La mucca puzza, l'auto puzza e inquina



Dal "Manifesto" di venerdi 20 gennaio 2006

AMBIENTE

La mucca puzza, l'auto puzza e inquina
di GUIDO VIALE

La strada e la piazza (agorà) sono «spazio pubblico» per eccellenza, così
come l'abitazione e l'impresa sono per eccellenza spazi privati. Lo spazio
pubblico è il luogo di incontro fisico o virtuale - cioè di confronto, di
mediazione, di cooperazione, ma anche di conflitto e di scontro - tra i
diversi interessi che si costituiscono all'interno degli spazi privati. La
strada è un bene comune, esposto, come tutti i beni pubblici a quella
Tragedy of the Commons evidenziata nel 1968 dall'economista inglese Garret
Hardin: se tutti ritengono illimitato il proprio diritto a usufruire di un
bene pubblico, la sua capacità di carico verrà superata e il bene, il
common, si deteriorerà o scomparirà a detrimento di tutti. La maggior parte
di noi, cittadini dell'Occidente, ma ormai anche larga parte dei cittadini
del resto del pianeta, è stata portata a credere di essere titolare di un
diritto illimitato a occupare lo strade - e soprattutto le strade urbane -
con le proprie automobili. Basta comperare un'automobile (non tutti, per la
fortuna degli automobilisti, ce l'hanno) e questo diritto non te lo toglie
nessuno. Per questo lo spazio pubblico consegnato alle automobili si è
deteriorato e è praticamente scomparso come luogo di vita e di incontro
degli umani. E con lo spazio pubblico è scomparsa l'essenza stessa della
vita urbana: la convivenza, l'incontro e il confronto non programmato o
istituzionalizzato di pratiche, stili di vita, culture, storie diverse.
Cioè, la base materiale della democrazia, e anche ciò che ha fatto della
città nella storia la sede privilegiata dello sviluppo culturale e
dell'innovazione. L'automobile prolunga infatti sulle strade, rinserrandoci
tra le sue lamiere, l'isolamento e l'idiotismo della vita privata.

Il pensiero dominante risponde alla tragedy of the commons con l'encolsure,
la recinzione, l'appropriazione privata: per salvaguardare il bene pubblico
- nel nostro caso, la strada - occorre privatizzare: non tanto
l'infrastruttura (anche se le autostrade sono state privatizzate), quanto
il diritto di accesso. Attraverso una tariffa di ingresso il mercato,
provvederà a regolamentarlo in modo da salvaguardare la risorsa e
svilupparne la produttività e il benessere che questa non mancherà di
generare. Questa soluzione attenua sicuramente l'impatto negativo del
traffico - il congestion charge di Londra, Hong-kong, Singapore, e ora
anche di Stoccolma, sono esempi di successo di questa misura -, riduce
l'inquinamento, penalizza i poveri e premia i ricchi: e fin qui tutto è «in
regola» con i principi del libero mercato. Ma rischia di paralizzare la
città, se le persone appiedate non troveranno a disposizione per tempo
servizi pubblici alternativi e di capacità adeguata per spostarsi. E,
soprattutto, rischia di bloccare il metabolismo urbano, perché non è detto
che l'importanza delle funzioni urbane - cioè delle attività che ciascuno
di noi svolge - corrisponda alla capacità di pagare la tassa di ingresso in
città. La congestione del traffico rappresenta un classico esempio di
«fallimento del mercato».

La vera alternativa allo stato di cose esistente consiste nel dichiarare
«area protetta» il bene pubblico rappresentato dalle strade urbane, e di
sottoporle a vincoli rigorosi che garantiscano la salvaguardia delle sue
funzioni più proprie; così come l'istituzione di aree protette (i parchi)
affronta e risolve il problema della salvaguardia dei beni naturalistici
assai meglio di quanto abbiano fatto le enclosures: sia dal punto di vista
del valore - non solo ambientale, ma anche economico - delle risorse, che,
ovviamente, da quello dell'equità. Dichiarare le strade urbane area
protetta significa vietarle al traffico privato: cioè a tutti quei veicoli
che non svolgono un servizio pubblico o di pubblica utilità:
caratteristiche, queste, che vanno valutate e negoziate in modo mirato,
caso per caso, e che possono variare nel tempo e a seconda delle
circostanze; una valutazione e una negoziazione che rientrano tra i compiti
di assoluta priorità delle autorità che hanno in carico la gestione del
territorio. Ma può un amministratore pubblico, un partito, una coalizione,
presentarsi alle elezioni prospettando l'abolizione del traffico privato?
Certamente no. Questo dovrebbe essere, per cominciare, compito degli uomini
di cultura: urbanisti, economisti, sociologi, medici, meteorologi,
giornalisti, insegnanti, scrittori e artisti: tutta gente che oggi è
lontana mille miglia anche solo dal concepire una cosa del genere e che in
questa abdicazione trova una delle cause della perdita del proprio ruolo.

Ma, attenzione! La storia va avanti. Cinquanta-sessanta anni fa i
democristiani batterono ripetutamente le sinistre spiegando ai contadini
che se avessero vinto «i rossi», questi gli avrebbero portato via la vacca
dalla stalla. In parte era una menzogna, perché nessun comunista italiano
ha mai pensato di portar via la vacca al contadino. In parte aveva un
fondamento, perché in Unione sovietica i comunisti avevano effettivamente
portato via vacche e maiali ai kulaki, facendoli morire di fame. Poi, però,
in Italia era arrivato il miracolo economico e il «benessere» aveva
raggiunto anche le campagne; i contadini rimasti si erano trasformati in
agricoltori; le vacche erano state trasferite in allevamenti di massa
(peraltro tutt'altro che razionali) e tutti avevano imparato a comprare
latte e carne al supermercato.

Se oggi qualcuno proponesse agli agricoltori di riprendersi qualche vacca
in casa - o addirittura di vivere con loro nello stesso locale, per
riscaldarsi durante l'inverno, come si faceva un tempo - verrebbe mandato
al diavolo. Perché? Perché la vacca in casa o nella stalla di casa sporca,
puzza, richiede cure continue e rende molto meno che dedicarsi a altre
attività; a meno che non lo si faccia in modo industriale, magari lucrando
sulle quote-latte. Lo stesso accade oggi con l'automobile. Se qualcuno
proponesse di affrontare una campagna elettorale promettendo di portare via
l'auto a chi sacrifica metà del proprio reddito a questa «vacca sacra»
(Lewis Mumford) del ventesimo secolo, verrebbe cacciato a furor di popolo:
tanto è vero che non manca mai chi punta a lucrare popolarità con la difesa
a oltranza del diritto di ciascuno a usare e parcheggiare la propria
automobile quando e dove gli pare e piace. Ma le tecnologie informatiche
renderanno presto obsoleto il possesso di una o più automobili personali,
perché la mobilità flessibile (car-sharing, taxi collettivo, trasporto a
domanda, trasporto pubblico di linea su strade sempre più sgombre) offrirà
servizi di mobilità urbana più personalizzati (veramente porta-a-porta),
più veloci, più comodi, più economici e soprattutto con un minore impatto
sull'ambiente. E perché sarà diventata evidente la parabola discendente del
petrolio; le auto e il carburante costeranno sempre più cari, mentre i
combustibili alternativi come metano e idrogeno saranno a malapena
sufficienti - se va bene - a alimentare flotte pubbliche di non più di un
quinto del parco veicoli attuale. Allora, anche senza che gli intellettuali
glielo spieghino e i politici glielo impongano, la gente avrà capito che
l'auto individuale sporca, puzza (quello l'ha già capito adesso), richiede
cure continue da parte del suo proprietario, blocca la mobilità e offre
benefici sempre minori a costi sempre più elevati. Tra l'altro, se non si
potrà più circolare con la propria auto né a Torino né a Milano, diventerà
sempre più assurdo utilizzarla per andare da Torino a Milano: sempre che ci
siano soluzioni alternative.

Ma come procedere? L'importante è abbandonare gli alibi, come le targhe
alterne, la cacciata delle auto non catalizzate, i parcheggi - sotterranei,
in struttura, di interscambio - i sovrappassi, i sottopassi, i semafori
intelligenti, l'area e il road-pricing, i carburanti puliti, la
rottamazione ecologica, l'avvento dell'idrogeno, le auto a emissione zero,
ecc. Tutte cose utilissime se contribuiscono a ridurre il numero delle auto
in circolazione; ma controproducenti se - ed è il caso di molte di esse -
concorrono solo a aumentare il parco veicoli in circolazione. L'obiettivo
di lungo periodo è rendere del tutto inagibili le strade al traffico
privato. Per questo, tanto prima la gente si convincerà che ogni spesa
personale in automobili, come il rinnovo del mezzo o l'acquisto di un
garage, rischia di diventare un investimento «a perdere», tanto meglio
sarà: il che è esattamente l'opposto di quello che la cultura in auge -
anche e soprattutto ambientalista - crede e si affanna a far credere.