Cristo si è fermato ai cancelli dell'Ilva di Taranto?



"Io parlo, ma una condizione. Non devi dire a nessuno chi sono." Quanti
anni hai, puoi dirlo? "Sì, ne ho ventiquattro." A parlare è un giovane tarantino,
che da poche settimane ha lasciato il proprio posto di lavoro all'Ilva,
ex-Italsider, tuttora il più grande stabilimento siderurgico in Europa e
feudo del più importante produttore italiano di acciaio: Emilio Riva. Non
vuole che si sappia il suo nome per un motivo molto semplice: paura di ritorsioni
e timore che ad andarci di mezzo siano i colleghi della sua squadra che
ancora lavorano all?interno dello stabilimento. All?Ilva di Taranto lavorano
12mila persone; di queste, un terzo sono under 25 assunti con contratti
di formazione lavoro. Lui è stato uno di questi; ha lavorato per quasi due
anni (un po? meno durata del contratto di formazione lavoro) in cokeria,
il reparto più inquinante dell?intero stabilimento, quello "più disprezzato"
dagli stessi operai. "Non riuscivo più a respirare. Ho fatto le analisi
e mi hanno riscontrato una ostruzione alle vie aeree superiori. Così ho
deciso di lasciare il posto. Prima di entrare all?Ilva, era quello il mio
ideale di lavoro. A Taranto c?è solo quella speranza, ti aggrappi. Quando
ho finito la scuola superiore e il militare, lavoro non ce n?era. Ho fatto
volantinaggio e poi ho lavorato come geometra per centomila lire alla settimana.
Allora ho fatto la domanda per essere assunto all?Ilva. Se non vai là, il
lavoro qui lo trovi soli in nero, capisci? Mi hanno preso: che fortuna!,
pensavo, un milione e otto al mese." Dal 1990 al 1998, venticinque dipendenti
dell?Ilva (quasi tutti delle cokeria) sono morti per neoplasia polmonare.
Una decina di ex-dipendenti ha dichiarato di essere in terapia. Nella città
ionica il numero complessivo di decessi per tumore è aumentato dal 1971
a oggi del 100%. Il principale responsabile è l?Ilva. Il reparto maggiormente
inquinante: la cokeria, con le emissioni di benzopirene. Ma a Taranto tutto
è sempre stato taciuto. L?Ilva (ex-Italsider) è stata sempre la principale
fonte lavorativa, i vertici dell?azienda hanno sempre condizionato la vita
cittadina, piegato le classi politiche. Negli ultimi anni, poi, dopo la
privatizzazione del 1995, il regno di Riva è stato incontrastato. L?imprenditore
settentrionale ha mantenuto il dinosauro in vita, ha evitato il collasso
definitivo (in una città che aveva già toccato un tasso di disoccupazione
del 30%) e soprattutto ha cominciato ad assumere giovani con i contratti
di formazione lavoro. "Il corso di formazione è durato una settimana. Ci
hanno parlato del comportamento che dovevamo avere all?interno dell?azienda,
perché ti devi comportare bene. Se ti chiedono di rimanere per uno straordinario,
lo devi fare. Devi rispettare i superiori e i vigilantes, quelli che ti
controllano sul lavoro. Pensa che Riva ha avuto il permesso di usare anche
i carabinieri ausiliari come vigilantes di fabbrica. Soprattutto non ti
devi iscrivere al sindacato: se ti iscrivi, è una condanna sul contratto
di formazione, dopo due anni vai via." Il padre si è fatto 30 anni di fabbrica,
questo ha agevolato la sua assunzione, perché in via preferenziale vengono
assunti sempre i figli di ex-dipendenti. "Prima che io venissi assunto,
la direzione ha chiesto informazioni su mio padre ai suoi colleghi. Dopo
il corso di formazione, mi hanno messo subito in cokeria, come addetto coperchi.
I primi giorni che respiri quel fumo giallo, stai male, i nuovi arrivati
finiscono sempre in infermeria per l?ossigeno. Poi ti abitui a quello schifo".
Il valore soglia di qualità dell?aria per le emissioni di benzopirene è
di 1 nanogrammo per metro cubo. Secondo le le leggi vigenti, questa soglia
è spostata nelle aree industiali a 300 nanogrammi. Un rapporto shock dell?Usl
di Taranto del ?95 indicava nella cifra di 137mila nanogrammi per metro
cubo il tetto raggiunto nella zona coperchi della cokeria di Taranto! L?elevata
emissione di benzopirene si trasferisce alle aree abitate adiacenti alla
fabbrica: il quartiere Tamburi su tutti, abitato in buona parte dagli stessi
dipendenti. I valori non sono mai stati rivelati. Si può però fare un paragone
con i dati rilevati all?Ilva di Genova, dove la cokeria ha una prpduzione
di poco inferiore. A Cornigliano, nei quartieri adiacenti, il livello registrato
di benzopirene è dieci volte superiore la soglia consentita. Lavorare come
addetto coperchi non è difficile per un ragazzo: si devono controllare due
leve e pulire con una scopa il piano di carico al di sopra di forni che
raggiungono la temperatura di 1250 gradi. Ci si mette dietro per dietro
a un anziano e in pochi giorni si imparano le mansioni essenziali. In cokeria
non c?è "molto" da fare. C?è solo da sfornare 37 forni per turno. "In cokeria
non vengono neanche i vigilantes a respirarsi i fumi. Basta che sforni.
Una volta abbiamo bloccato lo sfornamento perché un carrello era uscito
dai binari. Abbiamo dovuto bloccare la produzione: sono arrivati tutti i
dirigenti a dirci che non potevamo fermarci. I forni li devi recuperare
e quando fai le cose veloci, incominci a sbagliare". L?anno scorso, di questi
tempi, un ragazzo ha perso quattro dita, perché un carrello aveva scarrozzato
e ci aveva infilato la mano sotto. Quando aumenta il ritmo succede spesso
che la gente si fa male e finisce in infermeria. Qualche anno fa, un ragazzo
è morto. Era sul piano passerella, la sfornatrice è passata e lo ha tagliato
in due. La cokeria è il regno del caos: condutture del gas con rubinetti
sostituiti da manici di scopa, coke sparso da tutte le parti, mancanza degli
attrezzi essenziali (perfino le chiavi inglesi!), perché il padrone deve
risparmiare sul budget. Però la produzione deve mantenere gli stessi livelli:
"A loro interessa il prodotto finito. Fanno finta di non sapere di averti
messo in queste condizioni. E se tu protesti, ti inguaiano subito. Il sindacato?
Ma ti rendi conto che non ci si può neanche iscrivere? Che con Riva, il
sindacato è solo una farsa? " Le batterie sono fatiscenti, alcune hanno
più di trent?anni: non riescono mai a raggiungere la giusta temperatura
di 1250 gradi in tempi brevi. Pertanto, per mantenere la media di 37 forni
a turno, si è costretti a fare "forni crudi": in questi casi il carbone
libera nell?aria Ipa (Idrocarburi policiclici aromatici), sostanze altamente
inquinanti. Inoltre gli impianti si incrostano sempre di più, ma non si
hanno tempo e mezzi per fare le pulizie: una vera pulizia a quelle temperature
e con quei fumi potrebbero farla solo dei macchinari, non degli uomini con
scope da spazzini. Anche altri dipendenti lo ripetono: se vuoi fare 37 forni
in queste condizioni, devi per forza "andare a crudo". E quindi "devi per
forza", liberare nell?area quantità ancora maggiori di Ipa e di benzo-pirene.
"Dopo l?addetto ai coperchi, ho fatto l?addetto alle temperature. È meno
faticoso: devi solo prendere le temperature dei forni. L?unico fatto è che
devi scrivere dei dati falsi, devi scrivere che si sforna almeno a 1240
gradi. Se segnali la vera temperatura, tu sei il primo a dover dare spiegazioni.
I vecchi ce lo hanno sempre detto: fino a quando la responsabilità è di
tutti va bene, ma quando sei l?unico a uscire dal coro, hai firmato un?autocondanna".
All?interno dell?Ilva nessuno protesta. La principale arma di Riva è il
ricatto occupazionale. La fabbrica è piena di padri di famiglia che vorrebbero
che il figlio venisse assunto, "e che sono disposti ad adeguarsi per ottenere
questo". I ragazzi sono tutti in attesa di rinnovo, e, quando lo ottengono,
"gli è stato già inculcato come comportarsi". Per gli altri anziani c?è
comunque il ricatto della cassaintegrazione (50 casi negli ultimi anni,
nonostante il regime di costanti assunzioni). Sull?inquinamento della cokeria
il pm Franco Sebastio ha fatto eseguire un perizia: indagati sono Emilio
Riva, suo figlio, e altri 31 massimi dirigenti. A febbraio di quest?anno,
poi, dopo che l?Associazione Peacelink ha diffuso le foto che alcuni operai
avevano scattato all?interno delle batterie (l?accusa è quella di spionaggio
industriale!), tutte le forze del consiglio comunale si sono mobilitate,
il sindaco Rossana Di Bello (Fi) ha chiesto la messa in regola. Riva ha
promesso che lo avrebbe fatto in tempi brevi. Ma i dati sull?inquinamento
ancora non ci sono. Gli ambientalisti hanno chiesto la pubblicazione dei
dati relativi alle emissioni; e soprattutto che vengano messe delle centraline
di rilevamento (ancora inesistenti a ridosso della fabbrica). Ma da due
mesi a questa parte tutto tace. Il Pmp (Presidio multizonale di prevenzione)
non ha rivelato alcun dato. La giunta comunale è in possesso degli unici
dati di rilevamento, quelli forniti dalla stessa Ilva, ma ha ritenuto opportuno
non rivelarli. Proposito, questo, che in campagna elettorale ha ottenuto
stranamente un ampio consenso da parte di tutte le forze politiche. Senza
centraline, le ispezioni non hanno alcuna efficacia. "Se arriva un controllo,
per arrivare dai cancelli alla cokeria ci vuole del tempo. Allora arriva
una telefonata dall?alto: si abbassano i livelli del gas, il camino si mette
in pausa, tutto l?impianto viene mandato in depressione. Quindi sembra tutto
a posto, una volta che se ne vanno, basta spingere i pulsantini". Di notte
si recupera, la produzione aumenta, perché è più difficile che ci siano
dei controlli. "All?interno della cokeria, nonostante le promesse di messa
in regola, nell?ultimo mese non è successo niente: gente che ancora ci lavora
mi ha detto che fanno sempre così, che mandano tutto in depressione. Non
ci sono direttive dall?alto che dicono di riparare o di mettere in ordine.
Riva sta solo prendendo tempo, ma i tubi rimangono bucati. Nemmeno in due
anni è possibile riparare a quello che è stato fatto." Fino ai vertici medi,
fino anche agli operai più anziani, quasi tutti hanno delle loro responsabilità;
gli anni in cui c?è stato questo andazzo sono stati troppi. "Allora capisci
che non è solo la voglia di difendere il padrone che spinge molti dipendenti
(capisquadra e capiturni compresi) a far eludere i controlli." Il cerchio
si chiude, il sistema-fabbrica difende se stesso. Se un nesso c?è tra emissioni
e impatto sulla salute, c?è anche un nesso più perverso: quello tra questo
modo di produzione e di gestione della vita in fabbrica (tanto anacronistico
quanto vincente in una città piegata dalla recessione post-industriale)
e l?aumento dell?inquinamento. Tutto è passato attraverso la distruzione
di ogni minima forma di solidarismo fra dipendenti e il silenzio-assenso
di molti. Fino a quando hai pensato che il gioco valeva la candela? "Quando
hai finito di lavorare, ti dici: cazzo, ho lavorato 8 ore, ho respirato
di tutto, esco e non mi spendo neanche la 50mila lire? Trovarsi i solidi
in tasca, all?inizio ti lascia bene, ti senti già grande. Esci con la ragazza,
apri il portafogli e sei pieno di soldi, la porti a mangiare al ristorante,
ti compri il cellulare, gli occhiali da sole, un sacco di cose. Però alla
fine ti rendi conto che, al di là di quei soldi, non c?è niente dietro.
Hai un lavoro che non può piacere a nessuno. Quando passi anche undici ore
al giorno in fabbrica e ti devi alzare alle 6 per arrivarci non hai molto
tempo per vedere gli altri. Quando non lavori, dormi, che altro devi fare?
Non vedevo l?ora che arrivasse il sabato, quando arriva il sabato è una
festa, non sai che vuol dire quel giorno e mezzo" Molti si adattano: ce
l?ho fatta, pensano, i disoccupati ce li ho alle spalle. Alcuni non ce la
fanno fisicamente, escono. "Poco prima di uscire, ho cominciato ad avere
problemi respiratori. Ho dovuto prendere delle forti dosi di cortisone per
riuscire a respirare: una sorta di asma, tosse persistente. Io non fumo
e mi hanno trovato due noduli e un linfonodo in gola. Ogni tre mesi devo
andare a farmi le radiografie. Mi hanno lasciato un bel macigno sulle spalle.
Ma fare causa non se ne parla, è solo una perdita di tempo, tanto lo sai
che poi vai a perdere e ci rimetti i soldi. Ora non ho ancora trovato un
altro lavoro e non so proprio che cosa andare a fare. L?Ilva non fa nessuna
formazione. Quando vado a fare un colloquio di lavoro, e mi chiedono che
cosa hai fatto all?Ilva, mi rendo conto che non so fare niente, ti posso
avvitare un bullone, scopare il carbone, ma poi? Mi sento demoralizzato.
Certe volte mi viene da dirmi: ma chi me l?ha fatta fare, potevo continuare
a lavorare là. A 24 anni mica posso tornare a fare volantinaggio. Non voglio
arrivare a 30 anni e non avere niente. C?è mio cugino che ha 28 anni e non
fa niente."

Alessandro Leogrande - articolo pubblicato dall'Unità (21/5/01) con la collaborazione
di Ornella Bellucci


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