internazionale al veleno



dal manifesto

     
    
 
    
 

15 Febbraio 2002 
  
 
   
Internazionale al veleno 
Cloruro di vinile L'industria americana ed europea conosceva la
pericolosità del Pvc fin dagli anni `50. La occultò e continuò a produrre
senza preoccuparsene GIANNI MORIANI 




"A

metà degli anni `60, l'industria chimica internazionale fece una scoperta
inquietante: esisteva un collegamento tra il CVM (cloruro di vinile
monomero, elemento base nella produzione del PVC), e l'acroosteolisi, una
patologia degenerativa delle ossa che si era manifestata nei lavoratori di
un certo numero di impianti. All'inizio degli anni `70 la Manufacturing
Chemists Association (MCA), associazione imprenditoriale americana che
riuniva circa 200 imprese del settore, ricevette notizie anche più
inquietanti: studi sugli animali, eseguiti per conto degli imprenditori
chimici europei e mantenuti segreti, mostravano che livelli di esposizione
al cloruro di vinile veramente bassi potevano provocare anche tumori. Per
evitare la divulgazione delle ricerche - sponsorizzate dall'industria - che
rivelavano l'esistenza di tumori provocati dal cloruro di vinile, le
industrie chimiche progettarono e misero in atto un piano complesso
finalizzato a ingannare il governo americano e mettere fuori strada i
lavoratori e l'opinione pubblica. L'MCA serrò i ranghi per tutelare
l'immagine positiva del proprio prodotto e nascondere le informazioni sui
rischi che esso poteva rappresentare per la salute". Così inizia
l'importantissima ricerca storica, su impiego industriale e danni alla
salute del cloruro di vinile, condotta da Gerald Markowitz docente di
storia al John Jay College of Criminal Justice e David Rosner docente di
storia e scienze mediche e sociali alla Columbia University. Un estratto in
lingua italiana è consultabile nell'ultimo numero della rivista fondata da
Giulio A. Maccacaro, Epidemiologia e Prevenzione. Ne riportiamo qui una
sintesi perché le inoppugnabili informazioni raccolte dai due ricercatori
americani impongono un totale ribaltamento della sentenza con la quale il
Tribunale di Venezia ha assolto tutti gli imputati per i morti da CVM del
Petrolchimico di Marghera.

Occultamento volontario
Quando, a metà degli anni `60, l'industria venne a sapere che dei
lavoratori esposti a cloruro di vinile manifestavano acroosteolisi, una
malattia strana e mai identificata in precedenza, stabilì una strategia di
azione sui problemi sanitari che avrebbe adottato per tutto il decennio
successivo: lavorare al proprio interno per cercare di capire l'origine del
problema, finanziando ricerche che avrebbero fornito loro le informazioni
necessarie per intervenire e divulgare solo informazioni adeguate a
rassicurare l'opinione pubblica circa l'innocuità dei prodotti finiti,
mentre ci si adoperava per evitare qualunque progetto di regolamentazione.
L'industria venne a conoscenza del fatto che negli impianti della B. F.
Goodrich di Louisville, nel Kentucky, alcuni dei lavoratori che entravano
nei reattori di polimerizzazione (dove il PVC viene sintetizzato dal
monomero di cloruro di vinile) stavano sviluppando disturbi alle mani e
altre patologie sistemiche. Il problema venne scoperto nel 1964 da John
Creech, un medico che aveva effettuato dei controlli sanitari sui
dipendenti dell'azienda. Un giorno, uno degli operai si recò in infermeria
da Creech, "lamentando debolezza alle dita delle mani, e chiedendomi cosa
gli stesse succedendo". Nel giro di sei settimane il dottor Creech raccolse
altri casi, e trasmise le proprie osservazioni ai responsabili dello
stabilimento.Nel gennaio del 1966 Harry Warner, vice presidente della B. F.
Goodrich, venne a sapere che un medico che lavorava alle aziende chimiche
Solvay di Bruxelles aveva comunicato di avere visitato almeno due
lavoratori che mostravano gli stessi sintomi e le alterazioni ossee che
erano stati riscontrati alla Goodrich, e aveva in programma di pubblicare
una relazione in materia. "La Goodrich considerò tanto preoccupanti le
possibili reazioni alla pubblicazione di un simile articolo, che Warner
cercò di dirottare su Bruxelles uno dei rappresentanti dell'azienda che si
trovava in Europa perché cercasse di scoraggiare la stesura di un simile
articolo, o di influenzarne il contenuto per far sì che non contenesse una
assoluta condanna nei confronti del PVC". Il tentativo fallì ma la
Goodrich, con l'aiuto della Monsanto che aveva proprio a Bruxelles il suo
quartiere generale europeo, ipotizzò di fare un altro tentativo per
"scoraggiare la pubblicazione dell'articolo o modificarne i toni" inviando
nella capitale belga un'intera squadra di persone. I produttori di PVC
erano preoccupati perché l'esposizione al cloruro di vinile rappresentava
un pericolo per le maestranze, ma la cosa che li ossessionava di più era la
pubblicità negativa. Nel memorandum preparato da Robert Wheeler (della
Union Carbide) dopo un incontro dell'Occupational Health Committee
dell'MCA, si legge che "è assolutamente necessario circoscrivere il
problema. La diffusione di informazioni allarmanti riguardo all'esposizione
dell'organismo umano ai prodotti finiti potrebbe essere molto dannosa per
l'industria". Se venissero messi in discussione i prodotti in materie
plastiche, in particolare quelli che servono a confezionare gli alimenti, o
comunque entrano in contatto con questi, l'industria verrebbe messa in
stato di assedio non solo dai lavoratori e dai sindacati che li
rappresentano, ma anche dal grande pubblico e dalle autorità federali".
L'MCA accettò anche di finanziare uno studio epidemiologico sui lavoratori
che utilizzavano il PVC, che sarebbe stato realizzato dagli epidemiologi
dell'Institute for Industrial Health dell'Università del Michigan. Nel
frattempo, verso la fine dell'estate 1967 - quasi tre anni dopo le prime
notizie relative a patologie collegate al cloruro di vinile tra i
lavoratori della Goodrich - i ricercatori che lavoravano per l'azienda
pubblicarono sul Journal of the American Medical Association una relazione
su 31 casi di acroosteolisi verificatisi tra i dipendenti esposti al
cloruro di vinile. Nel febbraio del 1969, un anno e mezzo più tardi, i
risultati dello studio realizzato dall'Università del Michigan vennero
presentati, in via riservata, al Medical Advisory Committee dell'MCA.

Rapporto segreto
Il rapporto evidenziava il fatto che l'acroosteolisi non colpiva solo le
strutture ossee, ma anche il tessuto connettivo. Inoltre, fino a quel
momento si era pensato che il rischio di eccessiva esposizione al cloruro
di vinile si presentasse solo quando i lavoratori riuscivano a percepirne
l'odore. Ma il rapporto indicava che la "soglia olfattiva" della sostanza
non era, come si era pensato fino ad allora, di 400 ppm, ma di circa 4000
ppm, e quindi enormemente superiore al valore limite allora stabilito in
500 ppm. Cosa ancor più importante, il documento spiegava chiaramente come
neanche i lavoratori esposti a 500 ppm di cloruro di vinile potessero
essere considerati completamente protetti, e suggeriva che "fosse garantita
una ventilazione sufficiente ad abbassare la concentrazione di cloruro di
vinile a meno di 50 ppm": una concentrazione ben 10 volte inferiore a
quella che veniva adottata nei luoghi di lavoro.
Le reazioni dell'industria all'associazione tra cloruro di vinile e
acroosteolisi furono solo un'anticipazione della reazione che avrebbe avuto
di fronte a un problema ben più grave e incontrollabile: la relazione tra
il cloruro di vinile e il cancro. Quando il cancro diventò un problema di
attualità, le imprese assunsero iniziative molto più radicali per occultare
il pericolo: se prima si erano limitate a negare o a confondere le idee
degli interlocutori, ora erano arrivate a mettere in atto veri e propri
diabolici raggiri. Nel 1970, le industrie americane vennero a sapere che un
ricercatore italiano, Pierluigi Viola della Solvay di Rosignano aveva
presentato alla Conferenza internazionale sul cancro di Houston una
relazione sugli effetti cancerogeni dell'esposizione al cloruro di vinile
negli animali. Viola informò i congressisti che i ratti esposti a 30.000
ppm di gas di cloruro di vinile monomero sviluppavano tumori della pelle,
dei polmoni e delle ossa, e che avrebbe presto pubblicato le sue ricerche.
Nel maggio del 1971, nello stesso mese in cui pubblicava il proprio
articolo su Cancer Research, Viola fu invitato a presentare i risultati del
proprio lavoro a Washington dall'Occupational Health Committee dell'MCA. I
rappresentanti delle imprese erano allarmati dai dati raccolti dal medico
italiano, ciononostante essi decisero di non modificare in alcun modo la
scheda di sicurezza, il documento utilizzato dai loro associati per
definire le procedure di sicurezza da adottare nelle aziende. Ma la vera
catastrofe fu generata dai risultati della ricerca realizzata da un altro
italiano, nel periodo in cui il PVC giocava un ruolo essenziale per la
autosufficienza economica di svariate industrie chimiche americane di
fondamentale importanza. Infatti, tra il 1966 e il 1971 la produzione negli
Stati Uniti era passata da 600.000 tonnellate circa a 1.200.000 tonnellate;
nel caso della B. F. Goodrich, per esempio, il loro reparto chimico stava
affermandosi come il settore più redditizio dell'azienda e il PVC
rappresentava da solo metà degli introiti dell'azienda. Ebbene, proprio nel
1970 la Montedison affidò al professor Maltoni, Direttore dell'Istituto di
Oncologia "F. Addari" di Bologna, il compito di verificare i dati di Viola
e di completare le conoscenze circa la cancerogenicità del CVM e la sua
attività. Gli imprenditori europei cominciarono quasi subito a fare
pressione sulla loro controparte americana perché entrasse a far parte di
un accordo segreto per evitare che queste ricerche fossero rese pubbliche.
Secondo gli americani, le industrie europee avevano insistito soprattutto
sulla necessità della segretezza: l'accordo prevedeva che "i membri del
nostro gruppo di lavoro, elencati nell'allegato, fossero gli unici
autorizzati a ricevere informazioni sul progetto europeo. A loro volta,
essi sono moralmente obbligati a mantenere tali informazioni all'interno
delle loro aziende". I risultati delle ricerche di Maltoni furono
comunicati ai produttori americani di PVC e cloruro di vinile in un
incontro riservato che si svolse il 14 novembre `72. Quanti parteciparono
alla riunione furono invitati a non prendere appunti; in effetti il
rappresentante europeo, D. M. Elliott dell'ICI, un'azienda inglese
produttrice di CVM "chiese con insistenza che tutta la carta da appunti
fosse tolta dai tavoli prima del suo intervento sul lavoro realizzato dagli
europei. E così fu fatto...". Il dato più inquietante riferito da Duffield
era che Maltoni aveva scoperto "la comparsa di tumori primitivi sia nel
fegato che nei reni, anche a 250 ppm", ossia la metà del valore limite che
avrebbe dovuto proteggere i lavoratori dagli effetti tossici del cloruro di
vinile.

Cloruro di vinile ovunque
In seguito alle scoperte di Maltoni le industrie dovevano fare qualcosa per
proteggersi dalle potenziali responsabilità legali nel caso in cui i loro
prodotti fossero risultati pericolosi E' interessante a questo proposito
notare le decisioni che vennero prese nel caso dei propellenti per aerosol.
Il monomero di cloruro di vinile non veniva usato solo per realizzare
plastiche di PVC, ma anche come propellente per vari prodotti di largo
consumo. Il cloruro di vinile fu utilizzato per la prima volta a questo
scopo in Giappone, nel 1958. Appena un anno dopo, la Dow Chemical stava
valutando la possibilità di utilizzarlo come propellente in lacche per
capelli, deodoranti ambientali e vernici a spruzzo. L'azienda prevedeva di
venderne annualmente cinquemila tonnellate, e non pensava che il limite di
esposizione, allora fissato a 500 ppm, avrebbe costituito un problema. Ma
dieci anni più tardi non esistevano più molti dubbi che 500 ppm avrebbero
potuto rappresentare un pericolo. La B. F. Goodrich, dopo l'esperienza
dell'acroosteolisi, ammise in via riservata che "nel settore dei cosmetici
c'erano preoccupazioni sulla possibile tossicità" dei propellenti a base di
cloruro di vinile. Le rilevazioni effettuate presso i parrucchieri
indicavano che "le concentrazioni medie di gas si aggiravano intorno ai 250
ppm". Il che era già abbastanza preoccupante, in base alle raccomandazioni
della Dow che aveva invitato a ridurre il limite a 50 ppm; ma la Goodrich
temeva anche che "in alcuni casi, quando lo spray veniva usato per lungo
tempo (tre minuti) la concentrazione potesse arrivare perfino a 1400 ppm".
Le implicazioni erano terrificanti. I lavoranti e i loro clienti venivano
"esposti a concentrazioni di monomero di cloruro di vinile uguali, o
superiori a quelle presenti nelle fabbriche". Nella primavera del 1973
l'MCA riuscì a trovare un accordo su una linea di azione che avrebbe
consentito di rispettare l'accordo con gli europei dando allo stesso tempo
l'impressione di aver risposto alla richiesta di informazioni pervenuta dal
National Institute for Occupational Safety and Health (NIOSH). La decisione
di mantenere il silenzio sulle ricerche di Maltoni influenzò sia gli
interventi pubblici delle industrie del settore che le loro riunioni
interne di preparazione all'incontro con il NIOSH. Durante le prime
settimane dell'estate del 1973, gli imprenditori americani continuarono a
incontrarsi tra di loro e con gli europei per preparare la presentazione al
NIOSH. Il 15 giugno gli europei si incontrarono e "decisero di autorizzare
l'MCA a fornire al NIOSH i dati emersi dalle ricerche di Bologna". Ma tre
settimane più tardi la Montedison, l'azienda italiana che produceva cloruro
di vinile, informò le altre aziende europee che questa era una decisione
inaccettabile. David P. Duffield, dell'ICI, si recò negli Usa per informare
gli imprenditori che gli europei avevano deciso di mantenere il segreto
sulle informazioni.

Verità scomoda
L'incontro del 17 luglio si tenne negli uffici del NIOSH di Rockville, nel
Maryland. Da una parte del tavolo sedevano cinque rappresentanti delle
imprese, dall'altra cinque ricercatori in rappresentanza del governo. Alla
fine della giornata i rappresentanti dell'MCA e delle aziende che ne
facevano parte si dissero pienamente soddisfatti della riunione, e
comunicarono che "le possibilità che il NIOSH mettesse in atto iniziative
avventate sul cloruro di vinile erano sostanzialmente diminuite". Il
messaggio trasmesso alle aziende i cui rappresentanti non avevano
partecipato all'incontro fu che "non c'erano stati problemi" e che "la
presentazione era stava accolta e giudicata favorevolmente": in sintesi, le
industrie erano riuscite a nascondere completamente al NIOSH i pericoli che
il cloruro di vinile rappresentava sia per i lavoratori che per i
consumatori. Poco dopo questo incontro, tuttavia, le certezze delle
industrie sulla sicurezza del cloruro di vinile cominciarono a venire meno.
In Europa, e successivamente negli Stati Uniti, i giornali parlavano di una
realtà completamente diversa. Un articolo pubblicato su un giornale
italiano citava un ricercatore, Caputo, il quale aveva collaborato con
Viola nei primi studi sul cancro e affermava che il cloruro di vinile era
il responsabile delle preoccupazioni che affliggevano all'incirca 40.00
lavoratori, negli stabilimenti europei che lavoravano questo composto.
Caputo affermò che dozzine di lavoratori erano già morti in seguito
all'esposizione al gas, e che si aveva a che fare con un potenziale
gravissimo rischio, sia per l'ambiente che per la salute dei lavoratori.
L'MCA fece tradurre l'articolo e lo trasmise alla Task Force sul cloruro di
vinile, perché le industrie fossero consapevoli del fatto che le
informazioni sui rischi rappresentati da questo composto si stavano
diffondendo. Infatti, nel gennaio del 1974, l'America venne a sapere che il
monomero di cloruro di vinile, che serviva a produrre il PVC, aveva causato
la morte di quattro operai dello stabilimento della B. F. Goodrich di
Louisville, nel Kentucky, che erano stati colpiti da angiosarcoma al
fegato, una rara forma tumorale. I giornali scrissero che il PVC, che fino
ad allora milioni di americani avevano considerato un economico e innocuo
sostituto per legno, metallo e carta paraffinata poteva rappresentare una
minaccia mortale.
Questa ricostruzione storica dell'assassinio collettivo consumato negli
impianti di CVM e PVC di USA ed Europa da numerose società chimiche con
tutta la loro dirigenza di più alto rango, mostra l'indefessa volontà dei
produttori di nascondere, occultare, segretare le preoccupanti conoscenze
di cui erano in possesso (almeno fin dal 1964) sui rischi connessi
all'esposizione degli addetti alla lavorazione del cloruro di vinile. La
corte del Tribunale di Venezia ha assolto tutti gli imputati con la
giustificazione che essi misero in atto tutte le misure di prevenzione non
appena ebbero conoscenza (nel 1973) della pericolosità del CVM. Markowitz e
Rosner hanno dimostrato che l'industria chimica americana ed europea mise
in atto una cospirazione per poter continuare a produrre, sapendo che le
condizioni di lavoro esponevano gli operai a gravi rischi per la loro
salute. Dopo aver letto la sentenza di assoluzione, il giudice Nelson
Salvarani disse: "L'opinione pubblica ha il diritto di esprimere critiche,
perplessità, osservazioni su una sentenza che ha affrontato un caso
giudiziario difficile e importante". Di fronte ai dati sopra riportati,
mogli rimaste vedove, figli rimasti orfani e tutti i cittadini che credono
in uno stato di diritto hanno ancora più ragione di sentirsi oltraggiati da
una sentenza considerata iniqua e invocare a gran voce sul processo CVM una
giustizia giusta.