Appunti_Ministro



Per il Ministro dello Sviluppo Economico

-  AppuntI -

sulla questione del Rigassificatore a Brindisi
da parte delle sottoscritte Associazioni

La memoria della Brindisi LNG s.p.a. del 24 maggio 2007, presentata al
Ministero dello Sviluppo Economico in preparazione della Conferenza dei
Servizi convocata per la questione del rigassificatore di Brindisi e
svoltasi il 28 maggio scorso, non apporta, per la genericità e per
l’assoluta inconsistenza delle sue argomentazioni, alcun sostegno alle
ragioni “difensive” della predetta società e per contro conferma la
legittimità della procedura di autotutela e la doverosità del suo sbocco
nell’annullamento dell’autorizzazione ministeriale a suo tempo concessa.
Senza la pretesa di formulare una organica confutazione delle tesi della
LNG, compito spettante ai soggetti formalmente invitati a presentare note
integrative, le nostre Associazioni ritengono di dover offrire al Signor
Ministro dello Sviluppo Economico gli appunti di seguito riportati.
Pretesa natura politica dei motivi che sarebbero alla base della procedura
di autotutela
La società costruttrice ha preliminarmente fatto presente «tutto il proprio
stupore ed il proprio rammarico per la decisione dell’Amministrazione
procedente di avviare – in ragione di indebite sollecitazioni di natura
meramente politica – un procedimento amministrativo di autotutela che,
viceversa, costituisce tipico atto di gestione che doverosamente la legge
sottrae all’ambito ed alla sfera dell’indirizzo politico-ministeriale».
Sollecitazioni che, par di capire, avrebbero determinato il citato
procedimento di autotutela come «frutto diretto ed immediato – si legge
sempre nella memoria della società -  di un atto di indirizzo ministeriale
chiaramente eccedente dalla sfera propria delle decisioni politiche ed
indebitamente debordante nella sfera della gestione riservata alla cura e
alla responsabilità dirigenziali».
Ma quali sarebbero le «indebite sollecitazioni di natura meramente
politica» non è dato capire perché esse non vengono in alcun modo
specificate così come resta oscuro il significato attribuito dalla LNG alla
espressione «natura politica». Osserviamo al riguardo che le prese di
posizione delle Amministrazioni locali e della Regione Puglia, se a queste
si riferisce la società costruttrice quando parla « sollecitazioni di
natura meramente politica», sono sempre state ispirate da una rigorosa
valutazione dell’interesse pubblico come ne è prova indiretta il fatto che
esse sono scaturite da decisioni assunte all’unanimità dai rispettivi
organi deliberativi collegiali. Queste prese di posizione hanno poi trovato
positivo riscontro nelle scelte dell’Amministrazione centrale, prima, a
livello ministeriale con pronunce di indirizzo politico e successivamente a
livello propriamente amministrativo con atti dirigenziali di gestione. Dove
è dunque l’anomalia lamentata dalla Brindisi LNG? Il fatto è che la società
costruttrice sembra confondere la doverosa distinzione (che non esclude ma
invero implica un raccordo) fra la sfera di indirizzo politico-ministeriale
da quella della gestione riservata alle responsabilità dirigenziali con una
pregiudiziale separatezza tra i due momenti che è priva di qualsiasi
fondamento logico e normativo e che può essere fonte di comportamenti
schizofrenici da parte della P.A. con gravi conseguenze sul suo fisiologico
funzionamento.
Una considerazione infine ci sembra del tutto pertinente. Il rilievo della
società costruttrice ci induce infine a far notare che è stata proprio
detta società a ricorrere ad improprie ed indebite sollecitazioni ed
interferenze di natura politica, questa volta non certo mosse da interessi
generali ma da interessi particolari e di natura privata. Ne sono prova
alcune lettere, rese di pubblica ragione, inviate dal Primo Ministro Tony
Blair al Presidente del Consiglio italiano ed alcuni pesanti interventi
dello stesso Primo Ministro inglese sul nostro Governo, anche questi
pubblicizzati dalla stampa, operati in occasione di recenti incontri
internazionali di vertice. E questo per citare le indebite pressioni più
eclatanti tra le tante messe in atto, anche sul versante interno, dalla LNG
che ha ora l’ardire di denunciare pretese confusioni tra la sfera delle
decisioni politiche e quella delle responsabilità dirigenziali.
Pretesa violazione del principio di legittimo affidamento
Afferma la LNG che l’avvio della procedura di autotutela è avvenuto dopo
due anni e tre mesi dalla data dell’istanza con la quale l’Amministrazione
provinciale di Brindisi aveva chiesto all’allora Ministero delle Attività
Produttive di esercitare i poteri di autotutela nonché dopo un anno e due
mesi dalla Sentenza del Consiglio di Stato - sezione VI - numero 10023 del
2006, decisione che aveva fatto riferimento alla possibilità che la
questione del rigassificatore di Brindisi venisse affrontata in sede di
procedura di autotutela. Aggiunge poi la società che questi ritardi, come
quello più generale rispetto alla data di emanazione del contestato
provvedimento (21 gennaio 2003), sono tali da costituire un vulnus al
principio di legittimo affidamento. Tesi questa che risulta sorprendente ed
inaccettabile ove si consideri che l’avvio di una procedura di autotutela è
atto autonomo della Pubblica Amministrazione in nessun modo condizionato
nei tempi e nei contenuti dalle richieste o dalle sollecitazioni ricevute.
La Pubblica Amministrazione promuove la procedura di autotutela allorquando
acquisisce elementi di valutazione che la inducono a ritenere la
sussistenza di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla eliminazione
di un atto amministrativo affetto da vizi di legittimità o di merito. E lo
fa dopo i necessari approfondimenti e le doverose verifiche. Data la
complessità del caso e considerato che gli elementi di valutazione in
ordine all’illegittimità del provvedimento autorizzativo si sono potuti
acquisire solo quando vi è stato un avvicendamento nel governo delle
Amministrazioni locali, segnato dalle note inchieste penali sulla
“tangentopoli brindisina” che hanno visto coinvolti anche amministratori e
funzionari pubblici nonché figure dirigenziali della LNG, si deve ritenere
che il tempo impiegato per l’avvio della procedura di autotutela è da
considerare indubbiamente ragionevole e giustificato dal dovere di
procedere ad una ponderata valutazione di tutti gli aspetti che presentava
la complessa, tormentata e tortuosa vicenda.
Il riferimento poi al principio del “legittimo affidamento” risulta
improprio e privo di qualsiasi fondamento specie ove si consideri che la
LNG è stata resa edotta, prima dell’inizio dei lavori preparatori in vista
della costruzione dell’impianto, delle ragioni che venivano addotte a
sostegno delle illegittimità del provvedimento autorizzativo con motivate e
ripetute intimazioni e diffide da parte delle Amministrazioni locali. La
stessa società ha inoltre avviato e proseguito i detti lavori preparatori
fingendo di ignorare le ripetute prese di posizioni pubbliche dei vertici
delle Amministrazioni locali e della Regione Puglia nonché le tante
manifestazioni pubbliche di protesta che hanno visto scendere in piazza
migliaia di cittadini in cortei guidati dagli amministratori locali e dal
Presidente della Regione Puglia. La società costruttrice non può quindi
invocare il principio di affidamento né tanto meno minacciare pretese di
indennizzo. E ciò non solo perché la Legge 7-8-90 n. 241 non prevede alcun
indennizzo in caso di annullamento di un atto amministrativo determinato da
vizi di legittimità (mentre lo prevede per la revoca cagionata da ragioni
di merito) ma anche per i motivi dianzi esposti che hanno peraltro trovato
autorevole conferma nelle argomentazioni della sentenza n. 1628/2007 del 4
aprile scorso con la quale il Tar di Lecce ha affermato, in via
incidentale, la illegittimità del Decreto del Ministero delle Attività
Produttive n. 17032 del 21.01.2003 rilevando, tra l’altro, l’assoluta
infondatezza delle pretese risarcitorie della società costruttrice per
«l’assenza del presupposto di situazioni di legittimo affidamento da parte
della P.A. ed ancor di più, di profili di colpa »
Pretesa illegittimità della procedura di autotutela perché si sarebbe
considerata definitivamente accertata la illegittimità originaria del
provvedimento autorizzativo
La società LNG nella citata memoria afferma quanto segue: «la illegittimità
della procedura di autotutela che, con nota del 9 maggio scorso, si è
avviata è ancor più grave laddove tale nota assume che l’accertamento della
illegittimità originaria del provvedimento autorizzatorio oggetto di
riesame non sarà appunto uno dei principali oggetti di indagine del
procedimento, in quanto, tale così fondamentale accertamento sarebbe già
avvenuto nel corso di una “Conferenza dei Servizi Istruttoria” all’esito
della quale si sarebbe “riscontrata” l’esistenza di … originari vizi di
legittimità».  Si tratta di una argomentazione priva di qualsiasi
consistenza dal momento che la Direzione Generale dell’Energia e delle
Risorse Minerarie del Ministero dello Sviluppo Economico nella citata nota
in data 9 maggio di convocazione della Conferenza dei Servizi decisoria non
ha in alcun modo dato per accertata la «esistenza” di … originari vizi di
legittimità». Nella memoria della società si attribuisce all’autorità
competente (a pronunciare l’annullamento dell’atto) una valutazione che
nella nota del 9 maggio è invece chiaramente riferita ai rappresentanti
delle Amministrazioni locali e della Regione Puglia. Si menziona infatti in
tale nota, tra i vari elementi presi in considerazione, quello consistente
nel fatto che nella Conferenza dei Servizi istruttoria i rappresentanti
degli Enti Locali e della Regione Puglia «riscontrata l’esistenza di
originari vizi di legittimità», hanno «dapprima chiesto la sospensione
dell’efficacia dell’atto dei lavori di costruzione»  per poi domandare la
convocazione di una Conferenza decisoria.
Ma c’è di più e cioè che nella citata nota del 9 maggio si afferma
testualmente quanto segue: «ritenuto tuttavia necessario verificare in
conformità del citato art. 21 nonies della Legge 241\90 oltre alla
legittimità dell’atto, la sussistenza delle ragioni di interesse pubblico
per l’annullamento, il decorso di un termine ragionevole e la valutazione
degli interessi dei destinatari e dei controinteressati». Tale nota non dà
assolutamente per accertata in via definitiva la illegittimità dell’atto
tanto è vero che, nella sua parte conclusiva, viene convocata la Conferenza
dei Servizi decisoria per «adottare la determinazione di apertura di una
procedura di autotutela» ferme restando le determinazioni conclusive
sull’eventuale annullamento d’ufficio. E’ allora di tutta evidenza che
quando nella nota ministeriale del 9 maggio si dice «considerato che è
stata verificata la esistenza di vizi di legittimità di detta
autorizzazione» si fa solo riferimento alla sussistenza di tali originari
vizi per come  riscontrata dai rappresentanti degli Enti locali e dalla
Regione nella Conferenza Istruttoria dei Servizi e condivisa da tutti i
partecipanti a tale Conferenza. La LNG insomma si arrampica sugli specchi
cercando, per accreditare le sue censure, di dare per accertato in via
definitiva ciò che indubbiamente è emerso con chiarezza nelle Conferenze
dei Servizi istruttorie come indispensabile presupposto dell’avvio della
procedura di autotutela all’interno della quale l’autorità competente,
indubbiamente, conserva tutti i poteri di approfondimento e di verifica.
Violazione di legge consistente nella mancata effettuazione della procedura
di VIA
Il territorio di Brindisi è stato dichiarato area ad elevato rischio di
crisi ambientale (DPCM 1999, DPR 23.4.1998) nonché sito inquinato di
interesse nazionale (L. 426/98). Su detto territorio le  fonti più
rilevanti di inquinamento atmosferico sono le seguenti tre centrali
termoelettriche:

·        ENEL PRODUZIONE (centrale a carbone di Cerano da 2.640 MW;
produzione netta 2004 16.726 GWh; consumo annuo 6,5 mln t di carbone). Nel
piano di assegnazione delle quote di C02 l'impianto è il massimo produttore
nazionale di anidride carbonica, con emissioni nel 2006 di 22,8 mln di t.
rispetto ai 13,42 mln assegnati.
·        EDIPOWER (centrale a carbone di Brindisi Nord da 1.280 MW, consumo
annuo di quasi 2 mln t di carbone). Nel piano di assegnazione delle quote
di C02 all'impianto sono assegnate 3,3 mln t. La gestione dei 2 impianti e
i piani industriali delle 2 aziende si ritiene abbiano disatteso il D.P.R.
23.4.98 "Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della
provincia di Brindisi" che, recependo la convenzione del 1996 e il relativo
accordo sottoscritto dal Governo nazionale, prevedeva per i 2 impianti ex
ENEL emissioni massiche annue complessive di 13.000 t di S02, 10.000 t di
NOx e 1.700 t di polveri; inoltre l’Edipower ha esercito sino a novembre
2004 320 MW, non denitrificati, ed ha programmato la realizzazione
aggiuntiva di un ciclo combinato da 430 MW;
·        ENIPOWER Assetto dal 2006: centrale a ciclo combinato da 1.170 MW,
per una produzione prevista di circa 10.000 GWh all'anno. Nel piano di
assegnazione delle quote di C02 al nuovo impianto sono assegnate 984m t.
Alle dette centrali termoelettriche vanno aggiunti numerosi altri impianti
produttivi, tra cui il petrolchimico, l'inceneritore di rifiuti speciali
industriali, sansifici, stabilimenti per la produzione di conglomerati
cementizi e bituminosi e fornaci per la produzione di calce spenta.
Nel porto di Brindisi sono state scaricate nel 2004 7,3 mln t di carbone
(almeno il 30% dell'import nazionale) con Edipower attiva ancora su un solo
gruppo (320 MW anziché 640 MW) e potenziale complessivo nell'ordine delle
8,5 t. Nello schema di decisione di assegnazione delle quote di C02 per il
periodo 2005-2007 su Brindisi si concentra l'8% delle emissioni nazionali
di anidride carbonica. Ai macroinquinanti si aggiungono le emissioni di
microinquinanti per le quali non si dispone di dati significativi, né con
riferimento alle quantità complessive né con riferimento alla ricaduta al
suolo.
Nell'area industriale di Brindisi sono presenti insediamenti produttivi
classificati a rischio di incidente rilevante ai sensi del D.L.vo n. 334/99
(Seveso II) di titolarità delle società Aventis Bulk, Enel Produzione,
Basell Brindisi, Costiero Adriatica, Chemgas, Polimeri Europa e Sindjal. Da
tali impianti derivano ingenti flussi di sostanze pericolose, infiammabili,
esplosive e tossiche, movimentate via mare, strade e ferrovia. Questi
flussi si aggiungono al traffico del carbone. Non vi è quindi alcun dubbio
che a Brindisi il rischio di incidenti rilevanti (incendio, esplosione,
rilascio tossico) è marcatamente amplificato dalla possibilità del
cosiddetto "effetto domino".
E’ allora di tutta evidenza che nella indicata situazione ambientale la
realizzazione del progettato rigassificatore nel porto di Brindisi in
località Capobianco aggraverebbe a dismisura i danni e i rischi che già
gravano sulla comunità locale rendendo peraltro irreversibile il rovinoso
assetto della nostra economia e vanificando il progetto delle
Amministrazioni locali di promuovere un nuovo modello di sviluppo che,
razionalizzando e rendendo eco-compatibili gli insediamenti esistenti,
fosse capace di rilanciare l’economia e di far crescere concretamente e
durevolmente le occasioni di lavoro combattendo la piaga “storica” della
disoccupazione.
Il rigassificatore è invero un mega-impianto composto: da un terminale di
ricezione, stoccaggio e vaporizzazione di Gas Naturale Liquefatto, della
capacità di 6 mln di t per anno, atto a ricevere tale gas a temperatura di
-160,5 °C; da un nuovo molo dedicato esclusivamente all’attracco di navi
metaniere di capacità lorda compresa trai 70 mila ed i 140 mila m"; da due
bracci di collegamento al terminale (più uno per i ritorni dei vapori),
lunghi circa un chilometro; da un impianto di stoccaggio costituito da due
serbatoi fuori terra di 160 m" ciascuno con previsione di raddoppio; da
impianti di gestione vapori di boil-off, vaporizzazione, erogazione metano
ad alta pressione, per la rete nazionale distante circa 5 Km, e media
pressione per le utenze locali; da impianti accessori costituiti da un
sistema gas combustibile a bassa pressione, da un sistema acqua di mare per
la vaporizzazione, da un sistema acqua dolce/acqua potabile, stoccaggio e
vaporizzazione azoto liquido, da un sistema torcia, edifici e servizi,
stoccaggio e distribuzione gasolio, ecc.
Per la realizzazione dell’impianto di rigassificazione è necessario
procedere preventivamente – come la LNG ha tentato di fare -  alla
realizzazione di una colmata con l’apporto di 980 mila m" di materiale di
drenaggio e terreno e delle connesse strutture di contenimento, con
conseguente avanzamento della linea di costa per una superficie marina
complessiva di 140.000 m".
La incompatibilità ambientale dell’impianto di rigassificazione di Brindisi
è quindi di tale evidenza da rendere persino superflua la procedura di VIA
che era comunque doverosa e che è stata irresponsabilmente omessa anche
mediante comportamenti con risvolti tuttora al vaglio della giustizia
penale. Ed allora facciamo notare alla LNG che la procedura di infrazione
da parte della Commissione Europea nei confronti della Repubblica italiana
per violazione delle direttive 85/337 C.E.E. e 96\82 C.E. come la sentenza
n. 1628/2007 con la quale il TAR di Puglia – sede di Lecce ha giudicato in
via incidentale illegittima la concessa autorizzazione sono elementi di
giudizio che fortemente avvalorano l’apertura della procedura di autotutela
per giungere al ritiro del provvedimento autorizzativo. La LNG anche in
ordine a questo decisivo punto si limita a formulare generici e confusi
rilievi come quello secondo il quale non sarebbe stata fornita alcuna
motivazione circa la pertinenza dell’elenco delle opere contenuto
nell’allegato I delle ricordate Direttive alle opere che compongono il
rigassificatore di Brindisi e come quello per il quale mancherebbe
qualsiasi motivazione circa le ragioni per cui il molo del terminale
brindisino rientrerebbe nell’allegato I delle Direttive medesime essendo
esso interamente ricompreso all’interno del porto di Brindisi. Rilievi
questi che per la loro evidente inconsistenza dimostrano la debolezza e la
speciosità dell’intero impianto argomentativo della LNG.
A questo punto riteniamo utile riportare le annotazioni salienti di uno
studio del prof Carlo Giacomini, esperto di Valutazione dell’Impatto
Ambientale e docente di Trasporti Università IUAV di Venezia nonché membro
della Commissione Nazionale VIA dal 1997 al 2002, sulle ragioni per le
quali si sarebbe dovuto assoggettare ad una Valutazione d’Impatto
Ambientale il rigassificatore di Brindisi.
Scrive, tra l’altro, nel citato studio (che è certamente nella
disponibilità del Ministero dello Sviluppo Economico) il prof. Giacomini:
««Il terminale di Brindisi costituisce complesso portuale per lo scarico a
terra, lo stoccaggio e l'inoltro nel territorio retroportuale del GNL.
L'intero progetto costituisce quindi, certamente, «intervento sul porto
commerciale marittimo già esistente», cioè «modifica o estensione» da cui
deriverebbe un porto di Brindisi «con caratteristiche [fisiche e
funzionali] sostanzialmente diverse dal precedente» e che «possono avere
notevoli ripercussioni negative sull'ambiente», e perciò assoggettato a VIA
[DPCM, art. 1, c. 2, di recepimento dell'allora vigente Dir., All.. II,
13.]. Ma in quanto complesso portuale, interamente nuovo, completo ed
autosufficiente di ogni sua struttura e in ogni sua funzionalità (dal
proprio moto di scarico GNL alle aree ed impianti per il suo stoccaggio, ai
raccordi per il suo recapito al territorio), addirittura anche già di per
sè «rientra. nella categoria» di «porto commerciale marittimo» (complesso
costiero per lo scarico e lo stoccaggio di sostanze d'utilizzo
commerciale), il cui progetto per norma sia nazionale che comunitaria è
sempre assoggettato a VIA (statale, e-senza possibilità di screening)
[Dir., All. I, punti 8.b; DPCM, art. 1, c. 1, lett. h), come ha illustrato
la Circolare Min. Ambiente 30/3/1990, punto 2] ... Sulle norme indicate –
prosegue lo studioso - non incide in alcun modo l'art. 8 della L. 340/2000,
e ciò per motivi sia generali sia specifici al caso in oggetto. In
generale, infatti, l'art. 8 della 340/2000 non ha determinato alcun regime
d'esclusione di VIA per alcun tipo di rigassificatori. La 'semplificazione'
dei 'nulla osta' ambientale di cui al c. 3 riguarda solo il 'procedimento
.. di autorizzazione ... [per] l'uso o il riutilizzo di siti', ovvero
l'autorizzazione urbanistica (commi 1-4, con determinazione finale
'ministeriale' rilasciata con 'Conferenza dei Servizi' sul 'progetto
prelimínare'). Mentre la norma del comma 5 sulla ‘autorizzazione per la
costruzione ed esercizio degli impianti', cioè sull'approvazione finale del
progetto con decreto 'dei Ministri' (progetto di livello necessariamente
almeno 'definitivo' [perfino per le infrastrutture strategiche energetiche
della successiva Legge Obiettivo: art. 13, c.4 D.Lgs.190/2001,
ordinariamente oggetto di VIA [DPCM, art. 2, c.l; e ancora art. 13, cA
D.Lgs.190/2002]), non ha apportato alcuna esclusione di VIA o modifica di
regime VIA. Nè avrebbe potuto farlo utilizzando il solo criterio del regime
urbanistico dei sito ('siti industriali') invece che criteri oggettivi
riferiti al progetto, al contesto geografico-ambientale e ai prevedibili
impatti, come richiesto dalle norme sia comunitaria che nazionale [Dir.,
art. 4, par.2-3; DPR, art. 1, c.6]. E per di più, le 'semplificazioni'
dell'art. 8 della 340/2000 sono applicabili ai rigassificatori di qualsiasi
ambito geografico (quindi di per sè anche costieri) che siano però da
inserire in 'siti industriali' e non in siti portuali, come invece
palesemente e univocamente nel caso in oggetto. Ciò è comprovato anche dal
fatto che per l'eventuale 'variazione dello strumento urbanistico' di cui
al comma 4 è coinvolto solo il Comune, titolare esclusivo della
pianificazione e gestione ordinaria delle zone industriali dei territorio
comunale non portuale - (si fa riferimento alle ‘osservazioni e ..
opposizioni.. ai sensi della L. 1150/1942', legge urbanistica, e si prevede
la pronuncia definitiva del solo 'Consiglio Comunale) e non invece
l'Autorità Portuale, titolare primo della pianificazione e gestione del
territorio portuale (che non risulta mai richiamata, come non è richiamata
la normativa sulle procedure di adozione/approvazione del Piano Regolatore
Portuale).»»
A parere delle sottoscritte Associazioni, le conclusioni cui perviene il
prof. Giacomini, caratterizzate da una interpretazione innovativa della
normativa in materia, meritano attenzione e riflessione per la lucidità e
la persuasività delle argomentazioni che le sorreggono.
Violazione di legge consistente nella mancata consultazione delle
popolazioni interessate in applicazione della cosiddetta Direttiva Seveso
Sulla mancata consultazione delle popolazioni interessate i rilievi della
Brindisi LNG sono davvero sorprendenti. La società ammette l’omissione ma
si rifugia in un preteso difetto della «Normativa di Attuazione necessaria
per lo svolgimento del procedimento consultivo al di fuori della procedura
di Impatto Ambientale». Finge di ignorare la società costruttrice che, come
è stato rilevato anche dal Ministero dell’Interno, è mancata la
consultazione delle popolazioni interessate in applicazione della Direttiva
Seveso il cui atto di recepimento, il d.lgs. 334/1999, prevede lo
svolgimento di tale adempimento nell’ambito del procedimento di VIA o di
formazione dello strumento urbanistico. Ma a questo riguardo c’è da dire
molto di più e cioè che le popolazioni interessate sono state tenute
completamente all’oscuro di quanto avveniva nei meandri di certi “palazzi”
e che non vi è stato alcun coinvolgimento dei Consigli comunale e
provinciale. Il procedimento autorizzativo si è svolto quindi senza che i
cittadini ed i consessi rappresentativi della comunità fossero informati di
quanto si andava decidendo e senza alcuna possibilità di far sentire in
qualche modo la loro voce. Si è svolto insomma un procedimento
sostanzialmente segreto o quanto meno riservatissimo che forse nel nostro
Paese non ha precedenti nella storia di simili casi.
Eccesso di potere determinato dalla falsa prospettazione
dei presupposti del provvedimento autorizzativo
La Conferenza istruttoria del 22 marzo e quella decisoria del 28 maggio
hanno quindi ravvisato la sussistenza delle condizioni per lo svolgimento
di un procedimento di autotutela individuandole nella mancata effettuazione
della prescritta Valutazione d’Impatto Ambientale e nella mancata
consultazione delle popolazioni interessate. Le nostre associazioni, in
perfetta sintonia con le Amministrazioni locali, sostengono che ai due
indicati motivi di illegittimità per “violazione di legge” se ne deve
necessariamente aggiungere un terzo per “eccesso di potere”. Ed infatti
dopo anni di accurate indagini, di accertamenti e di provvedimenti di volta
in volta resi noti dalla stampa, la competente Autorità giudiziaria ha
disposto arresti, perquisizioni, avvisi di garanzia nonché il sequestro
dell’area destinata all’impianto contestando i reati di concussione,
corruzione, falso ed altre violazioni della legge penale. La Magistratura
ha quindi disegnato uno sconcertante scenario di macchinazioni, loschi
affari, scorrettezze, irregolarità, falsità ed abusi che hanno dato luogo
alla cosiddetta “tangentopoli brindisina”. Ciò emerge da provvedimenti
giudiziari, resoconti di intercettazioni telefoniche, verbali di
interrogatori e di testimonianze e documenti acquisiti dagli inquirenti. Il
contenuto di questi atti è stato spesso riportato integralmente dalla
stampa locale dando luogo a “fatti notori” dai quali non è possibile in
alcun modo prescindere.
Sappiamo bene che le responsabilità penali sono tali solo a seguito di
sentenza definitiva di condanna ma è di tutta evidenza che gli sviluppi
dell’inchiesta clamorosamente riferititi – lo ribadiamo - dalla stampa
locale (i cui resoconti sono certamente nella disponibilità di Codesto
Ministero) mettono in rilievo fatti che per le dichiarazioni degli stessi
indagati dimostrano, con la loro inconfutabile oggettività e con la loro
palese pacificità, che il provvedimento autorizzativo è stato emesso sulla
base di presupposti gravemente inficiati da una montagna di illeciti
comportamenti. Una cosa è allora la eventuale responsabilità penale degli
indagati che può essere affermata solo a seguito di un giudicato penale
mentre altra cosa sono le illegittimità procedurali e gli abusi di potere
che si possono cogliere a piene mani da quanto incontestabilmente è emerso
dalla inchiesta giudiziaria. Diversamente opinando si finirebbe invero per
sostenere l’assurdo e cioè che fatti gravissimi e tali da inficiare
radicalmente l’intero procedimento amministrativo sfociato
nell’autorizzazione alla costruzione dell’impianto non sarebbero valutabili
in sede di autotutela per il solo fatto che essi, proprio per la loro
idoneità a deviare la volontà della Pubblica Amministrazione, hanno
determinato l’intervento della Giustizia Penale. Si tratta in sostanza di
“fatti storici” che, per la loro valenza oggettiva, possono essere
liberamente valutati dall’Autorità amministrativa nel corso del
procedimento di autotutela per accertare che l’autorizzazione venne
concessa con un atto della Pubblica Amministrazione viziato da errore (da
qui l’“eccesso di potere”) nel quale la medesima Amministrazione era stata
indotta da una non corretta rappresentazione dei presupposti richiesti per
l’emissione del provvedimento.
A fronte di una tale situazione affermiamo che non avrebbe alcun senso una
soluzione intesa a far effettuare una postuma procedura di VIA perché una
tale scelta risulterebbe aperta ad una possibile convalida
dell’autorizzazione. Ora, va detto chiaramente che una “VIA” postuma non
appare praticabile perché, anche a voler prescindere dalla considerazione
che l’incompatibilità ambientale dell’impianto emerge alla luce delle
regole di comune esperienza con una evidenza tale da non richiedere alcuna
verifica tecnica, un simile accertamento risulterebbe del tutto inutile
perché non servirebbe ad emendare l’autorizzazione amministrativa dal vizio
di “eccesso di potere” costituito appunto dall’errore nel quale la P. A. è
stata indotta dalla falsa rappresentazione dei presupposti sulla base dei
quali è stato emesso il suddetto provvedimento.
Sussistenza dell’interesse pubblico all’annullamento dell’atto
Nella citata memoria la LNG esprime la sua sorpresa per il fatto che il
Ministero procedente «e per esso la Direzione Generale dell’Energia e delle
Risorse Minerarie non faccia minimamente accenno agli interessi pubblici
primari che esso ha in cura» e cioè quelli dell’approvvigionamento
energetico. Un rilievo questo che si appalesa davvero paradossale ove si
consideri che la LNG non ha tenuto in alcun conto gli interessi collettivi
della comunità brindisina per come interpretati dai cittadini interessati e
dalle loro istituzioni ed ha portato avanti i lavori preparatori per la
realizzazione della piattaforma a mare a dispetto di tutti gli avvertimenti
del Comune, dell’Amministrazione provinciale e della Regione nonché a
dispetto anche delle dichiarazioni rese dal Governo al Parlamento (il 26 e
27 settembre, rispettivamente alla Camera dal Ministro Santagata ed al
Senato dal sottosegretario Bubbico) in risposta ad alcune interrogazioni,
dichiarazioni con le quali l’Esecutivo preannunciava la riapertura del
procedimento amministrativo. E questi lavori preparatori la Società ha
dovuto interrompere successivamente solo a seguito del sequestro del
cantiere disposto dall’Autorità giudiziaria penale.
Sulla base di tale considerazione, le sottoscritte Associazioni si limitano
a rilevare che l’interesse pubblico richiesto per l’annullamento è quello
che emerge dagli sviluppi della intera vicenda, dagli orientamenti
ripetutamente espressi dai vertici dell’Amministrazione locale e dalle
scelte della Regione Puglia. E non vi è dubbio che questo interesse,
concreto e attualissimo, deve essere valutato dalla competente autorità
ministeriale tenendo ovviamente anche conto dell’interesse generale del
Paese. Ora, precisato che non è certo in discussione l’interesse pubblico
all’approvvigionamento energetico anche attraverso gli impianti di
rigassificazione, è di tutta evidenza che questo interesse non può essere
salvaguardato con la costruzione di un rigassificatore nel porto di
Brindisi per tutte le ragioni che con la forza persuasiva dei fatti sono
emerse anche nel corso delle citate Conferenze dei Servizi. Ne discende che
indubbiamente sussiste l’interesse all’annullamento del provvedimento
autorizzativo perché la realizzazione dell’impianto a Brindisi sarebbe il
“frutto” di una incredibile serie di gravissime illegalità (alcune delle
quali anche di rilievo penale), costituirebbe un attentato a diritti
fondamentali dei cittadini e vanificherebbe in radice i progetti di un
“diverso” sviluppo economico che le amministrazioni locali, subentrate a
quelle naufragate a seguito delle note inchieste giudiziarie, si sono
democraticamente dato per aprire alla nostra comunità un futuro di speranza
e di ripresa.
Brindisi, 4 giugno 2007

Italia Nostra, Legambiente, WWF, Coldiretti-TerraNostra, Fondazione “Dott.
Antonio Di Giulio”, Fondazione “Prof. Franco Rubino”, A.I.C.S., ARCI,
Circolo ACLI Brindisi, Forum ambiente salute e sviluppo, Medicina
Democratica, Comitato per la Tutela dell’Ambiente e della Salute del
Cittadino Comitato cittadino “Mo’ Basta!”, Comitato Brindisi Porta
d’Oriente.



Recapito per comunicazioni:
c\o Giorgio SCIARRA
Via De Flagilla 3 – BRINDISI
tel 0831. 590418
giorgiosciarra at alice.it




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