addestrati e formati alla precarieta'



dal manifesto

     
 

15 Dicembre 2001 
  
 
  
Addestrati e formati alla precarietà 
La doppia funzione Lotta alla disoccupazione e strumento per governare la
forza-lavoro attraverso la flessibilità. Ma anche come terreno di conflitto
della forza-lavoro BENEDETTO VECCHI 

La navigazione della rivista Posse ha toccato un altro porto, dopo quello
dell'"inchiesta" e dell'"impero". Scherzi a parte, la redazione che dà vita
a questa iniziativa politico-editoriale affronta un tema pregnante, ma
politicamente sfuggente, quello della formazione. (Il numero sarà
presentato oggi a Roma, alle 18, nel centro sociale Forte Prenestino). E se
nei due precendenti numeri, Posse metteva al centro l'impero, in quanto
nuova griglia analitica per comprendere lo stato dell'arte del capitalismo
mondiale, e l'inchiesta come metodo di intervento politico e di analisi
della nuova composizione sociale della forza-lavoro, la formazione è
indicata come un continente sconosciuto ai più, ma che torna continuamente
nei discorsi e nei testi di un'area politico-intellettuale che negli anni
scorsi ha cercato di fare i conti con le nuove forme della produzione
capitalista di merci caratterizzate dalla messa al lavoro del sapere
sociale e del linguaggio. Ma proprio questa centralità del sapere e del
linguaggio rende, per paradosso, il tema della formazione un tema
pregnante, ma politicamente sfuggente.
La redazione di Posse vede accostati collettivi politici e intellettuali
dai piedi scalzi. Ma è proprio nel voler far crescere questa contaminazione
tra istanze toriche e dimensione politica organizzativa che sta la
scommessa poltica di Posse. Ma torniamo a questo numero, che ha il titolo
"accattivante" Il lavoro di Genova (pp. 317, L. . 28.000, manifestolibri),
anche se alle giornate del luglio genovese sono dedicate solo poche pagine,
sostenendo che Genova rimette tutto in discussione. In altri termini, la
settimana di mobilitazione contro il G8 segna uno spartiacque, tra un prima
- caratterizzato dalla crescita contradditoria di un movimento di
contestazione radicale dello status quo - e un dopo, che spinge la rivista
a fare i conti con le sue previsioni politiche e le sue "analisi di fase".
Per Posse, Genova ha rappresentato una conferma su due parole-chiave su cui
ha ruotato il suo lavoro editoriale: moltitudine e impero. Nelle strade del
capoluogo genovese è stata infatti la moltitudine ad essere la
protagonista, se per moltitudine si intende il lavoro vivo sociale che
sfugge a qualsiasi tentazione di riduzione ad un'unica produttiva. Il
movimento dei movimenti, suggerisce infine l'editoriale, è nienta altro che
lavoro vivo postfordista: precario, intermittente, cooperazione sociale
produttiva che cerca la sua strada per sfuggire alle politiche di controllo
sociale messe in atto dal comando d'impresa.
Ma a Genova si è anche consumato un tentativo di dare forma politica
all'"impero", cioè alla costituzione politica dei rapporti di forza su
scala mondiale del capitalismo. Per questo, si può aggiungere, lo scenario
che a Genova si è presentato di fronte al movimento è stato uno scenario di
guerra, propedeutico a quanto è accaduto dall'11 settembre ad oggi.
Per questi motivi, il luglio genovese va considerato lo sfondo, il
background del lavoro di indagine sulla formazione, che ha la funzione
ambivalente di riqualificazione della forza-lavoro espulsa dal processo
produttivo a causa dei processi di innovazione tecnologica e organizzativa
e di irrigimentazione della forza-lavoro. Sul primo aspetto, la
riqualificazione della forza-lavoro, la formazione è da considerare una
politica contro la disoccupazione che ratifica però il carattere
"intermittente" e precario del lavoro, introiettando la flessibilità come
elemento costitutivo del mercato del lavoro. In questo caso, la formazione
fornisce quelle nozioni di base - nel linguaggio pomposo e asfissiante
della manualistica d'impresa si legge "acquisizione delle competenze di
base" - per passare da un lavoro all'altro. Ma proprio perché politica
contro la disoccupazione, la formazione svolge il ruolo di irrigimentazione
della forza-lavoro. I corsi di riqualificazione, più che fornire le
"competenze di base" definiscono i comportamenti "leciti" per entrare nel
mercato del lavoro. Basti frequentarne uno e si capisce subito che la
precarietà va accettata come condizione naturale del rapporto di lavoro;
che la produttività è un valore da rispettare. Ma la formazione serve anche
a instillare quel velenoso dogma che afferma che "bisogna essere creativi"
e che bisogna partecipare ai processi di innovazione organizzativa,
fornendo idee e contributi. Sta quindi in questa duplice funzione - lotta
alla disoccupazione e irrigimentazione della forza-lavoro - il carattere
eminentemente politico della formazione.
E tuttavia questo è solo un aspetto che i contributi della rivista
affronta. C'è poi l'università, la ricerca, la produzione e diffusione del
sapere a tessere l'ordine del discorso. Posse racconta le mobilitazioni
studentesche della scorsa primavera, la loro ampiezza e il loro
occultamento da parte dei mass-media. Le proposte di riorganizzazione della
vita universitaria portate avanti, prima dai governi di centrosinistra e
ora dal cavaliere nero, puntano a stabilire un legame di ferro tra domanda
di forza-lavoro e adeguamento, in posizione del tutto subalterna, dei corsi
universitari. Verrebbe da affermare che l'unica autonomia da rivendicare
nelle università è quella dal processo produttivo, lasciando libero corso a
quelle eccededenze di sapere che sfuggono a una formalizzazione produttiva.
Poco affrontato è invece la trasformazione in atto della formazione in
settore produttivo in senso stretto. Si producono e vendono corsi di
formazione a distanza attraverso cd-rom, ad esempio. Si producono e si
vendono pacchetti di sapere destinati a una forza-lavoro mobile e
intermittente, appunto, o al mondo delle imprese. E' un processo che negli
Stati uniti e in Inghilterra ha modificato molto l'organizzazione delle
università, ma che anche qui in Italia ha cominicato a manifestarsi. Basta
leggere l'ultimo rapporto del Censis e si scopre che le imprese prevedono
pochi finanziamenti per la ricerca e sviluppo perché, semplicemente, la
comprano sotto forma di cd-rom. E' un fenomeno poco analizzato, ma che sta
dispiegandosi potentemente e che spiega, tra le altre cose, anche la
diffusione di rapporti di lavoro precari anche tra ricercatori e docenti
universitari. Allo stesso tempo anche la discussione sul futuro del Cnr e
della ricerca pubblica ha sullo sfondo la volontà politica di dare vita a
un settore produttivo della formazione. Da qui, la necessità di aggiornare
anche l'ordine del discorso sul copyright e i brevetti, che ratificano non
solo la privatizzazione del sapere da parte delle imprese, ma anche lo
strumento per far decollare un settore produttivo "nuovo", quello della
formazione, appunto. (Su questo aspetto sono interessanti i contributi sul
no-copyright presenti nella rivista).
Quindi la formazione come tema prengnate di qualsiasi analisi del
capitalismo postfordista. Ma tema politicamente sfuggente per chi quello
stato di cose vuol sovvertire. Come intervenire, quali iniziative prendere?
Perché rivendicare la formazione come diritto della forza-lavoro? Perché va
retribuita la formazione in quanto tempo di lavoro occultato dal comando di
impresa? Domande tutte aperte, a cui una rivista non può ovviamente
risponderle. Semmai le può porre, e questo numero di Posse lo fa. Le
risposte le possono trovare chi testardamente vuol "disobbedire".