mercato del lavoro in veneto



dal manifesto di martedi 20 novembre 2001

  Cambio di stagione 
"Il mercato del lavoro nel Veneto. Rapporto 2001", curato da Veneto Lavoro
per Franco Angeli. Mappe e dati sulle nuove tendenze e le politiche
occupazionali del "modello Nordest" 
DEVI SACCHETTO 

L' economia italiana sembra aver ripreso forza nel corso degli ultimi anni
anche se le differenze territoriali rimangono le più acute tra i paesi
dell'Ue. L'imponente ristrutturazione del mercato del lavoro italiano ha
ribadito le disuguaglianze storiche, mentre la produzione giuslavoristica è
diventata sempre più voluminosa. Da questo punto di vista, il recente
volume Il mercato del lavoro nel Veneto. Rapporto 2001 (Franco Angeli, pp.
440), curato da Veneto Lavoro, l'ex Agenzia regionale per l'impiego,
fornisce un quadro dei processi in atto in una delle regione più dinamiche
nel decennio appena trascorso. Si tratta di un annuario, pubblicato ormai
da diversi anni, corredato da una ricca mole di dati statistici che coglie
in profondità alcuni aspetti della realtà veneta attraverso quattordici
saggi suddivisi in tre parti: tendenze, politiche e approfondimenti.
Nella prima parte si delinea la cornice di questo opaco mercato del lavoro
con un'analisi dei profili territoriali e della mobilità. Come sottolinea
Bruno Anastasia nel suo saggio "Le tendenze generali del mercato del
lavoro", il Veneto pur confermandosi a vocazione principalmente industriale
(48% degli occupati), attraversa un nuovo processo di ristrutturazione:
aumento delle imprese medio-grandi e del numero di dirigenti, quadri e
impiegati, mentre cala la quota di lavoro indipendente. Oggi quasi il 71%
dell'occupazione complessiva nel Veneto è alle dipendenze.
L'articolo di Anna De Angelini e Anna Giraldo si occupa invece dei flussi
in entrata e uscita dal lavoro. La distinzione netta tra occupati e
disoccupati non sembra più essere esplicativa in quanto i passaggi
lavorativi sono particolarmente intensi e ogni sostituzione avviene in un
tempo assai più breve della media italiana. Tale fluidità porta con sé una
maggiore frammentarietà delle esperienze lavorative che si trasforma in
emarginazione sociale, in particolare per quanti devono adattarsi ai
lavoretti precari e malpagati dove l'accumulo di conoscenze e di contatti
sociali è scarso. E' piuttosto nelle esperienze lavorative legate alla new
economy che la formazione nel lavoro è più ricca, garantendo contatti con
un numero più ampio di soggetti. Per i giovani veneti, "l'arrangiarsi" in
attesa di un "vero" lavoro diventa così un momento fondamentale della
propria identità professionale e talvolta uno stigma duro da nascondere.
L'immagine del mercato del lavoro locale nel Veneto sembra essere quella di
un barile ormai raschiato a fondo. Nel 2000 le forze di lavoro hanno
superato i due milioni, facendo lievitare i tassi di attività ufficiali e,
in particolare quello delle donne.
A giudizio degli autori, come anche di altri ricercatori della realtà
veneta, è che comunque tali percentuali devono essere corrette al rialzo a
fronte della grande mole di lavoro a nero o comunque irregolare. La
crescita del livello di scolarizzazione ritarda l'entrata formale nel mondo
del lavoro, ma poi nelle fasce centrali di età si lavora con più frequenza
rispetto ad un tempo. La mobilitazione al lavoro è intensa attingendo al
bacino di casalinghe come anche di studenti che coniugano lo studio con il
lavoro durante il periodo estivo non solo in attività stagionali tipiche
(turismo e commercio) ma pure all'interno del settore industriale.
L'espansione produttiva ha indotto un riversamento di capitali verso
contesti a più alta disoccupazione e più in generale verso aree dotate di
reti infrastrutturali idonee, ma tale decongestionamento interessa
solitamente le parti più povere del ciclo produttivo. Si tratta di un
doppio movimento: da un lato trasferimento di spezzoni produttivi
(nell'Europa orientale come nelle aree limitrofe, quali ad esempio le
province di Venezia e di Rovigo) e dall'altro azione di richiamo di
manodopera meridionale - scarsamente contabilizzata - e di migranti
stranieri provenienti sia direttamente dai paesi di origine sia da altre
regioni italiane.
Ogni anno vengono attivate circa mezzo milione di assunzioni, in
particolare di donne (44% di tutte le assunzioni) e migranti (15%). La
durata media di un posto di lavoro nel settore privato è scesa a circa due
anni, anche se per gli stranieri non supera i dodici mesi. I migranti sono
coloro che transitano più velocemente da una condizione lavorativa a
un'altra con una bassa permanenza nello status di disoccupazione.
La seconda parte del libro riguarda gli aspetti legislativi nazionali e le
politiche attuate dalla Regione Veneto. In particolare l'analisi delle
politiche del lavoro attive e passive è impressionante, dato l'intrico di
percorsi praticati per ampliare la base lavorativa. Per l'economia veneta
la necessità di reperire quote di forza lavoro a basso costo su vasta scala
è un'esigenza imprescindibile anche se per le politiche del lavoro si sono
spesi in Veneto solo 1600 miliardi, il 5% del totale nazionale. Anna De
Angelini ("Il nuovo apprendistato nel Veneto") analizza gli effetti
dell'ampliamento del novero dei soggetti interessati al contratto di
apprendistato - oltre il 14% dei nuovi avviati al lavoro. Per particolari
categorie - l'elettricista, la parrucchiera, l'idraulico e gli installatori
- l'apprendistato risulta la modalità prevalente d'ingresso.
I saggi forse più innovativi del volume si riferiscono ad alcuni studi che
cercano di cogliere i mutamenti e gli orientamenti dei diversi attori
sociali: dalla formazione nell'apprendistato al passaggio scuola-lavoro dei
giovani, all'interinale (meno del 2% di tutti i lavoratori dipendenti), al
lavoro degli stranieri, fino ai percorsi di reimpiego e alle nuove forme di
conciliazione delle controversie individuali. Uno dei saggi sicuramente di
maggior interesse - "Extracomunitari al lavoro: tre nodi statistici
affrontati (e risolti)" - è di tre ricercatori di Veneto Lavoro: Bruno
Anastasia, Maurizio Gambuzza e Maurizio Rasera. La forza lavoro
extracomunitaria in Italia è stimata in circa un milione di persone; 100
mila opererebbero nel Veneto con un aumento sostenuto in particolare negli
ultimi due anni - rispettivamente del 19% e del 28,6. All'apertura enorme
del numero di nazionalità presenti nel mercato del lavoro locale - si sono
contate fino a 120 nazionalità - corrisponde un'oculata gestione dei flussi
migratori che tende a strutturarsi su binari posati da tempo. Sono
lavoratori provenienti dal Marocco, dalla ex-Jugoslavia, dalla Romania,
dall'Albania e dalla Cina a costituire quasi il 50% del totale di nuovi
arrivati negli ultimi due anni: oltre il 52% dei lavoratori albanesi, il 36
degli iugoslavi e il 69 dei rumeni sono giunti nell'ultimo biennio.
A questo flusso di lavoratori in fuga dalla destabilizzazione economica e
politica di intere aree sembra essere offerto - quando c'è - un contratto
sempre meno stabile: fino al 1996 per il 72,3% di questi lavoratori
stranieri il primo contratto era a tempo indeterminato; nel 2000 si scende
al 48,4%. I lavoratori più stagionali degli altri sono gli africani, in
particolare i marocchini, occupati in agricoltura, negli alberghi e
nell'industria. A tale incertezza corrisponde probabilmente anche un
progressivo sottoinquadramento contrattuale: nel 2000 tre quarti delle
autorizzazioni per lavoro rilasciate riguardavano infatti la richiesta di
operai generici.
Come lascia intendere questa indispensabile pubblicazione, le sperequazioni
non sono soltanto territoriali, ma si rintracciano anche all'interno delle
singole aziende. Essa costituisce quindi la necessaria premessa per
ulteriori studi qualitativi che ci si augura potranno seguire.