ONU: La globalizzazione minaccia le diversita' culturali, linguistiche e biologiche



ONU: La globalizzazione minaccia le diversita' culturali, linguistiche e
biologiche

Fonte: UNEP (United Nations Environment Programme)
Traduzione a cura di Fabio Quattrocchi mailto:FABIOCCHI at inwind.it
http://www.ecquologia.it

Nairobi - Se la liberalizzazione dei mercati mondiali e' la soluzione per lo
sviluppo economico dei paesi ricchi e poveri, essa non deve avanzare a spese
delle culture indigene e della biodiversita' ad esse legata. Lo afferma uno
studio dell'UNEP (il Programma Ambientale dell'ONU)

Le popolazioni indigene hanno il diritto di preservare i loro stili di vita;
e sono depositarie di conoscenze preziose su come gestire gli habitat e le
risorse naturali in maniera sostenibile. Gran parte di queste conoscenze e'
passata oralmente da generazione in generazione, quindi la perdita delle
loro lingue equivale alla perdita di intere enciclopedie e saperi.

Il rapporto dell'UNEP fa riferimento ad alcune tribu' della Tanzania che
sanno incoraggiare la formazione dei termitai per accrescere la fertilita'
del terreno. Un esempio lampante del valore di queste popolazioni. Il
rapporto sostiene che molte lingue e culture indigene sono gia' sull'orlo
dell'estinzione come effetto della globalizzazione.

Lo studio stima che sul pianeta sono parlate dalle 5.000 alle 7.000 lingue,
4.000/5.000 delle quali sono classificate come indigene. Ben 2.500 sono in
immediato pericolo di estinzione e molte altre stanno perdendo il contatto
col mondo naturale.

Il 32% delle lingue parlate si trovano in Asia; il 30% in Africa; 19% nelle
isole del Pacifico; 15% nelle Americhe e il 3% in Europa. Il paese piu'
glottodiverso e' la Papua Nuova Guinea dove si parlano 847 lingue diverse.
Seguita dall'Indonsia con 655 lingue; Nigeria 376; India 309; Australia 261;
Messico 230; Cameroon 201; Brasile 185; Ex Zaire 158; Filippine 153.

Le lingue maggiormente in pericolo sono quelle parlate da meno di 1.000
persone la cui madre lingua originale e' parlata solo dai membri piu'
anziani delle tribu'. Oltre 1.000 lingue sono parlate da 100-1000 persone.
Altre 553 sono usate solo da meno di 100 persone. Invece 2.034 lingue sono
gia' morte. Qualche ricercatore prevede che nell'arco dei prossimi 100 anni,
il 90% delle lingue scomparira'.

Molti popoli indigeni hanno anche l'interesse di mantenere un'ampia varieta'
di piante e animali di cui si nutrono. Ma l'avanzata degli stili di vita
occidentali e i metodi di coltivazione importati dal mondo industrializzato
stanno velocemente portando alla scomparsa di queste varieta' e della loro
diversita' genetica.

Crescono sempre piu' le piantagioni che non vanno a buon fine per
l'unifomita' genetica delle varieta' piu' diffuse. Nel 1903 esistevano 13
varieta' di asparagi, nel 1983 si erano ridotte ad una, un declino del
97.8%. Esistevano 287 varieta' di carote, ridotte al numero di 21, un
declino del 92.7%. Sempre nel 1903 c'erano 460 varieta' di ravanelli,
diminuite a 27, un declino del 94.2%. Circa 500 varieta' lattuga furono
catalogate nel 1903, oggi ne esistono solo 36.

La perdita delle culture indigene potrebbe significare anche la perdita di
nuove fonti di medicine. Molti indigeni conoscono piante e animali il cui
uso puo' guarire alcune malattie. Essi conoscono anche quali parti della
pianta sono utili per la guarigione e in quale stagione raccogliere queste
risorse in modo che abbiano la giusta quantita' di sostanza medicamentosa.

Queste conoscenze sono spesso nascoste in rituali religiosi e cerimonie. Il
che dimostra come le lingue, le religioni, la psicologia e le credenze
spirituali non possono mai essere separate dalla loro (degli indigeni)
interpretazione del mondo naturale. I pigmei Aka della Repubblica Centro
Africana mischiano magia, rituali e cerimonie con l'uso di erbe
medicamentose.

La convenzione sulla Diversita' Biologica (CBD) fa esplicito riferimento al
bisogno di proteggere le culture indigene nell'articolo VIII, affermando "la
protezione delle comunita' indigene e dei loro stili di vita e' importante
per la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversita'".

Altre iniziative sono gestite dall'UNESCO che indica i siti di importanza
culturale e ambientale in tutto il mondo. L'UNESCO sta rafforzando il suo
ruolo per aiutare le comunita' indigene a conservare i siti sacri come i
boschi. L'UNESCO riconosce anche l'interrelazione tra l'uomo e la natura
nella formazione/evoluzione dei paesaggi. Il primo sito dichiarato
Patrimonio dell'Umanita' per il paesaggio culturale e' il Tongariro
Nartional Park in Nuova Zelanda. E' un sito sacro per i Maori.

Il WTO ha formulato proposte per permettere ai paesi di sviluppare i Diritti
di Proprieta' Intellettuale che potrebbero fornire agli indigeni nuovi mezzi
per proteggere le loro specie vegetali dalla biopirateria. Rimane da
verificare l'efficacia di tale sistema.

La Convenzione sulla Biodiversita' ha recentemente ideato un meccanismo che
permette alle nazioni firmatarie di risolvere le inedeguatezze dei Diritti
di Proprieta' Intellettuale e di sviluppare linee guida per proteggere le
popolazioni indigene.

Ma l'UNEP crede che e' ancora piu' urgente salvaguardare le culture indigene
e i loro saperi, percio' ha individuato 4 ragioni per cui e' necessario
conservare le culture locali.

1. Gli indigeni hanno sistemi economici tradizionali che hanno un impatto
sulla biodiversita' relativamente basso perche' tendono a utilizzare una
grande varieta' di specie, e a coltivare una piccola quantita' di ognuna di
esse. Al contrario gli agricoltori commerciali usano poche varieta' e le
coltivano in grandi quantita'.
2. Gli indigeni tendono a incrementare la diversita' biologica dei territori
in cui vivono, per avere a disposizione piu' varieta' riducendo il rischio
delle fluttuazioni quantitative delle varie specie.
3. Gli indigeni lasciano sempre un largo 'margine d'errore' nelle previsioni
stagionali dei raccolti per l'abbondanza di piante e animali. Sottostimando
il surplus di ogni specie, essi minimizzano il rischio di compromettere le
fonti di sostentamento.
4. Visto che i saperi degli indigeni sugli ecosistemi sono insegnati e
"aggiornati" con dirette osservazioni della terra in cui abitano, rimuoverli
dalle loro terre significa spezzare il ciclo generazionale di studio
empirico. Il mantenimento dei loro saperi dipende dunque sull'uso continuo
della stessa terra".
***************
Se volete ricevere queste news, mandate una email
vuota a mailto:econotizie-subscribe at yahoogroups.com
***************