Il Comitato Notriv con il Pattomutuosoccorso: Articolo de "La Stampa" (LEGGETE!!!)







Cari amici Notriv di tutta Europa, vi invito a leggere questo articolo
interessantissimo in cui il COMITATO NOTRIV è citato più di una
volta...questo è solo positivo, vuol dire che ormai è diventato un realtà
nazionale non indifferente.

Questa è la NUOVA TENDENZA POLITICA della Gente, stanca della crescita
infinita a discapito del territorio  e ... del futuro.

Se avete collegamenti con altre testate "LIBERE" dateceli e invieremo loro
i nostri comunicati.

Grazie.

Vincenzo Moscuzza

<http://www.notriv.it>www.notriv.it

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SPECCHIO - supplemento del quotidiano "La Stampa" di Torino, 24/03/07


In copertina: Dalla val di Susa alla Sicilia si moltiplicano i comitati di
chi non ci sta. E' il rifiuto della politica tradizionale, fatta di tessere
e di disciplina di partito. Viaggio fra i militanti che si convocano con
web e sms. E che ora si sono uniti in un PATTO.




Servizio a pag. 42: C'è chi dice No.

Dall’alta velocità allo smaltimento rifiuti, non c’è grande opera che non
porti in piazza un comitato di cittadini. Politici e sociologi avanzano
spiegazioni. In val di Susa, intanto, si torna a sfilare 

FABIO POLETTI

No Tav, No Mose, No Base Dal Molin, No Ponte di Messina. E pure No Scorie
in Basilicata, No Coke a Tarquinia, No Tangenziale a Magenta, No Triv
(trivellazioni) in Val Di Noto. E prima di tutto No Tav, il popolo
contrario all’alta velocità, che oggi torna a marciare da Trana, in val
Sangone, ad Avigliana, in val di Susa. Dal Piemonte a Bolzano alla Sicilia,
non c’è grande opera senza un comitato di cittadini che la contesti. Gente
comune, casalinghe, operai, impiegati, studenti, spesso senza tessera di
partito e alla prima esperienza politica, qualche volta un passato di
militanza che va fin troppo stretto. Obbedire al proprio governo di
riferimento che vuole i treni ad alta velocità o fare di testa propria a
casa propria? Dire sì all’ampliamento della base americana in nome della
nuova santa alleanza occidentale o lasciare per sempre il partito
celodurista?

Ogni comitato ha la sua storia. Ogni storia si ripete. Più di settanta
volte. Quanti sono i comitati che lo scorso dicembre hanno firmato il
«Patto nazionale di solidarietà e mutuo soccorso». Ventinove righe e un
sito web –
<http://www.pattomutuosoccorso.org/>http://www.pattomutuosoccorso.org/ –
che stanno ridisegnando il modo di fare politica e stanno dando un nuovo
senso alla parola «partecipazione». Scrivono i firmatari del Patto: «Il
Patto è uno strumento per chi lotta per la difesa del proprio territorio,
contro le grandi opere inutili e contro lo scempio delle risorse ambientali
ed economiche ». Specificano: «Il Patto non è una sede decisionale, è una
cornice per valorizzare le esperienze, è una sede in cui praticare la
solidarietà e l’aiuto reciproco». Poi aggiungono, quasi a dettare le regole
di come rapportarsi con i partiti: «Il Patto non è un tentativo per
infiltrarsi di soppiatto nella politica di palazzo nè intende farsi
ospitare nei palazzi della politica. Il Patto non ha governi amici a cui
guardare con fiducia, né ha partiti a cui consegnare deleghe in bianco».
Regole chiare applicate con rigore: il 10 marzo a Bolzano, dove alla prima
manifestazione contro l’ampliamento della linea ferroviaria tra Innsbruck e
Fortezza (56 chilometri di gallerie sotto il Brennero) non c’era una
bandiera di partito; a Vicenza il 17 febbraio, 100 mila in corteo contro
l’ampliamento della caserma Ederle e il progetto Dal Molin (dove dovrebbe
essere centralizzata tutta la 173° Divisione aviotrasportata Usa), corteo
in cui gli spezzoni dei partiti e dei sindacati stavano dietro, molto
dietro i primi 40 mila vicentini in corteo solo con le bandiere «No Dal
Molin». Spiega Alessandro Borzaga, del comitato No Tav-Kein BBT di Bolzano:
«I partiti non rappresentano più gli interessi locali. Tutti avvertono una
forte delusione. Il bello di queste iniziative lo abbiamo visto in Val di
Susa quando a lottare contro i cantieri c’erano sindaci, preti, comunisti,
anarchici, gente comune senza appartenenze di partito».

Quelli del Patto dicono che togliere i simboli della politica ufficiale
moltiplica le adesioni alle iniziative: «Quando non ci sono più bandiere di
sinistra o di destra è facile che si trovino obiettivi comuni». A Vizze, un
piccolo centro del Trentino-Alto Adige vicino a Vipiteno verso il passo del
Brennero, dove dovrebbero sorgere i primi cantieri per la linea ad alta
velocità, hanno promosso una raccolta di firme. Su 2.619 abitanti, contando
pure i neonati, hanno firmato in 900 contro questa grande opera. A Vicenza
l’8 marzo, in una infuocata seduta del consiglio comunale, presenti anche
gli esponenti del Comitato per il sì all’ampliamento della base Usa, in
un’ora – grazie agli sms dei telefonini – si sono mobilitati in 300 per
ribadire il no al Dal Molin. «Quelli più in difficoltà sono i dirigenti
locali di partito, anche quelli della sinistra radicale che appoggiando il
governo Prodi che ha detto sì all’Alta velocità si trovano davanti a un
bivio: seguire le direttive dei vertici nazionali o dare ascolto alla
base?», infila il dito nella piaga Alessandro Borzaga, 48 anni, informatore
medico scientifico. Nella piaga c’era pure Franca Equizi, consigliere
comunale a Vicenza, prima tessera della Lega di Umberto Bossi nel 1992,
espulsa dal partito l’anno scorso: «Meglio così. Mai avuto dubbi. Io
continuo ad essere d’accordo con l’autodeterminazione dei popoli e per la
salvaguardia dei territori ». Formidabili i duelli tra la battagliera ex
leghista e il sindaco della città di Vicenza Enrico Hullweck di Forza
Italia, favorevole all’ampliamento della base Usa, contrario a un sondaggio
che chiami i vicentini a dire la loro. Anche se per anni sono stati insieme
nella Casa della Libertà, Franca Equizi non disdegna oggi di manifestare
con i No Global: «Se è per questo anche dieci anni fa la Lega era contro la
guerra in Kosovo. Sono i politici che dovrebbero preoccuparsi. La
tentazione è quella di fondare un altro movimento».



Una tentazione che nel Patto nazionale di solidarietà e mutuo soccorso
viene esclusa nero su bianco: «Non intendiamo percorrere strade che ci
portino a diventare partito». Ma contro ogni desiderio c’è già chi ha
pensato di correre ai ripari. Marina dell’Assemblea permanente contro
l’ampliamento della base Usa lo spiega chiaramente: «”No Dal Molin” è un
marchio registrato. Non ci potrà mai essere un partito o un simbolo
elettorale con questo nome». Qualche esperienza di base alle spalle,
nessuna tessera, Marina racconta che questo movimento è ancora all’inizio:
«È un’esperienza nuova, chi viene dalla politica deve cambiare testa.
Questa trasversalità di presenze non si era mai vista. Ci sono luoghi dove
in testa alla protesta ci sono i sindaci. In altri posti i rappresentanti
delle istituzioni seguono più le direttive di partito». Una differenza che
mette in crisi interi modelli. Aldo Bonomi, sociologo e fondatore del
consorzio A.A.Ster, cita l’esempio più classico: «Di fronte allo sviluppo
di grandi opere i primi ad andare in crisi sono i sindacati. C’è chi giura
che la cosa più importante sia il lavoro e chi invece ritiene che sia il
rispetto della comunità». I sindacati si dividono allora di fronte alle
promesse di grandi investimenti che porteranno ricchezza al territorio. È
successo in Val Di Susa con l’Alta Velocità. Lo stesso sta accadendo con
l’ampliamento della base Usa a Vicenza, dove il console americano a Milano
Deborah E. Graze pigia sull’acceleratore: «Nella città veneta siamo il
primo datore di lavoro a Vicenza. Oggi spendiamo 176 milioni di euro
l’anno, nel 2011 saranno quasi il doppio». Una proposta allettante
destinata però a frantumarsi davanti a quel cartello esibito al corteo dei
100 mila a Vicenza del 17 febbraio: «Se ampliano la base americana non si
potrà più circolare più in via Tasso».

Analizza il sociologo Aldo Bonomi: «È la vittoria dei localismi. Di fronte
alle spinte della globalizzazione, ogni luogo ridisegna la propria
dimensione. Vale per i comitati contro le grandi opere come per le
manifestazioni di quartiere per avere una maggiore sicurezza. Gli unici
fuori gioco sono i politici che non hanno imparato a mettersi in mezzo». E
allora si torna al punto di partenza. Ai partiti che non capiscono la
gente. Alla politica con la «P» maiuscola spiazzata da questi comitati dove
si trovano fianco a fianco il sindaco e il parroco, il militante di
sinistra e quello di destra, i vicini di casa soprattutto. Maurizio
Piccione, di Villardora in Valle di Susa, operaio, 37 anni, due figli, da
15 anni contro la Tav, mai avuta una tessera in tasca, lo dice senza tanti
giri di parole: «È sbagliato dire che i comitati sono contro i partiti. È
solo difficile trovare partiti amici». I 12 punti del rinato governo Prodi,
quelli dove si dice sì senza «se» e senza «ma» alla nuova linea dell’Alta
velocità, hanno spiazzato molti, a sinistra e non solo. Per quelli del
Patto è solo una conferma. Maurizio Piccione è l’ultimo a scomporsi: «Non
guardiamo al colore dei governi. La Val di Susa ci ha insegnato ad essere
trasversali. È la cosa più destabilizzante».

Il comun denominatore, dal Piemonte al Veneto alla Sicilia, diventa allora
uno solo: «Questo sviluppo infinito non ci piace». Con la voglia di essere
padroni in casa loro, i comitati contro le trivellazioni petrolifere, i
rigassificatori, il ponte di Messina, la linea dell’Alta velocita che passa
dal Nord Ovest al Nord Est, da Berlino alla Sicilia, tessono una rete per
scambiare idee ed esperienze. «Ogni comitato deve portare avanti da solo la
sua iniziativa. Il Patto non è una sede decisionale». Troppo spesso, sono i
partiti a guardare e non capire quello che sta succedendo. L’esponente dei
No Tav della Valle di Susa è esplicito: «I partiti, di sinistra o di
destra, hanno lo stesso problema: non capiscono più la gente che non vuole
più delegare scelte fondamentali della propria vita». Alla fine, anche se
sono passati 15 anni dalla prima volta che ha pensato che fosse giusto fare
qualcosa contro il supertreno che doveva passargli davanti a casa, Maurizio
Piccione ammette: «Non avrei mai immaginato quello che sarebbe successo
dopo».

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