strage petrolchimico, tutti assolti



Disordini in aula fra le forze dell'ordine e i giovani dei centri sociali
Petrolchimico di Marghera, tutti assolti
Accuse: strage, omicidio plurimo, disastro colposo. Chiesti 185 anni per i 28 imputati: la sentenza di primo grado li assolve
Gli impianti della Evc del Petrolchimico di Porto Marghera

VENEZIA - Sono stati tutti assolti i 28 imputati al processo sulle morti al Petrochimico di Marghera. La sentenza è stata emessa dopo 10 giorni di camera di Consiglio. Il processo riguardava 157 morti accertate e 103 casi di cancro. La requisitoria del pm Felice Casson era durata cinque giorni e si era conclusa con la richiesta di 185 anni di carcere complessivi. «È una sentenza che si commenta da sola» ha detto Casson . La sentenza è stata accolta dai giovani dei centri sociali, guidati da Luca Casarini, al grido di «vergognatevi, vergognatevi», «assassini, assassini». Le forze dell'ordine hanno dovuto faticare non poco per riportare la calma in aula.

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ISTRUTTORIA, PROCESSO E IMPUTATI - Nel processo erano
Un momento dei disordini in aula
imputati 28 tra dirigenti ed ex dirigenti di Montedison, Enimont ed Enichem, per i quali il pm Felice Casson aveva chiesto pene che andavano da 4 a 12 anni. La pena più alta (12 anni direclusione) era stata chiesta per l'ex presidente dell'Eni e della Montedison Eugenio Cefis, per l'ex amministratore delegato della Montedison e vicepresidente di Montefibre Alberto Grandi, (presidente dell'Eni all'inizio degli anni '80) e per il professor Emilio Bartalini, responsabile del servizio sanitario centrale della Montedison dal 1965 al 1979. Il pm aveva invece chiesto 6 anni di reclusione per Lorenzo Necci, presidente dell'Enichem dal 1982 al 1990 e, poi, per soli tre mesi, di Enimont. Le accuse erano pesanti: strage, omicidio e lesioni colpose plurime, tutte a titolo colposo - per aver causato morti da tumore (157 le vittime) e malattie (103) tra gli operai addetti alle lavorazioni di Cvm e Pvc - e disastro colposo, per aver inquinato con gli scarichi aria, suolo, sottosuolo e acque lagunari, avvelenando anche pesci e molluschi.

TENSIONE IN AULA - Tensione e un accenno di scontri nell'aula bunker di Mestre dopo la sentenza di assoluzione. Gruppi di giovani, trattenuti dalle forze dell'ordine, dopo la lettura del dispositivo hanno cominciato a scandire slogan di protesta come «vergogna» e «assassini». Sono stati minuti di disordini e strattonamenti. I giovani dei centri sociali, con un piccolo blitz, sono riusciti alla fine ad esporre uno striscione con la scritta «colpevoli» , dopo aver raggiunto il banco del tribunale.


Corriere della Sera on line 2 novembre 2001



"Per i vertici Montedison gli operai erano soltanto numeri"
Quasi 200 morti di cancro e disastro ambientale. Oggi a Mestre sentenza per il petrolchimico di Marghera. Parla il fondatore di Medicina democratica
MANUELA CARTOSIO - MILANO
Seicento chilometri ogni volta, Castellanza-Mestre e ritorno. Luigi Mara, fondatore di Medicina democratica, le udienze del processo alla chimica che a Porto Marghera ha ucciso e inquinato le ha seguite quasi tutte. Alla vigilia della sentenza, ripercorriamo con lui le tappe salienti del processo originato dall'esposto del '94 di Gabriele Bortolozzo, ex dipendente del petrolchimico, militante di Medicina democratica. Nocciolo della denuncia, la prima lista di operai dei reparti Cvm (cloruro di vinile monomero) e Pvc (policloruro di vinile) morti per tumore. Compilata con il metodo del porta a porta dal medico scalzo Bortolozzo. L'inchiesta del pm Felice Casson e il dibattimento cosa hanno aggiunto all'indagine epidemiologica di Bortolozzo? L'hanno confermata e allargata. La lista dei morti si è tristemente allungata. Ai 157 per i quali il pm Casson sostiene d'aver dimostrato il rapporto di causa effetto tra tumori e Cvm-Pvc, se ne sono aggiunti nel corso del dibattimento una cinquantina che saranno materia di un processo stralcio. Casson ha sequestrato, cosa che Medicina democratica non poteva fare, vagonate di documenti nelle sedi della Montedison e dell'Eni. Altri li ha ottenuti con rogatorie internazionali. Casson, con l'ausilio dei suoi consulenti, ha studiato tutta la letteratura scientifica sulla tossicità del cvm, si è "laureato" in medicina e in chimica, è diventato un esperto d'impiantistica. Ha mappato tutti gli scarichi inquinanti e le discariche del petrolchimico. Prima di morire, nel '96, Bortolozzo ha fatto in tempo a indicare dove si doveva scavare per trovarle. E' una conferma che non si può prescindere dalla soggettività operaia, dal babaglio di conoscenze di chi è stato dentro i processi produttivi.
Cosa emerge dalla montagna di documenti?
Tantissime cose. Dovendo sinte tizzare, dire questo. La tossicità del Cvm, nota dal dopoguerra, è acclarata dagli anni '60. I vertici della Montedison lo sapevano e ciò nonostante hanno mandato per anni gli operai dentro le autoclavi a raschiare con le mani il Cvm. E' pacifico che gli impianti del petrolchimico erano stati progettati a ciclo aperto, per sversare gli inquinanti in laguna. E' documentato che gli impianti, una volta ammortizzati i costi, sono stati spremuti come limoni, come è stato fatto con gli operai. Erano a disposizione tecnologie più sicure, ma Montedison, Enimont ed Enichem non le hanno adottate per risparmiare sui costi. Analogo risparmio è stato fatto sulle manutenzioni. "Manutenere il meno possibile", era l'ordine di servizio diramato dai vertici aziendali. Gran parte del dibattimento è stato occupato dallo scontro tra consulenti della difesa e dell'accusa. Tu sei stato consulente di Medicina democratica, una delle parti civili Si sono confrontate due concezioni della scienza radicalemente diverse. Da una parte quella ufficiale e accademica, sedicente neutrale ma schierata con le aziende. Dall'altra una scienza, della quale mi onoro di far parte, che rifiuta la logica del rischio accettabile e propugna il rischio zero, perché non c'è soglia al di sotto della quale sostanze come il Cvm non fanno male. Il nostro lavoro è stato teso, oltre che a provare le accuse, a restituire dignità alla vittime. I professoroni sono venuti in aula a dire che gli operai del petrolchimico sono morti perché bevevano o perché fumavano. Li hanno uccisi una seconda volta. Hanno trattato una strage operaia come una pratica cartacea. Per noi, invece, dietro ogni numero c'era un uomo in carne e ossa, con i suoi desideri, i suoi affetti. Eugenio Cefis è stato uno dei pochi imputati che si è presentato al processo per leggere una dichiarazione spontanea. Che impressione ti ha fatto? Un po' militaresca, scattava in piedi ogni volta che il presidente del tribunale diceva il suo nome. Poi si è seduto e ha letto la sua autodifesa. Da ex uomo di potere ha sostenuto che la sicurezza era in cima ai pensieri della Montedison, ha garantito che i suoi collaboratori erano tutte persone per bene. Ha detto la sua dose di bugie. Una però non ha potuto ripeterla. "Il Cvm? Non so neppure cosa sia", aveva detto Cefis in istruttoria. Gli avevano messo sotto il naso una sua lettera del '75 alla Regione Veneto da cui risulta che il Cvm sapeva da un pezzo cosa fosse. Non pensi che il processo sia stato possibile farlo solo perché la chimica dura è defunta e gli imputati sono uomini del passato? Altrimenti... Ci ho pensato, ma non credo sia così. Il processo si è celebrato perché si si sono incontrate due volontà. La nostra dal basso e quella di un magistrato risoluto come Casson. Altri magistrati avevano bloccato tutte le nostre precedenti denunce. Fossero finite quelle sul tavolo di Casson, il processo si sarebbe fatto prima, quando i boiardi di stato erano ancora potenti e in sella.
(Il Manifesto, 2/11/01)

Un processo durato tre anni
E' attesa per oggi a Mestre la sentenza per la strage operaia e il disastro ambientale al Petrolchimico di Porto Marghera. I giudici erano entrati in camera di consiglio il 25 ottobre dopo un processo durato più di tre anni contro 28 dirigenti di Montedison, Enimont e ed Enichem. 157 lavoratori morti di tumore e decine che hanno avuto la salute rovinata dal cvm e dal pvc, l'ecosistema lagunare inquinato da fumi, reflui e rifiuti. Il pm Felice Casson ha chiesto pene per complessivi 185 anni e l'avvocato dello Stato un megarisarcimento di 80 mila miliardi. Gran parte delle 150 udienze sono state occupate dalla "guerra" dei consulenti. Il gotha della chimica ha ingaggiato a sua difesa professori ed accademici, ma i meno costosi consulenti di Casson hanno tenuto botta. Nelle ultime udienze sono scesi in campo i principi del foro per sostenere che il processo non doveva neppure essere fatto, non potendosi dimostare il rapporto di causa ed effetto tra tumori e cvm e la responsabilità penale individuale degli imputati. Una tesi smontata da Casson e che difficilmente il tribunale, presieduto da Ivano Nelson Salvarani, accoglierà. L'incognita verte sul risarcimento. Il tribunale potrebbe concederlo da subito, oppure rinviare in sede civile. (m.ca.).
(Il Manifesto 2/11/01)