clima: marrakesh ultimo atto?



da boiler.it di domenica 28 ottobre 2001

Marrakesh, ultimo round?

Si apre lunedì, in Marocco,la settima Conferenza delle parti sui
cambiamenti climatici. Fino al 9 novembre si terrà quello che potrebbe
essere l’ultimo round di negoziati per raggiungere un accordo sul
Protocollo di Kyoto. Con tre questioni spinose al tappeto: sanzioni,
mercato delle emissioni e “pozzi” di carbonio. Anche gli Usa saranno
presenti alla prima conferenza internazionale delle Nazioni Unite dopo gli
attacchi alle torri gemelle dell’11 settembre. Ma, come è noto, non
aderiranno al trattato.

L’accordo? È di protocollo

di Claudia Giammatteo  


 MARRAKESH, 29 OTTOBRE 2001. È ufficialmente iniziato il conto alla
rovescia in vista della settima Conferenza delle parti sui cambiamenti
climatici (Cop 7), al debutto ufficiale da lunedì fino al 9 novembre.
Ultimo round di negoziati, ultima chance per 186 paesi di raggiungere un
accordo sulle “regole del gioco” riguardanti il Protocollo di Kyoto,
lasciate irrisolte dallo scorso vertice di Bonn. Con tre questioni spinose
al tappeto: sanzioni, mercato delle emissioni e meccanismi di inclusione
dell’assorbimento del carbonio, i carbon sinks. Tre punti sui quali era
saltato all’ultimo l’accordo. Ma soprattutto, sarà la prima conferenza
internazionale delle Nazioni Unite dopo gli attacchi alle torri gemelle
dell’11 settembre, dopo la cancellazione del Summit mondiale dell’Infanzia,
la conferenza annuale della Banca Mondiale. Per non parlare del vertice
Commonwealth atteso in Australia, e quello della Fao, rimandati a data da
destinarsi.

Occhi puntati sull’Unione Europea

L’appuntamento si annuncia in tono minore: nessun ritiro da parte di alcuna
delegazione, ma tagli sostanziosi al numero di partecipanti: la stima
iniziale di diecimila presenze è scesa a 1.500, mentre è scontato il
forfait di quasi tutte le organizzazioni non governative dagli Usa e dal
Canada. Eppure il messaggio che arriva da Marrakesh, è ugualmente molto
forte. Nonostante tutto, i negoziati sul clima vanno avanti. E nonostante
il forfait degli Usa, l’ottimismo non manca: «C’è molto lavoro da fare», ha
dichiarato il portavoce Onu Michel Cutajar, «ma sono fiducioso che ci
saranno buoni risultati». Il successo del negoziato, Cutajar lo sa bene, è
tutta questione di aritmetica. Perché l’accordo entri in vigore, chiariti a
Marrakesh gli ultimi dettagli, dovrà essere ratificato da 55 paesi
responsabili del 55 per cento delle emissioni globali di gas serra rispetto
ai livelli del 1990. A ratificarlo, finora, sono in 40 paesi, con scarso
“peso inquinante”. Fuori gli Stati Uniti – che da soli valgono il 25 per
cento dei gas serra mondiali –, tutti i maggiori paesi industrializzati
(Unione Europea, Russia, Giappone e Canada) devono teoricamente ratificare
il trattato.

A spiegare l’ottimismo del portavoce Onu, per sua ammissione, sono i “forti
segnali” da parte dell’Unione Europea, decisa a mantenere a Marrakesh il
ruolo di leader conquistato a Bonn e mai così compatta. Così, mentre il Re
Mohammed IV in persona aprirà lunedì la conferenza al Palais di Congrais, a
Lussemburgo, i ministri dell’Ambiente dei 15 approveranno il pacchetto di
misure decise dalla Commissione Europea e che contiene misure chiave: un
piano di azione dettagliato, una bozza di direttiva sul mercato delle
emissioni – il cosiddetto emission trading – al via dal 2005 e un
meccanismo legale che obblighi i 15 membri dell’Unione a ratificare il
protocollo di Kyoto all’unisono. Imponendo a se stessa una scadenza:
ratificare il protocollo entro il 14 giugno 2002, per farlo entrare
ufficialmente in vigore – passati i canonici 90 giorni – per il Vertice
mondiale sullo sviluppo sostenibile (il cosiddetto “Rio +10”) che si terrà
a Johannesburg nel settembre del 2002.

Orfani degli Usa. Ci si guadagna?

Non è solo questione di “dare il buon esempio”: la ratifica da parte di
tutti gli Stati membri è necessaria anche per poter applicare il cosiddetto
burden sharing, cioè l'accordo tra i Quindici per una suddivisione
“ponderata e proporzionale” dell'onere di ridurre le emissioni: l'Ue dovrà
abbattere complessivamente l'8 per cento dei gas serra rispetto ai livelli
del 1990, ma lo sforzo richiesto ai paesi più forti inquinatori (come la
Germania) sarà superiore rispetto a quello degli altri: l'Italia, per
esempio, dovrà ridurre le emissioni solo del 6,5 per cento, mentre altri
paesi, come Grecia e Spagna, possono addirittura aumentarle.

Più in generale, l’Unione Europea cerca di respingere la tesi di Bush,
secondo la quale applicare le regole di Kyoto danneggia l’economia. Secondo
le stime ufficiali, adempiere al trattato di Kyoto costerà tra lo 0,06 e lo
0,3 per cento del prodotto interno lordo, entro il 2010. Ancora più basse
le stime del Wwf, secondo cui ratificare il protocollo di Kyoto senza gli
Usa per l'Europa comporta una spesa “trascurabile” se rapportata al budget
comunitario: tra lo 0,06 e lo 0,15 per cento del prodotto interno lordo,
ovvero tra i 5.800 e i 15.500 miliardi di lire l'anno. Secondo il Wwf,
addirittura potrebbe trasformarsi in un guadagno. «Giappone ed Europa
devono ratificare il protocollo di Kyoto perché diventerà per loro una
vittoria economica: darà loro nuove opportunità in nuovi mercati.
Diventeranno leader mondiali nelle tecnologie del risparmio energetico e
delle rinnovabili». Benefici economici per l'Europa, dunque, ma anche per
il Giappone: «Potrebbe arrivare a un incremento dello 0,9 per cento del Pil
se realizzasse misure concrete per l'applicazione del protocollo».

Italia, l’ottimismo è relativo

Il rapporto presentato dal Wwf non combacia, però, con le cifre presentate
dal ministro dell'Ambiente Altero Matteoli, secondo cui la ratifica
unilaterale costerebbe all'Italia «110-115 mila miliardi in dieci anni»,
numeri che scenderebbero del 40 per cento se ci fosse anche la firma degli
Stati Uniti. Le cifre sono esatte, ribatte il Wwf, che aggiunge: «Gli Stati
dell’Unione Europea possono raggiungere tra l'85 e il 95 per cento degli
obiettivi di Kyoto senza danneggiare le economie. Anche, però, ipotizzando
che il 75 per cento delle opzioni di riduzione riguardano settori al riparo
dalla competizione internazionale, qualcuno», ammette il Wwf, «perderebbe
sicuramente: le industrie chimiche con sede in Europa, e l’industria del
vetro, colpite dall’attuazione delle politiche restrittive di Kyoto, perché
esposte alla competizione con gli Usa. Ma i benefici ambientali e di lungo
periodo sono incommensurabili».