Fwd: nessuno si stupisca se franano le 5 terre






-------- Messaggio originale --------
Oggetto: 	nessuno si stupisca se franano le 5 terre
Rispedito-Data: 	Tue, 25 Sep 2012 16:44:40 +0200
Rispedito-Da: 	economia at peacelink.it
Data: 	Tue, 25 Sep 2012 17:50:23 +0200
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da Eddyburg

*_Nessuno si stupisca se franano le Cinque Terre
_*Data di pubblicazione: 25.09.2012

Autore: Settis, Salvatore

*_Solo gli stupidi lo fanno, e gli imbroglioni fanno finta._* La
Repubblica ,25 settembre 2012

DAVANTI al rovinoso crollo di una delle più famose passeggiate
d’Italia, la “via dell’amore” alle Cinque Terre, vedremo dispiegarsi il
consueto rituale, identico a quanto accadde più o meno un anno fa a
Vernazza. Ministri e assessori deplorano le impensate fatalità, accusano
la sfortuna, il caso, la siccità, un acquazzone, le alluvioni, frane a
sorpresa, divinità ostili.E naturalmente pronunciano le più solenni
promesse.
«Presto un piano contro il dissesto idrogeologico», proclama pensoso il
ministro dell’Ambiente Clini. Evidentemente, essendo stato Direttore
Generale di quel Ministero per soli dieci anni prima di diventare
ministro, non ha avuto il tempo di pensarci prima. Questa ed altre
sceneggiate somigliano (come due gocce d’acqua) a quel che accade quando
crolla a Roma la Domus Aurea o il Colosseo, quando si sfarinano le case
di Pompei, quando si scopre che ville e musei, parchi e chiese,
sopravvivono per pura forza d’inerzia. Anche qui, grandi deprecazioni
del ministro di turno, dichiarazioni solenni, promesse immarcescibili.
Poi nulla. Fino alla prossima frana, al prossimo crollo, alla
prossima “disgrazia” di cui incolpare la sorte maligna.

E allora proviamo a ricordarcelo, che cos’è questa Italia. È il Paese
più franoso d’Europa (mezzo milione di frane in movimento censite nel
2007), il più soggetto al danno idrogeologico e all’erosione delle
coste, anche per «interventi sull’ambiente invasivi e irreversibili» sui
due terzi del territorio (dati Ispra). Per non dire del rischio sismico:
negli ultimi cento anni, circa 150 terremoti di cui una quarantina
gravissimi, 1600 Comuni colpiti, almeno 250.000 morti. Eppure a ogni
terremoto ci sbalordiamo come davanti a un evento imprevisto.

Non sappiamo costruire, in questo Paese, una cultura della prevenzione,
e le buone pratiche che ne conseguono. Dopo ciascuno di questa «serie di
sfortunati eventi », ci ritroviamo a leccarci le ferite, specialmente
quando ci siano di mezzo vite umane (anche nel crollo di ieri ci sono
quattro feriti, di cui due gravi). Siamo bravissimi a dimostrare
solidarietà, mobilitare protezione civile e volontari, raccogliere fondi
via sms. Siamo veloci a fare i conti degli enormi danni, non solo in
vite umane, ma in guasti all’ambiente, alle attività economiche, al
patrimonio pubblico e privato, all’immagine dell’Italia (i feriti di
Riomaggiore sono australiani), al paesaggio.

Una cosa sola non sappiamo fare: prevenire i disastri mediante la
manutenzione del territorio. Ricordiamo un precedente significativo:
nell’ottobre 2009, quando la frana di Giampilieri (presso Messina),
uccise almeno 37 persone, la posizione di quel governo fu espressa
icasticamente dalla sequenza di due dichiarazioni, a pochi giorni di
distanza dalla frana: il sottosegretario Bertolaso dichiarò che era
impossibile trovare due miliardi per mettere in sicurezza le franose
sponde dello Stretto, per giunta soggette a sismi di massima violenza
(l’ultimo, nel 1908, seguito da tsunami: 120.000 morti); il ministro
dell’Ambiente Prestigiacomo (Clini era il suo direttore generale)
dichiarò subito che il Ponte sullo Stretto andava fatto, e subito.
Riassumendo: due miliardi per mettere in sicurezza il territorio non si
trovano; dieci o venti miliardi per costruire un Ponte il cui costo
esatto nessuno è in grado di indicare,
sì.
Fra il governo Berlusconi e il governo Monti c’è, da questo punto di
vista, perfetta continuità. Sul fronte dell’ambiente, la promozione di
Clini da direttore generale a ministro ha un solo significato possibile:
gattopardescamente, «bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’è».
Si continuano a promuovere “grandi opere”, come l’inutile (se non
dannosa) Tav in Val di Susa e sotto Firenze; si propugna l’idea di
assediare le nostre coste con una cintura di piattaforme petrolifere. Si
proclama, per ora senza molto credito, che si troveranno per queste
imprese ottanta, novanta, cento miliardi. A quel che pare non viene in
mente a nessuno che la vera prima “grande opera” di cui l’Italia ha
bisogno è la messa in sicurezza dell’intero territorio, consegnato da
decenni alla speculazione e cementificazione selvaggia. Mettere in
sicurezza il territorio non vuol dire solo arginare le frane e prevenire
i sismi. Vuol dire prima di tutto promuovere l’agricoltura, anziché
mortificarla come costantemente si fa, e controllare il rapporto fra
suoli edificati e suoli coperti da vegetazione. Dovrebbe voler dire, per
questo governo, approvare con procedura d’urgenza l’ottimo disegno di
legge del ministro Catania sui suoli agricoli, anziché immetterlo in una
corsia lentissima, in modo che si arrivi alla fine della legislatura
senza averlo approvato.

Stracciarsi le vesti non serve, e specialmente poco credibile è chi se
le straccia, a ogni disgrazia, da più di dieci anni. Strutturare la
prevenzione è (dovrebbe essere) il primo passo per gestire l’emergenza,
e per ridurre il numero delle emergenze. Come scrisse molti anni fa
Giovanni Urbani, grande direttore dell’Istituto Centrale per il
Restauro, «ci vorrebbe assai poco, una volta saputo che quasi metà della
nazione è esposta a gravi rischi, proiettare su questa scala le perdite
subite a ogni evento [anche alle Cinque Terre], e calcolare il
corrispettivo danno economico che incombe sulla penisola ove
persistesse, come purtroppo certamente persisterà, l’assenza di ogni
politica di difesa del suolo e di consolidamento preventivo
dell’edilizia storica». O questa raccomandazione di un grandissimo
tecnico è troppo complicata da capire per il nostro “governo tecnico”?