dialettica fra natura e crescita



dal manifesto di domenica 28 maggio 2000
 IL LIBRO
 Crescita contro natura 
 GIORGIO NEBBIA 


 Una società e una economia funzionano (dovrebbero funzionare) col fine
 di soddisfare bisogni umani: di abitazione, di cibo e acqua, di respirare
 aria pulita, di salute e conoscenza, di comunicazione delle proprie
 conoscenze ad altri; bisogni di libertà e dignità. Per soddisfare tutti
 questi bisogni occorrono degli oggetti materiali che possono essere
 ottenuti solo trasformando dei beni naturali: aria, acqua, vegetali,
 animali, minerali, fossili estratti dal sottosuolo in cose utili mediante il
 lavoro e strumenti che, da quando è nata la proprietà privata, diecimila
 anni fa, possono solo essere comprati o venduti in cambio di denaro.
 Chi investe il proprio denaro nella produzione di merci deve essere
 premiato con altro denaro anche perché è un benefattore: permette ai
 lavoratori di acquistare più merci che fanno aumentare la produzione e il
 denaro in circolazione. Il progresso non si misura forse con la "crescita"
 del denaro in circolazione, così bene interpretata dal prodotto interno
 lordo di un paese?
 Ci volevano dei malinconici brontoloni per spiegare, alla luce
 dell'ecologia, che più merci, più denaro - la crescita, insomma - si
 scontrano con limiti inviolabili, della capacità della natura di fornire
 nuove materie prime e della capacità dell'aria, delle acque, del suolo, di
 accettare, sopportare, la crescente massa di scorie e rifiuti che
 inevitabilmente accompagnano la crescita delle merci e del denaro. Da
 oltre trent'anni si trascina il dibattito tra alcuni che, anche a sinistra,
 osservano che la crescita, delle merci e del denaro, in qualche momento
 deve rallentare (o fermarsi?); e altri, i più, i governi ormai di tutto il
 mondo, gli imprenditori e anche i lavoratori sostengono invece che, per
 soddisfare i crescenti e sempre più raffinati bisogni umani, nel Nord e
 nel Sud, occorre far crescere il denaro in circolazione, unico agente
 capace di consentire l'occupazione e la produzione.
 Un Processo alla crescita contenuto nel recente libro (Editori Riuniti)
 scritto da Carla Ravaioli, per anni senatore della Sinistra indipendente,
 saggista e una delle voci più attente ai rapporti fra esseri umani,
 natura, lavoro e società. Carla Ravaioli continua, con questo libro, la
 serie dei "colloqui" cominciati anni fa con Alberto Moravia sulle donne,
 con Claudio Napoleoni sul lavoro e, in tempi più recenti, con numerosi
 economisti internazionali: la raccolta di queste ultime interviste, Il
 pianeta degli economisti, è stata tradotta in inglese ed è citatissima.
 Questa volta il colloquio è con Bruno Trentin che, da sinistra, spiega la
 inevitabilità della crescita che egli fa coincidere con lo sviluppo umano.
 Dal colloquio emergono tutte le contraddizioni fra crescita e natura: i
 limiti fisici della natura possono essere superati governando lo sviluppo,
 la sua qualità, rendendolo "sostenibile", come è di moda dire adesso Ma
 la sostenibilità non sarà una nuova parola magica per evitare di mettere
 in discussione la crescita merceologica e non sarà destinata anch'essa a
 scontrarsi con i limiti fisici della natura? L'altro punto importante
 riguarda la democrazia: è possibile evitare o rallentare lo sfruttamento
 delle risorse naturali e dell'ambiente, senza ricorrere a tentazioni
 autoritarie, reazionarie, di destra, senza condannare le classi povere e i
 paesi poveri a restare con la propria miseria, nel nome della
 salvaguardia di valori che sono tali per (o che sono percepiti come tali
 soltanto dalle) classi agiate?
 Può una sinistra chiedere oggi ai lavoratori di accettare minori salari,
 meno automobili, di consumare meno benzina, per salvare i boschi o lo
 strato di ozono, perché la distruzione delle foreste e dello strato di
 ozono, imposta dalla crescita del capitale internazionale, è destinata a
 provocare domani ricadute negative più gravi proprio sulle classi povere
 e sui paesi poveri?
 Dal colloquio Ravaioli-Trentin emergono le linee per alcune proposte:
 uno scrutinio della qualità delle merci e delle materie prime, alla luce
 dei vincoli ambientali; una nuova cultura nei bisogni e nei consumi
 individuali; una educazione critica verso le merci oscene come le armi;
 un intervento pubblico verso la standardizzazione delle merci perché
 durino di più, siano più facilmente riciclabili alla fine della loro vita
 utile; lo sviluppo di tecniche e processi che, invece di moltiplicare merci
 e bisogni futili, aiutino i paesi poveri ad attenuare la loro cronica
 mancanza di cibo, salute, acqua potabile, abitazioni decenti, energia,
 istruzione, libertà.
 Tutto ciò non risolve il problema di fondo: non frena la crescita, non
 allarga i limiti delle risorse naturali, ma almeno richiede innovazione,
 crea occupazione, alleggerisce la pressione migratoria e può mettere in
 discussione i dogmi della competitività, dello sfruttamento, del
 capitalismo, cioè delle condizioni intrinsecamente incompatibili con le
 leggi della natura. Troveremo una sinistra capace di affrontare una tale
 sfida?