la merce anima della guerra



dal manifesto di mercoledi 21 novembre 2001
La merce, anima della guerra 
SERGIO FINARDI 

La materia di base dei conflitti tra le potenze - e dei conflitti tra
queste e il resto del mondo, come mostra la vicenda della guerra in
Afghanistan - è la concorrenza e lo scontro per il controllo delle risorse
strategiche e dei settori economici collegati. Un controllo che concorre
alla formazione degli elementi fondamentali dell'egemonia, sia essa globale
o regionale. In qualsiasi modo concorrenza e confronto si camuffino -
conflitti di nazionalismi, religioni, etnie, ideologie, gruppi economici -
si troverà frequentemente al fondo di esse la lotta per il controllo di uno
o più settori strategici, o per un loro segmento.
Settori o sottosettori economici strategici sono quelli il cui controllo -
a livello nazionale o internazionale - consente di detenere le leve di
funzionamento di tutti gli altri settori economici. Possiamo farne un
sommario elenco: la grande produzione agricola per l'alimentazione umana ed
animale e per la produzione di fibre naturali per l'industria;
l'individuazione, sfruttamento e gestione delle fonti di acqua ad uso
umano, agricolo e industriale; l'estrazione, produzione e
commercializzazione dell'energia; l'estrazione e la preparazione di metalli
e minerali indispensabili per le produzioni industriali, dai macchinari
industriali, ai mezzi di trasporto, agli armamenti e ai computers; la
ricerca tecnologia avanzata ad uso militare e il connnesso apparato
militare-industriale; il trasporto merci internazionale, il cui controllo è
fondamentale per la circolazione dei beni.
In ognuno di questi settori il conflitto economico o militare o lo scambio
consensuale o forzato nascono ovviamente dal fatto che gli stati hanno un
diverso grado di accesso o di specializzazione in questi stessi settori, ma
nessuno ne può prescindere. E' importante notare che alcuni di questi
settori, in particolare quelli che dipendono più dalle dotazioni naturali
che dalle risorse umane, ha limiti oggettivi di sviluppo.
E' noto che gli uomini amano scannarsi per le più diverse ragioni e non ha
molta importanza quello per cui credono di scannarsi. L'importante è il
motore primo che utilizza l'animosità, il fanatismo e l'estraneità tra
differenze - politiche, culturali, religiose, etniche - per raggiungere un
obiettivo di potere. L'odierna tendenza alla ripresa dei conflitti nasce
non tanto dalla fine dell'equilibrio della cosiddetta guerra fredda - come
spesso si dice - ma dal fatto che in alcuni settori strategici il limite
dello sviluppo, contemplabile nell'orizzonte della nostra tecnologia e nel
quadro dell'attuale crescita demografica ed economica, non è molto lontano,
tra i dieci e i trent'anni. Parlo in particolare del petrolio
economicamente sfruttabile, delle risorse idriche e della loro
distribuzione ed utilizzo, delle terre coltivabili in modo commercialmente
utile, dei minerali e dei metalli rari. La gestione e il controllo di
questi settori diviene un elemento indispensabile del gioco delle potenze e
tra le potenze.
Costruite la tabella dei limiti di sviluppo di questi settori, guardate la
mappa delle regioni geografiche che ospitano determinate risorse naturali -
e non parlo qui ovviamente soltanto di quella abbastanza nota del petrolio
- e otterrete la mappa dei conflitti presenti e futuri, quelli molto
evidenti perché militari (oggi più di trenta conflitti attivi in varie
regioni del mondo) e quelli segreti e sordi condotti a colpi di crisi
finanziarie, di blocchi o di accordi commerciali, di spionaggio
industriale, di intese o lotte in organismi come il Fondo monetario
internazionale o l'Organizzazione mondiale del commercio.


Il controllo del cibo
Dirò qui brevemente solo del settore agricolo, perché mentre tutti ne
riconoscono la fondamentalità, se ne parla sempre molto poco. Forse non è
infatti a tutti noto che nonostante il grande sviluppo della tecnologia di
ogni tipo e la grande crescita demografica avvenuti negli ultimi decenni,
l'aumento delle terre arabili nel mondo è stato del solo 6,5% nei
trent'anni dal 1966 al 1996, ovvero da 1.280 a 1.362 milioni di ettari. Non
solo: mentre una buona parte dei 248 stati del mondo ha una sua
agricoltura, i paesi autosufficienti dal punto di vista agricolo sono molto
pochi e si crea quindi lo spazio economico per le esportazioni dei paesi
che producono grandi surplus: i primi 15 paesi al mondo per esportazioni
agricole di ogni tipo (rispettivamente Stati Uniti, Francia, Olanda,
Canada, Germania, Gran Bretagna, Australia, Belgio, Brasile, Italia,
Spagna, Cina, Argentina, Thailandia e Danimarca) coprono il 66% delle
importazioni agricole mondiali (oggi circa 600 miliardi di dollari
all'anno), tenendo in pugno parecchia altre nazioni. Le maggiori
multinazionali dell'agro-business che controllano produzione e
distribuzione mondiale di prodotti agricoli sono inoltre non più di una
ventina, tutte appartenenti ai paesi industrializzati maggiori.
Se potessimo prendere in considerazione il settore dei minerali e metalli
strategici, troveremmo una concentranzione ancora maggiore e solo un pugno
di paesi (tra i quali Russia, Cina, Canada, Stati Uniti, Australia e
Sudafrica) sono significativi produttori ed esportatori (tra i 6 e i 12
tipi) di quei prodotti indispensabili.


La bilancia del potere

Se vogliamo comprendere come dalla necessità di controllare certi settori
si passi ai conflitti o ai confronti, ovvero alla parte dinamica delle
relazioni di potenza, dobbiamo saper tenere insieme sia le ragioni
contingenti che quelle strategiche. Queste ultime alludono al fatto che lo
sviluppo ineguale delle forze economiche nelle varie regioni del mondo, e
lo sviluppo ineguale dei settori che abbiamo visto sopra, modifica
progressivamente l'equilibrio, la bilancia appunto, di potenza di queste
stesse regioni tra loro e tra i paesi che le compongono. Questa dinamica
concorre a creare i presupposti perché si squilibrino poi progressivamente
anche le bilance di potenza militari e politiche. Tenere sotto controllo il
progredire degli squilibri e raggiungere nuovi equilibri è elemento
essenziale delle politiche internazionali, militari ed economiche, delle
grandi potenze. Dobbiamo dunque riflettere al fatto che se è giusto cercare
oltre le cortine della propaganda i motivi economici possibili di un certo
conflitto, dobbiamo anche tenere presente che è la dinamica stessa degli
squilibri di potenza a esercitare un'attrazione fatale su quegli stati che
aspirano a mantenre o raggiungere un'egemonia globale o regionale.
Il controllo dello sviluppo dei settori strategici si esercita anche con il
controllo complessivo delle bilance di potenza regionali. L'attuale
crescente tendenza aggressiva, economica non meno che militare, degli Stati
Uniti, dell'Europa occidentale e, più timidamente, del Giappone non è
frutto di un ormai incontrastato potere, come vorrebbe il senso comune, ma
è all'opposto legata alla consapevolezza che gli establishment di queste
potenze hanno del loro inevitabile declino relativo, un declino che li
porterà ad essere in breve simili a paesi come la Cina, la nuova Russia,
l'India, il Pakistan, l'Indonesia, il Brasile, l'Iran. L'orizzonte del
declino relativo delle potenze attuali, ed in particolare degli Stati
Uniti, è anche qui non molto ampio, trent'anni e per certi aspetti molto
meno. Dopo di che, lo si è già ricordato su queste colonne, l'insieme di
paesi di cui s'è detto prima costituirà una serie di poli con potenza
economica e militare complessivamente superiore alla triade Stati Uniti,
Europa e Giappone, che tenterà di ritardare con ogni mezzo o
controllare/gestire gli esiti della crescita di tali paesi.
Si guardi con queste lenti all'utilizzo statunitense degli squilibri
prodotti dai primi bagliori della cosiddetta crisi finanziaria asiatica del
1997/98 e si otterrà la visione di una battaglia fondamentale che
l'establishment statunitense ha condotto per indebolire l'autonomia di
Giappone e Cina grazie all'indebolimento delle aree vicine di penetrazione
finanziaria e commerciale, i paesi emergenti dell'Asia orientale, la Corea
del Sud, la Thailandia, la Malaysia, l'Indonesia. E' noto che dopo la
crisi, buona parte degli apparati industriali e commerciali di questi
ultimi paesi è ripassata, a prezzi di realizzo, nelle mani della finanza Usa.


Il crocevia afghano
Si guardi ancora con queste lenti il rinnovato sfruttamento da parte di
Stati Uniti ed Europa di tutti i possibili elementi di crisi - terrorismo
compreso - nelle regioni mediorientali, caucasica e centro-asiatica: e si
mostreranno evidenti tutti gli elementi di un complesso gioco che mira in
primo luogo a impedire un rapporto più paritario dei paesi petroliferi di
queste tre regioni con le grandi compagnie energetiche statunitensi ed
europee e a contrastare il controllo degli stessi paesi sui corridoi di
trasporto delle proprie risorse verso i mercati. In secondo luogo a
mantenere conflittuale l'area di snodo tra Pakistan, India e Cina (ovvero
l'Afghanistan e il Kashmir), soprattutto per impegnare la Cina sul suo
fianco occidentale, impedirle di normalizzare le difficili relazioni con
l'India e conseguentemente contrastare una possibile cooperazione tra i due
giganti demografici mondiali. In terzo luogo a ritardare o rendere
difficile la ripresa della proiezione della Russia verso i paesi che si
affacciano o sono di transito verso l'Oceano Indiano, area di passaggio
strategico del commercio internazionale e delle rotte petrolifere verso
l'Asia e l'Europa; in quarto luogo ad inserire il cuneo della presenza
militare statunitense ed europea ai bordi meridionali e strategicamente
fondamentali (l'Afghanistan) dell'area di incontro tra Cina, Russia e
alcuni paesi asiatico-centrali, area definita di fondamentale importanza
dagli accordi di sicurezza siglati a Bishek due anni fa.
Molti altri esempi potrebbero essere fatti, ma ciò su cui mi sembra
importante continuare a lavorare - anche in relazione allo straordinario
oscuramento e censura che l'attuale presunta lotta al terrorismo ha portato
con sé - è proprio il piano strategico su cui si sviluppa oggi come non mai
l'azione delle potenze e l'immnensa ipocrisia dei nuovi signori della
guerra "giusta" e dei loro assordanti sostenitori nei media e nei
parlamenti. Nuova instabilità, nuovo terrorismo e nuove crisi consentiranno
di continuare a stabilire le regole del gioco nel futuro prossimo e a
questo puntano, ma le maggioranze cilene che hanno costruito nei parlamenti
europei e statunitense, e l'annullamento di qualsiasi possibilità di vero
dibattito di fronte all'opinione pubblica, sono il segno di un profondo
declino dell'occidente, non del contrario.