“Giardino come bene comune”: dalla Garbatella la genetica della forma dell’urbano



“Giardino come bene comune”: dalla Garbatella la genetica della forma dell’urbano
Oscar Marchisio

In genere architetti e speculatori discutono banalmente dei prossimi grattacieli che ogni anno vengono eretti nella metropoli di New York o Shanghai mentre la discontinuità, la rottura, il nuovo nascono dal progettare e realizzare la “nuova forma dell’urbano” a partire dallo smontaggio dei prodotti e dal loro costo energetico, dal ridisegno dei trasporti e soprattutto da un nuovo-antico rapporto con la campagna.

Il giardino come bene comune, il giardino come confine del territorio fra città e campagna, questo il nuovo morfema urbano.

È quest’ultimo il nuovo registro entro cui progettare la dimensione urbana come manifestazione di una nuova catena corta che vede la campagna in città e viceversa l’urbano seminato nella campagna.
Per questo devono cambiare letteralmente le competenze e le professioni con cui progettare le città, partendo dal sistema di scambio energetico e dal terreno bioagricolo, come paradigmi del “Green ring” attorno al quale generare “metropoli”.

“Metropoli” cioè “madre di città”, questo il significato originario e fondante della città greca , capace non solo di essere città ma soprattutto di generare città e per generare città dobbiamo partire dalla loro sostenibilità alimentare ed energetica.

Per continuare lo sviluppo urbano tipo Londra o Shanghai servono architetti o al massimo urbanisti, mentre per pensare, coordinare e progettare la nuova metropoli occorrono ambientalisti, agronomi, giardinieri, ingegneri energetici ed designer per gli oggetti.

La “catena corta” tra produttori e consumatori, meglio cittadini consapevoli è il paradigma della nuova progettazione, coniugata con la rete lunga cioè la visione e la responsabilità dello smontaggio dei prodotti come sequenza della catena del valore industriale.

Oggi infatti in una fase “preistorica” dell’industria, diciamo nel paleolitico abbiamo la concezione industriale che pensa se stessa come attività di progettazione, fabbricazione e al massimo logistica prima del consumo.

Poi ci si affida a quel mostro devastante e ultraconservatore che è la cosidetta GDO, la grande distribuzione che crede ideologicamente di distribuire le merci ai consumatori, ma in realtà come Wal-mart dimostra serve a comandare sui produttori, governando sulla liquidità derivata dai consumatori come una vera e propria arma politica per ridurre i costi ed impedire ogni innovazione dei prodotti.
Per questo da Walmart alla Coop la grande distribuzione è il nemico, il nemico che comanda il consumo e la sua forma devastata e devastante sia della forma della città sia dell’autonomia del cittadino.
Drammatica nella Cina odierna la dinamica dello sviluppo delle città, tutte inequivocabilmente costruite attorno al Mall, al centro commerciale che diventa il centro della vita e il centro della forma umana del vivere.

Centri commerciali sempre più grandi, periferie sempre più vaste, standardizzione dei prodotti, distruzione dei mercati agricoli, crescita dei trasporti, inquinamento atmosferico e inquinamento delle menti tramite il comando della pubblicità, questo lo scena-rio della trasformazione urbana più vasta e veloce nella storia recente.

Proprio perché riteniamo che la forma della città sia il cuore della polis e dunque della politica, pensiamo che ripartire da progettare metropoli, meglio smontare quelle attuali e rimettere al centro i paradigmi della catena corta agricola e della rete lunga ecologica sia decisivo per entrare nella nuova “fase industriale” dove lo smontaggio dei prodotti finalmente farà parte della loro progettazione.
Designer dello smontaggio, ingegneri del disassembling, queste le nuove professioni da inventare e coniugare con i giardinieri e i bioagricoltori per progettare certo insieme ad i bioarchitetti e gli ingegneri ambientalisti la nuova forma dell’urbano.

Per questo vogliamo aprire una discussione sulle contraddizioni ed opportunità attuali sulla forma della città, attraversando i progetti di Gas, gruppi di acquisto solidale, le esperienze dei farmers market, le strategie per riorganizzare la logistica ed i trasporti per le produzioni alimentari biologiche come il progetto di City logistic di Pro.B.E.R, gli esempi di “mercatali” in Toscana ed altre regioni, la nuova funzione del giardino in città verificata e sostenuta da Bio-habitat, metodo ispirato al biologico, ed una critica serrata al modello devastante e energivoro dell’iper-auto-megalopoli.

Ritornare alla città vuol dire ritrovare il giusto equilibrio fra agorà e demos, fra sistema urbano e campagna, in realtà cibo per il corpo e cibo per la mente.
Laddove la “parola diventa carne”, là avviene il magico e sacro confine dell’umano con il suo futuro, per questo dalla “Casetta” si produce la nuova genetica dell’urbano e della sua qualità.



Oscar Marchisio

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