un'altra globalizzazione e'possibile



dalla stampa di martedi 27 novembre 2001

 DOPO IL VERTICE DEL WTO A DOHA, LA BATTAGLIA PER CAMBIARE LE REGOLE DEL GIOCO
Un’altra globalizzazione è possibile

27 novembre 2001

di José Bové, 
François Dufour, 
Yannick Jadot 
e Bruno Rebelle

A giudicare dalla loro aria, affaticata ma compiaciuta, i negoziatori
europei sembravano contenti del compromesso raggiunto con grande sforzo a
Doha nei giorni scorsi. Anche gli americani, del resto. 

La nostra, invece, era un'aria contrariata. Rappresentanti di
organizzazioni sindacali, di cittadini, ecologisti e di solidarietà
internazionale, eravamo venuti a Doha per proporre un'agenda delle
trattative del tutto diversa. 

Chiedevamo una valutazione dell'impatto derivante dalla liberalizzazione
commerciale, in particolare nel campo sociale, ambientale e sanitario; una
riforma profonda dei meccanismi di negoziazione e di regolamentazione dei
conflitti per rendere il Wto (l’organizzazione mondiale del commercio)
trasparente, democratico e giusto; il riconoscimento da parte del Wto dei
principi di cautela, sovranità alimentare, servizio pubblico, non
brevettabilità del vivente; la subordinazione del diritto commerciale ai
diritti civili e politici, ai diritti economici, sociali e culturali, a
quelli dell'ambiente e del lavoro. 

In breve, reclamavamo l'avvio di una riforma del sistema di amministrazione
internazionale. Utopia? Può darsi. Ma quali altre risposte dare alla deriva
di giorno in giorno più drammatica della mondializzazione liberale, giacché
rifiutavamo di vedere il commercio guidare le nostre società e, alla stessa
maniera, rifiutavamo il ripiegamento nazionalistico? 

Ci sembra che il Wto si sia squalificato tanto nei metodi con i quali sono
stati condotti i negoziati, quanto per la sua incapacità a instaurare un
rapporto tra commercio e obiettivi sociali. Nella forma, prima di tutto.
Dopo Seattle, il Wto si era impegnato a divenire più trasparente e
democratico. 

Nei fatti, la conferenza si è svolta all'interno di un bunker con uno
spiegamento di forze militari e di polizia assolutamente fuori del normale
e tenendo le Organizzazioni non governative lontane dal centro nevralgico
in cui avevano luogo le riunioni ufficiali. 

Peggio ancora, il tanto vantato nuovo multilateralismo si è ben presto
trasformato nell'abituale egemonismo degli Stati Uniti e dell'Europa sui
negoziati, con i due partner-avversari intenti a usare ogni mezzo di
pressione, in particolare nei confronti dei paesi in via di sviluppo, per
raggiungere i propri scopi: il lancio di un nuovo ciclo di negoziazioni.
Evidentemente, sono riusciti nel loro intento. 

Ciclo dello sviluppo, ciclo della regolazione «perché dopo l'11 settembre
niente sarà come prima», eccoci tutti serviti. In conclusione, quello che
la conferenza ha lanciato è un ciclo di liberalizzazione. Agricoltura,
servizi, merci, sono stati fissati soltanto gli obiettivi della
liberalizzazione. 

A dispetto dell'opposizione dei paesi in via di sviluppo, nuovi temi
entreranno presto a far parte della negoziazione: concorrenza, mercati
pubblici, facilitazioni agli scambi e, probabilmente, investimenti. Che
resta degli obiettivi sociali? 

L'accordo sui farmaci generici rappresenta senza dubbio un passo avanti: è
la vittoria del diritto alla salute sul diritto di brevetto. Ma se i paesi
poveri possono ormai produrre o procurarsi farmaci generici, le società
farmaceutiche, ben rappresentate da Stati Uniti e Svizzera, non hanno
ancora detto la loro ultima parola. 

In effetti, l'autorizzazione per alcuni paesi in via di sviluppo a
esportare medicinali generici in altri paesi non è ancora cosa acquisita.
Facciamo in modo che la regolazione di questo problema avvenga nel modo
giusto e in tempi brevi. Soprattutto, questa vittoria apre una breccia nel
diritto di brevetto che dobbiamo estendere a sementi e risorse genetiche. 

Ma l'albero non deve nascondere la foresta. In agricoltura, per esempio, il
mandato di negoziazione per i prossimi tre anni riflette un compromesso tra
gli esportatori di prodotti agricoli favorevoli al libero scambio e coloro
che sostengono massicciamente la propria agricoltura. 

È un compromesso che non risponde né ai bisogni della stragrande
maggioranza dei produttori, né alle attese di consumatori e cittadini. La
difesa accanita delle sovvenzioni alle esportazioni sostenuta da Francia e
Europa è una cattiva battaglia. 

Questo strumento, legato al modello ultraproduttivistico che noi
respingiamo, si dimostra nel breve e medio periodo il peggiore nemico del
produttore e del consumatore, in Europa come in Africa. Il concetto di
sovranità alimentare che difendiamo e che certi politici hanno tentato di
recuperare di recente, è meno legato allo Stato-nazione di quanto non lo
sia ai popoli e alle società. 

Non si tratta per niente di ripiegamenti nazionalistici né di un generico
«ognuno per sé» o «ognuno a casa sua». Ma l'importanza del problema
alimentare è tale che le società devono potere scegliere la propria
politica agricola e i modi di approvvigionamento, all'interno o all'esterno. 

Sono indispensabili regole di cooperazione internazionale, per definire i
principi con i quali deve essere esercitata questa sovranità e le
responsabilità di fronte agli altri paesi: interdicendo, per esempio, ogni
forma di dumping negli scambi e, quindi, i sostegni alle esportazioni che
assumono la forma delle restituzioni in Europa, dei crediti
all'esportazione o di aiuto alimentare in America. 

In materia sociale, il Wto continua semplicemente a ignorare i diritti
fondamentali dell'essere umano che lavora. In materia ambientale, il
risultato è ancora peggiore perché si passa dall'ignoranza a una
subordinazione di fatto del diritto ambientale. 

La delegazione europea si è accontentata del paragrafo sull'ambiente
contenuto nella dichiarazione finale poiché comporta il necessario
chiarimento dei rapporti tra diritto commerciale e diritto ambientale. 

Errore o cinismo, come si è potuto consentire agli Stati Uniti di imporre
una semplice frase che stabilisce che i paesi non firmatari degli accordi
sull'ambiente non saranno obbligati ad attenersi ai risultati di questo
chiarimento? 

Questa frase non legittima soltanto l'atteggiamento irresponsabile degli
Stati Uniti per quanto riguarda la ratifica delle convenzioni sull'ambiente
(Kyoto per il clima, Cartagena per il commercio degli Ogm...). 

Essa spinge altri paesi a fare la stessa cosa per non sottostare al
rispetto dei propri impegni. In una «evidente» preoccupazione nei confronti
della protezione dell'ambiente, il settore dei beni e dei servizi
ambientali in particolar modo sarà liberalizzato rendendo per esempio un
bel servizio alle multinazionali dell'acqua o dell'incenerimento dei rifiuti. 

Se alcuni possono rallegrarsi di un nuovo ciclo, anche su scala ridotta, il
Wto, dal canto suo, si è squalificato nel lungo periodo proseguendo nel
contribuire alla globalizzazione liberale. Da parte nostra, non cesserà la
battaglia sui nostri campi d'azione privilegiati per un mondo più giusto,
equo e per uno sviluppo durevole. 

Più che mai «un altro mondo è possibile» e non ha niente a che vedere con
la conferenza di Doha. 


Bové è portavoce della Confederazione dei contadini, Dufour è
vicepresidente di Attac, Jadot è delegato generale di Solagral, Rebelle è
direttore generale di Greenpeace France.