critica a W. Sachs



Nella speranza di contribuire a un dibattito che riteniamo significativo,
alleghiamo un breve intervento di Pietro Frigato, studioso dei costi sociali
del sistema economico, che critica l'approccio del Wuppertal e di Sachs
nell'ambito dei rapporti fra economia, ecologia e giustizia sociale.
Ciao,
il gruppo Nonluoghi

L'intervento è tratto dalla nostra rivista http:// www.nonluoghi.it /
http://www.nonluoghi.org

Sviluppo sostenibile e impresa di mercato: quale compatibilità?

Una critica all'ottimistico approccio di Sachs
sulla conversione ecologica della concorrenza



                        di PIETRO FRIGATO

    Lo studio del Wuppertal Institut, diretto da Wolfgang Sachs, «Germania
 sostenibile» per il clima, l'ambiente e l'energia, edito in Italia dalla
Emi, Editrice
 missionaria italiana con il titolo «Futuro sostenibile. Riconversione
ecologica,
 Nord-Sud, nuovi stili di vita» (360 pagine, 25 mila lire), è uno di quei
lavori destinati a
 circolare. E, del resto, proponendosi come «obiettivo centrale» la
 «ridefinizione» dei presupposti di un'economia fondata sulla «distruzione
della natura»,  questo lavoro, scritto a più mani, si accolla l'ambizioso
onere di conquistare il centro  del dibattito sulle vie praticabili in
direzione di una «economia ecologica di mercato».
   Nella prima parte vi si introduce il concetto di «spazio ambientale»,
inteso come «lo
 spazio che gli uomini possono usare nell'ambiente naturale, senza
danneggiarne
 durevolmente caratteristiche fondamentali». La nozione viene definita sulla
base «della  capacità di carico degli ecosistemi, della capacità di
rigenerazione, della disponibilità  delle risorse naturali» e della
giustizia internazionale. Questo a pagina 27 della  edizione tedesca: le
quasi 400 pagine successive servono per definire come questo
principio-guida possa diventare prassi in una «Germania sostenibile».
    La parte metodologica introduce gli strumenti per una definizione più
rigorosa del
 concetto di «spazio ambientale»: quest'ultimo può essere formulato in
termini di
 grandezze fisiche (riferite a materia, energia, acqua e suolo), con
l'impiego di indicatori
 e soglie limite. Seguono una parte descrittiva sui «bilanci» dell'attuale
situazione di
 degrado ecologico in Germania, una serie di idee-guida (riferite a
produzione, consumo, stili di vita, settore pubblico, agricoltura, giustizia
internazionale), scenari di riduzione e  di transizione «percorribili».
Nell'insieme il rapporto del Wuppertal Institut ha il grande  merito di
offrire, in linguaggio largamente accessibile, una descrizione (fisica)
della  condizione ambientale di un paese come la Germania. Tuttavia trascura
di considerare  aspetti centrali dell'economia e della società di mercato,
collocandosi fuori della realtà,  o, come preferisce Elmar Altvater,
rimanendo un «sogno».

    Innanzitutto non esiste chiarezza analitica sui fattori responsabili
dell'attuale
 situazione di degrado sociale ed ecologico. In particolare, totalmente
sottostimato
 risulta il ruolo della produzione: non viene affrontata cioè la questione
che sta al cuore
 della problematica ambientale. Eppure, l'attenzione di economisti dello
spessore di
 Veblen, Kapp ma anche del più «conservatore» Pigou, che, pur appartenendo a
 tradizioni di pensiero tra loro distanti, hanno posto i fondamenti della
moderna
 economia ambientale, si è appuntata proprio sugli effetti esterni negativi
e sui costi
 sociali dell'impresa di mercato. Kapp, in particolare, ha dimostrato già
nel 1950 l'intima
 distruttività sociale ed ecologica di unità produttive orientate alla
massimizzazione del
 profitto monetario: questo sia in condizioni di concorrenza più o meno
perfetta che di
 monopolio.
    E' solo dimenticando questa fondamentale lezione (il nome di Kapp, in
effetti, non
 compare nella voluminosa bibliografia del rapporto) che gli autori di
«Germania
 sostenibile» possono credere di vivere in un mondo nel quale «la
sostenibilità e la
 capacità concorrenziale non giocano l'una contro l'altra. Sia la capacità
concorrenziale
 che la sostenibilità fanno riferimento al benessere delle persone in un
territorio.
 Fondamentalmente si ha a che fare con lo stesso fine». Sulla base di queste
 premesse fantastiche, lo «spazio ambientale» diventa un luogo nel quale il
mondo della  produzione può stare tranquillo: i cambiamenti necessari (anche
la fiscalità ecologica)  per una riconversione in senso eco-sociale delle
attività imprenditoriali sono  prevalentemente indolori, nella misura in cui
rappresentano per lo più forme di
 investimento «capaci di futuro», in grado di aumentare la competitività
tedesca sui
 mercati di domani.

    Totalmente trascurata risulta anche la dimensione distributiva (e i
relativi conflitti di
 interessi) dei danni all'ambiente (in termini di perdite di salute fisica e
psichica, nonché
 monetari), proprio mentre questi tendono a differenziare in modo sempre più
visibile le
 classi sociali.
    Oggi, poco tempo dopo la sentenza del Tribunale di Roma che ha
dichiarato la morte  presunta di Federico Caffè, vale la pena riportare un
passaggio tratto da una dalle sue  «Lezioni di politica economica». A
proposito delle critiche mosse da «alcuni recenti  studiosi di ecologia», in
base alle quali gli economisti avrebbero trascurato le differenti  forme di
sfruttamento dell'ambiente naturale, Caffè obiettava infastidito che «in
realtà  l'addebito potrebbe ritorcersi contro questi stessi critici, per il
ritardo con il quale, per  loro conto, sono pervenuti a riconoscere la
validità di categorie logiche esistenti da  tempo e la possibilità di un
loro proficuo impiego per fini applicativi. Il problema è, se  mai, quello
di rendersi conto del ritardo con cui le influenze intellettuali riescono a
incidere nell'azione pratica; o della misura in cui gli interessi
particolari riescono ad  ostacolare l'adozione di misure riconosciute come
opportune».