescita dell'occupazione. Tra
questi, le solite raccomandazioni di diminuire i contributi sui bassi
salari e le protezioni per i disoccupati per rendere "più attrente" il
ritorno al lavoro. Ma anche alcuni elementi più interessanti, come la
raccomandazione di migliorare il sistema di asili-nido e di custodia dei
bambini per permettere alle madri di non rinunciare al lavoro
(disponibilità entro 5 anni di un posto in asilo per il 90% dei bambini da
tre a sei anni e per il 33% dei bambini da zero a 3 anni).