pensioni:vogliono distruggere il pubblico



dal manifesto

     
    
 
    
 

06 Marzo 2002 
  
 
   
"Vogliono distruggere il pubblico"
Intervista al professor Roberto Pizzuti. Il sistema a capitalizzazione non
favorisce i lavoratori 
ALESSANDRA BERGIA 

Finora i lavoratori avevano tre risorse economiche: la retribuzione, il
Tfr, e la pensione, composta principalmente dal trattamento della
previdenza pubblica, più o meno ridimensionato dalla riforma Dini, e da una
quota di previdenza complementare. Dopo la riforma del centrodestra, i
lavoratori avranno la retribuzione e la pensione, all'interno della quale
sarà notevolmente aumentata la quota a capitalizzazione. Mentre il Tfr sarà
scomparso". Roberto Pizzuti vede nel progetto del ministro Maroni una
specie di gioco delle tre carte, dove però ne sparisce una. E non crede al
miracolo delle pensioni d'oro ottenibili destinando le liquidazioni alla
previdenza a capitalizzazione. Per l'economista, docente all'università La
Sapienza di Roma, lo scopo dell'operazione del centro destra è un altro,
chiaro e semplice: "Ridurre il costo del lavoro di una quota fra i 3 e i 6
punti percentuali della retribuzione: questa somma viene sfilata ai
lavoratori, in termini di minori pensioni future, e passata alle imprese."
Il governo però, nella delega, scrive che il taglio dei contributi non avrà
"effetti negativi" per il calcolo della pensione.
Ciò è teoricamente possibile. Basta usare nel calcolo della pensione
un'aliquota più alta di quella contributiva. Ma economicamente questo
ragionamento non regge. Se si tagliano i contributi di 3-6 punti, lo
squilibrio attuariale da coprire fra 30-40 anni, quando andranno in
pensione i neoassunti di oggi, sarà diventato una montagna. E poi c'è lo
squilibrio di bilancio che un taglio del genere provoca immediatamente in
un sistema a ripartizione. Solo facendo ricorso al fisco si potrebbero
continuare a pagare le pensioni in essere. Non che finanziare una parte di
pensioni attraverso il fisco sia di per sé scandaloso. Nel caso dei
lavoratori parasubordinati che oggi versano solo il 19% sarebbe addirittura
doveroso, perché con questa aliquota non avranno mai un assegno adeguato.
Se la società trae un vantaggio dalla condizione flessibile di queste
persone, come si va dicendo, allora è giusto che la società si faccia per
lo meno carico delle loro pensioni. Ma nel caso della delega, si
attingerebbe alla fiscalità per coprire il buco creato da un regalo che va
tutto alle imprese. Redistribuzione da salari a profitti.
Sul testo della delega si sono fatti molti esercizi. Forse quella frase
"senza effetti negativi sulla determinazione dell'importo pensionistico del
lavoratore" si riferisce al mix di pensione pubblica e di pensione a
capitalizzazione, quella che domani i lavoratori si autofinanzieranno con
il Tfr?
Le pensioni a capitalizzazione vanno bene per risolvere problemi di
nicchia. Altro discorso è pensare di utilizzare la capitalizzazione per una
quota consistente di previdenza generale, soprattutto innestandola su un
sistema a ripartizione. Nella fase di transizione si creano scompensi
enormi per pagare le pensioni esistenti. E si chiede ai lavoratori un
risparmio forzoso, in una congiuntura che avrebbe bisogno di incrementare i
consumi. Le pensioni a capitalizzazione hanno poi alcuni difetti che
rendono molto pericolosa la loro estensione. I costi di gestione dei fondi
arrivano fino al 40% del volume delle prestazioni, contro il modesto 2%
dell'Inps. Poi c'è l'enorme problema della sicurezza. Un sistema a
ripartizione dà un rendimento che è legato al Pil. Certo se il paese va
male, vanno male anche le pensioni, ma il rischio è spalmato sull'intera
collettività, cioè è minimizzato. I fondi a capitalizzazione invece
ripartiscono il rischio solo sugli iscritti.
Messi in conto i rischi, i rendimenti sono però più elevati che in un
sistema a ripartizione?
Per capire quanto rendono i mercati finanziari bisogna ragionare su un
tempo lungo almeno mezzo secolo. In un periodo di 50 anni è ragionevole
pensare che una fetta dell'economia , quella che dà guadagni finanziari,
abbia sistematicamente rendimenti più alti rispetto al prodotto interno
lordo, che è sostanzialmente una media ponderata di tutti i redditi? Sì,
può accadere, ma solo in un caso: se c'è un costante aumento della quota
del pil che va alle rendite finanziarie. Questa ipotesi sarebbe però
devastante sul piano economico e sociale: vorrebbe dire che
sistematicamente, per mezzo secolo, diminuisce la quota di ricchezza che va
a stipendi e salari e aumenta quella che remunera i possessori di titoli.
Ma, si dice, perché lasciare fuori i lavoratori dalla borsa quando la borsa
va bene?
Se la borsa va bene, è grazie a una certa quantità di reddito che viene
investita sui mercati. In pratica con la delega si chiede ai lavoratori di
incrementare questo flusso, di rinunciare a una parte di salario per farlo
confluire sui mercati finanziari, per poi averne indietro una piccola
rendita in pensione. La posizione di chi investe risparmio previdenziale in
borsa è molto diversa da quella del risparmiatore individuale che compra
azioni. Quest'ultimo se guadagna, può vendere subito; se perde aspetta. Il
lavoratore non può intascare subito i guadagni e rischia grosso se al
momento del pensionamento la borsa va male.
Il finanziamento dei fondi con l'intero Tfr farebbe bene all'asfittico
mercato azionario?
L'accantonamento annuo per il Tfr si aggira sui 27.000-30.000 miliardi. Una
somma del genere non troverebbe sbocchi sulla borsa italiana, dove le
società quotate sono poche, insufficienti persino per soddisfare la domanda
attuale. I soldi dei lavoratori finirebbero in gran parte all'estero, con
buona pace dei progetti per il rientro dei capitali.