storia romanzata di un incontro "antagonista"



Ciao, vi inviamo il testo un racconto presente in www.nonluoghi.it pensando
che la lettura possa suggerire qualche riflessione utile.
A presto,
il gruppo Nonluoghi


I militanti col turbo
Antagonismi e distanze tra portafogli

* I luoghi, i personaggi e l'autore di questo racconto sono nomi inventati.
La sostanza della storia, no.

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   E' bellissimo arrivare in una bellissima villa secentesca con il tuo bel
biglietto di seconda classe in tasca e con una bella patina di sudore sulla
fronte per colpa di un tassametro sicuramente tarato male. Fuori, nel
piazzale antistante questa casa stile film di Bertolucci, un parco macchine
da convention di Forza Italia: mercedes kompressor, audi 100-120-250 con le
poltrone in pelle, fuoristrada con le ruote enormi  (la villa è in aperta
campagna) ... Ti dici: "Cazzo, per fortuna che i compagni mi hanno mandato
per fax la cartina e che di sicuro non potevo sbagliare. Forse quel maiale
del tassista l'ha letta male apposta ...".
   Nel risalire sulla mia mercedes con autista in affitto - ma questi
coglioni non potrebbero usare una Uno col motore Fire e far pagare la
metà? -  una voce che avrò sentito mille volte al telefono mi ridà un mezzo
sorriso.
   "Furio?" Mi giro. "Sì, sono io". "Furio da Viterbo?". "Sì sono, io. Max?"
"Sì. Piacere", dandomi una mano calda e sudata come le mie ascelle quando ho
finito la partita al campetto. "Sei in ritardo. Qui abbiamo già cominciato
...". "Scusa, sai, è che siamo rimasti fermi trequartidora in una
stazioncina ...". "Vabbeh, l'importante è che sei arrivato. Ci sono quasi
tutti. Ne mancano un paio da Salerno e uno di Roma, ma quello non viene
quasi mai quando c'è da decidere cose importanti. Su vieni, al taxi ci
pensiamo noi". La migliore notizia della giornata.
  Il salone è davvero enorme. C'è un caldo tale che alle 9 del mattino si
respira un odore da spavento. Sembra lo spogliatoio del campetto alla fine
del primo tempo. Tuttintono una serie di sedie disposte in cerchio. Per
vedersi tutti in faccia ed eliminare le gerarchie. Quando entro nessuno dei
venti venticinque alza la testa. Mi saluta con un cenno solo uno che si
chiama Marco, o Mario, non ricordo, lo vidi in una riunione di Viterbo, lui
dev'essere di Firenze o Prato. Gli altri, d'altronde, non li conosco.
  Appena mi siedo comincio a sudare anch'io e già mi preoccupo per il
rientro in treno. Alla mia destra e alla mia sinistra, due che probabilmente
vanno dallo stesso sarto e allo stesso negozio di scarpe. Scoprirò più tardi
che sono una coppia di gay cinquantenni che cerca ancora di tenere nascosta
la propria relazione. "Sono docenti universitari nello stesso ateneo", mi
spiega Marco. "Vabbeh, ma qui mica siamo in un Università". "Si ma sai, la
gente...".
   Sta parlando Antonio. Mi diranno poi che è il direttore di una delle
riviste che spacciano diete quasi mortali da 5 chili in 7 giorni come il
frutto di accurate ricerche dietologiche. Ne ha fatta una Elena, la mia
compagna. Era quella del minestrone mezzogiorno e sera per quindici giorni.
A parte l'odore che c'era in casa, se oggi mangia una carota le vengono
delle macchie violacee sul collo ... .
   Antonio, con un accento bolognese quasi forzato, dice: "Eh no, cazzo. Non
si può chiudere. E in più, la rivista deve andare avanti così com'è. Cosa
cazzo significa che è troppo pesante?". Evidentemente non parla della
propria, che tira 250mila copie e gli fa intascare uno stipendio da 8-9
milioni al mese, lo fa girare su una Kompressor, e vivere in un attico con
vista sulle due Torri.
  Prende la parola Mario, che lui, "Sognando - e poi sotto, in trasparenza -
la rivoluzione", la fa da sette mesi a quattrocentomila lire al mese. Soldi
tirati su con gli abbonati e altri piccoli lavori.  "Senti Antonio, io son
d'accordo con te. Anche a me la rivista piace così com'è. Solo che se non
triplichiamo gli abbonati, me lo dici tu come cazzo facciamo a tirare
avanti. Io non c'ho manco i soldi per farmi la pizza il venerdì dopo la
riunione di redazione".
  "Ok Mario, ma vedi, siamo qui per trovare una soluzione. Abbiamo creato
questa rete nazionale di compagni e in pochi mesi abbiamo creato un
patrimonio di conoscenze e relazioni che non può andare disperso, così, per
qualche difficoltà. Bisogna che ciascuno di noi, uscito da qui, si faccia
carico di trovare almeno cinquanta abbonati. Prima di andar via dammi uno
dei blocchetti delle ricevute.
  Interviene Augusto che con Mario, praticamente, mette insieme la rivista.
"Antonio questa mi sembra una grande troiata. Perché tu vuoi dirmi che
uscito di qua, tu, con tutti gli impegni che hai, trovi il tempo di andare
in giro ad elemosinare le 70 mila dell'abbonamento? Non diciamo stronzate
per favore."
  Antonio, serafico: "Certo che lo faccio. Non sono mica uno di quelli che
parla a vanvera".
  Come inevitabile, poi, la discussione prende d'un tratto una brutta piega
per i due poveretti che ogni mese si rompono il culo per fare uscire quelle
sessanta pagine dense come la Treccani.
  "Bisogna parlare di contenuti" deve essere il motto che automaticamente si
è messo a circolare nei cervelli dei presenti. In tutti, tranne che in
quelli di Mario e Augusto.
  E allora giù di "globalizzazione", "multinazionali", "porci della Nato",
"quel bastardo di Berlusconi", "ma D'Alema è anche peggio", "intervistare
disoccupati", "sindacati corrotti", "solidarietà con gli operai di Marghera"
... .
   Durante la pausa pranzo - un buffet nel quale sono riuscito a malapena a
ingoiare due olive ascolane e una tartina al caviale - la stessa storia. A
gruppetti, come a scuola, tutti a inveire contro le multinazionali, ridere
con la maionese Calvè bene in vista sulla lingua, fare battute da Pippo
Franco. Per fortuna sono riuscito a non mollare per un attimo una bottiglia
di Cabernet che sarà costata sessantamilalire.
Quando, un po' annebbiato, mi risiedo nel salone, mi viene  quasi da
sboccare.
  Ci fosse stato uno tra questi idioti che prima di uscire abbia pensato di
aprire una finestra. Poi, pensieri e parole in fotocopia, anzi, in
ciclostile.
  Un po' per il vino, un po' per il sonno, un po' perché se avessi aperto
bocca sarei stato picchiato selvaggiamente, sta di fatto che anche nel
pomeriggio non ho detto una parola e nessuno mi ha chiesto nulla.
  D’un tratto, mentre rivedevo la moviola del gol in mezza rovesciata che
avevo fatto contro quelli della Cisl, risento la voce di Max, quello che mi
ha accolto stamattina.
  "Piaciuto?" E, senza neanche darmi il tempo di fare un cenno - che
comunque sarebbe stato entusiastico - : "Mi ha detto Antonio che ti dà lui
uno strappo fino in stazione, così risparmiamo il taxi. Ciao, ci sentiamo
...". "Sì, ciao".
   Anche alla guida della sua mercedes bianca-taxi, Antonio rimane Antonio.
Multinazionali, bastardi, Bertinotti, lotta, operai ... In fin dei conti,
quel maiale del tassista, era molto più simpatico.
Furio da Viterbo


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