lavorare poco lavorare bene



da repubblica

GIOVEDÌ, 20 DICEMBRE 2001 Stampa questo articolo 
  
  
Lavorare poco, lavorare bene ecco il segreto dell'Europa  
  
  
  
Il risvolto negativo resta l'alta disoccupazione: le imprese sono restie ad
assumere nuovi dipendenti  
Il mito del miracolo Usa è falso La produttività nel Vecchio Continente è
molto superiore  
  
RUDI DORNBUSCH  

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Sul miracolo economico americano tira aria di revisione. Non solo la bolla
USA è scoppiata, ma oggi sembra proprio che buona parte del miracolo
economico degli anni '90 non sia mai esistito. Quanto a prestazioni è
l'Europa a trionfare, non gli USA. Uno studio sulle origini della crescita
economica condotto dall'Ocse assembla un formidabile insieme di dati
associati a nuovi giudizi sugli andamenti positivi e negativi. La
prestazione dell'economia americana non risulta brillante come si pensava:
è vero che gli Stati Uniti hanno registrato una crescita consistente negli
anni '90, superiore a quella delle maggiori economie europee, ma l'immagine
degli USA come miracolo produttivo, è falsa. 
Ciò è evidente a livello tradizionale di prodotto per lavoratore, ma ancor
di più se consideriamo che in Europa si lavorano molte meno ore a testa
rispetto all'America. Prendendo in esame la produttività per ora lavorata,
l'Europa mostra una tendenza completamente opposta. E' la Germania, un
paese reputato fiacco se non peggio, a vincere la competizione. I tedeschi
non lavorano molto, ma quanto a produttività non hanno rivali e continuano
a migliorare. Potrebbe quasi sembrare che l'Europa abbia escogitato un
abile stratagemma: lavorare poco, lavorare bene. In effetti non solo ha
registrato una più alta crescita produttiva, ma anche migliori livelli di
produttività. La Germania ovest o la Francia hanno prodotto decisamente più
valore in dollari per ora lavorata rispetto agli Usa. Lo stesso ha fatto
l'Italia. Il Giappone, invece, con il suo inefficiente terziario si è
dimostrato di gran lunga inferiore agli USA e all'Europa, come la Gran
Bretagna.
Ecco una possibile interpretazione di questi dati di fatto: il mercato del
lavoro in Europa costituisce un grande problema. E' eccessivamente
regolato, poco flessibile e, in aggiunta a questi due mali, costoso,
persino all'attuale basso tasso dell'euro. Non c'è da sorprendersi se le
imprese europee sono diffidenti e operano secondo modelli
«capitalintensive». Con alte concentrazioni di capitale per lavoratore, a
parità di altre condizioni, la manodopera è altamente produttiva: ecco il
modello europeo. Inoltre le imprese «laborintensive» (cioè a bassa
produttività) sono più propense ad affidare alcuni compiti a soggetti
esterni o ad operare offshore. Questo in parte perché la ristrutturazione
in Europa è un processo difficile che può portare al trasferimento
all'estero dell'intera impresa. Di conseguenza, per eliminazione, le ditte
che restano sono quelle che mostrano incrementi nella produttività.
E' un modello intelligente, ma c'è un rovescio della medaglia? Il lato
negativo è che l'Europa ha un'alta disoccupazione perché le imprese sono
restie ad assumere nuovi dipendenti. Negli Usa invece la crescita
normalmente implica un accumulo relativamente minore di capitale per
lavoratore e un limitato aumento di produttività per lavoratore o per ora
lavorata, ma porta in cambio alla creazione di un numero significativamente
maggiore di posti di lavoro. Di fatto gran parte della crescita americana
negli anni '90 ha implicato l'assorbimento dei disoccupati e dei
beneficiari delle prestazioni di assistenza sociale nel mercato del lavoro.
La crescita Usa comporta la creazione di molti posti di lavoro, la crescita
europea, anche se alta, mantiene costante la disoccupazione. Due diversi
modelli, ciascuno con un rovescio della medaglia. Sarebbe ovviamente
interessante per l'Europa ottenere l'ulteriore beneficio di una massiccia
creazione di posti di lavoro e per gli Usa godere di una più forte
produttività in aggiunta alla monumentale macchina occupazionale. Esiste la
possibilità che una di queste eventualità si verifichi?
L'Europa non ha grandi prospettive di emergere dalla trappola della
disoccupazione, né nel prossimo anno di recessione, né in tempi brevi. Per
cambiare le cose essa dovrebbe rimpinzare l'economia di investimenti,
denaro a basso costo, sgravi fiscali per tutti e forse spendere denaro per
opere pubbliche. Non c'è speranza che ciò si realizzi nelle attuali
condizioni di rigido contenimento dei bilanci. La storia rimarrà quella di
una buona produttività, sorprendentemente buona, considerando che non si
pensava all'Europa come facente parte dell'area della «new economy». Negli
Usa c'è recessione e quindi crescente disoccupazione. La prevista modesta
ripresa non sarà sufficiente a superare la produttività. Il prossimo anno,
di conseguenza, l'Europa e gli Usa si troveranno in una situazione simile. 
Sul versante della produttività forse le cose miglioreranno. E' la prima
volta che gli Usa registrano una crescita di produttività in una fase di
recessione (in cui normalmente la produttività assume valori negativi). Se
questa crescita tiene e si rafforza con la ripresa, come sembra pensare il
Presidente Greenspan, gli Usa potrebbero presto trovarsi di fronte al
dilemma europeo. Raggiungeranno buoni livelli di produttività, forse anche
migliori di quelli europei, ma non saranno in grado di ridurre il tasso di
disoccupazione. Purtroppo non è ben chiaro quale stato di cose sia migliore.