taranto condannati i riva



dal manifesto

    
    
 
    
 

08 Dicembre 2001 
  
 
   
Palazzina lager, condannati i Riva 
Taranto, due anni e tre mesi di reclusione a padroni e dirigenti Ilva per
mobbing. Tra il 1997 e il 1999 avevano relegato una settantina di
dipendenti nel reparto confino noto come Laf. Soddisfatti i lavoratori 
ORNELLA BELLUCCI - TARANTO 




E' crollato con la condanna dei vertici Ilva il castello d'infamia
innalzato tra le mura del siderurgico per educare alle regole aziendali i
lavoratori insubordinati. Dodici i capi che a vario titolo dovranno
scontare dai 2 ai 3 anni di reclusione per aver commesso il reato di
tentata violenza privata ai danni dei 79 lavoratori confinati negli ex
uffici del laminatoio a freddo per aver rifiutato la novazione aziendale.
Tra loro Emilio e Claudio Riva, presidente ed amministratore delegato
dell'Ilva, il direttore dello stabilimento, Claudio Capogrosso, e l'allora
responsabile dell'ufficio personale, Anelo Greco, insieme ad altri nove
dirigenti incaricati dalla proprietà di individuare i presunti esuberi da
destinare alla palazzina.
Consistenti anche le condanne di risarcimento che dovranno essere
corrisposte nella misura di 20 milioni a lavoratore, escluse le spese
processuali. Assoluzione piena invece per la frode processuale di cui
rispondevano i due Riva, il direttore di stabilimento e lo stesso
responsabile del personale. Quest'ultimo reato era stato ipotizzato a
seguito della modifica dello stato dei luoghi della palazzina alla vigilia
del sequestro disposto dalla procura.
Il caso della Palazzina Laf divenne famoso già qualche anno fa, quando fu
scoperto che molti impiegati, a cui veniva proposto un abbassamento di
grado, si rifiutavano di sottostare alle direttive aziendali. Dal 1997 al
1999, anno in cui la magistratura ordinò la chiusura della palazzina, fu
messo in piedi un vero e proprio reparto-confino.
I lavoratori erano relegati in ambienti fatiscenti, con poche sedie e
tavoli per stanza, tanto che spesso dovevano fare a turno per sedersi.
Nessuno di loro sapeva quali fossero i compiti giornalieri, e così,
nonostante fossero regolarmente retribuiti, passavano intere giornate
nell'ozio. Una situazione che ha condotto molti di loro verso la
depressione, contribuendo anche a rompere l'equilibrio di molte famiglie.
Una sentenza attesa, quella di ieri, dunque, e "presidiata" dai lavoratori
che si sono raccolti numerosi nell'aula di tribunale, insieme a parte dalla
difesa e faccia a faccia con uno solo dei capi condannati. E l'aria
sofferta e punitiva della Laf,con il suo cumulo di macerie umane, si è
rarefatta improvvisamente davanti al verdetto. Segno che la lotta dei
lavoratori, azzerati psicologicamentedall'inoperosità cui erano stati
forzati nella palazzina, ha avuto un senso.
Unanime il coro di soddisfazione per la pronuncia. Emozionate, le loro voci
si sono sovrapposte in echi di smarrimento misto a gioia. "Nemmeno il
potere economico di Riva ha potuto comprare la giustizia. Non cercavamo
vendetta, anche un giorno di condanna per noi sarebbe stato sufficiente". E
ancora: "Sono soddisfatto della pronuncia del giudice. Non devono esistere
padroni, e Riva, attraverso i suoi uomini, si è sentito padrone di tutti noi".
Ma la condanna oltre ad essere un ammonimento alle coscienze, segna un
evidente risultato politico. "Il problema è che il verdetto sia coinciso
con il rientro in fabbrica dei lavoratori banditi dalla stessa per una
preordinata strategia aziendale", ha pecisato ErnestoPalatrasio dello Slai
Cobas. "Gli stessi che in questi anni al loro fianco hanno avuto solo
episodicamente i mass media e quasi mai le direzioni sindacali".Emozionato
il commento del pm Franco Sebastio: "Come magistrato sono soddisfatto,
seppure sia difficile esprimere questo tipo di sentimento di fronte ad una
condanna detentiva. Come tarantino dico che forse una vicenda come questa
avrebbe potuto trovare soluzione molto prima e fuori dalle aule di un
tribunale".