Fwd:Il pomodoro della discordia





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Subject: [nobiotech-it] Il pomodoro della discordia
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qotidiano "Il Manifesto"  settembre 1999

UN'AZIONE ANTITRUST ISPIRATA DA JEREMY RIFKIN STA PER COLPIRE LE GRANDI
COMPAGNIE DI
PIANTE E ALIMENTI MODIFICATI GENETICAMENTE

IL POMODORO DELLA DISCORDIA

Le ragioni dell'economia alimentano sempre più la diffidenza nei
confronti di colture e cibi transgenici mentre le multinazionali
produttrici si preparano a difendersi nei tribunali di oltre trenta
paesi

- ANNA MELDOLESI -

Quella degli alimenti e delle colture transgeniche sembrava una marcia
inarrestabile: varietà agricole resistenti a erbicidi e pesticidi,
immuni di fronte alle malattie e capaci di sopravvivere alle
intemperanze del clima. Ma il vento sta girando e questa volta non si
tratta solo dell'annosa polemica sui potenziali rischi che gli alimenti
geneticamente modificati potrebbero comportare per la salute dei
consumatori e per l'ambiente. Le armi migliori nelle mani degli
oppositori dell'ingegneria genetica in campo agricolo non sembrano più
le incertezze scientifiche né i ragionamenti politici sulle sue
ripercussioni sul sud del mondo. A decidere la partita saranno le
ragioni dell'economia.

I giganti del cibo del futuro infatti sono chiamati ad affrontare la
crescente diffidenza del mercato e prima della fine dell'anno dovranno
difendersi nelle aule di tribunale in oltre 30 paesi. Come riferisce il
Financial Times, sulle grandi compagnie delle sementi e degli alimenti
modificati sta per abbattersi un'azione legale antitrust senza
precedenti. Il j'accuse parte da un'iniziativa di Jeremy Rifkin, che
della lotta ai cibi geneticamente modificati ha fatto una vera crociata
e dipinge da tempo terribili scenari di
genetic pollution per l'intero pianeta. La Foundation on Economic Trends
diretta da Rifkin infatti si è inoltre alleata con l'americana National
Family Farm Coalition e con piccoli gruppi di agricoltori sparsi tra
America Latina, Asia, Europa e Nord America. E ha arruolato una schiera
di avvocati con la clausola "niente vittoria, niente compenso".

Il problema del monopolio del resto è più che reale; secondo le stime
riportate dal giornale economico inglese il commercio annuale di sementi
rappresenta un affare da 23 miliardi di dollari e, dopo una serie di
fusioni e acquisizioni, 10 compagnie coprono ormai il 30% del mercato.
Se poi si restringe il campo alle piante geneticamente modificate la
concentrazione appare ancora più massiccia: 5 di queste 10 compagnie
controllano di fatto l'intero settore, vale a dire Monsanto, Novartis,
AstraZeneca, Aventis e DuPont. Per di più le politiche a difesa dei
diritti di proprietà intellettuale messe in atto dalle multinazionali
sono tutt'altro che permissive: gli agricoltori che acquistano le
sementi hanno diritto ad utilizzarle per una sola
stagione e quindi devono rivolgersi ogni anno alle industrie
produttrici.Se conservano parte del raccolto per piantarlo la stagione
successiva rischiano di essere perseguiti penalmente. E da tempo si
paventa l'ingresso sul mercato del cosiddetto gene terminator, che fa in
modo che le piante geneticamente modificate producano semi sterili,
buoni soltanto per il consumo ma non certo per la semina. "Già
all'inizio del nuovo secolo - commenta uno degli avvocati americani
assunti per l'azione antitrust - una manciata di compagnie deterrà il
pieno controllo sull'agricoltura di ogni società. Il rischio di
manipolazione del mercato è evidente".

Le industrie delle sementi naturalmente sono pronte a difendersi senza
esclusione di colpi e la questione approderà probabilmente anche a
Seattle nella cornice degli incontri organizzati dalla World Trade
Organisation per novembre. Ma a nessuno può sfuggire che questo per i
produttori di GM food e GM crops (ovvero cibo e piante geneticamente
modificati) è davvero un brutto momento. Azioni legali a parte, a dare i
mal di testa maggiori è la questione dell'etichettatura dei prodotti
transgenici: le etichette non solo allontanano i consumatori ma si
presentano come una spesa aggiuntiva a carico delle compagnie.

Le sementi geneticamente modificate in genere vengono mescolate con
quelle convenzionali e discriminarle costa caro. Le direttive
dell'Unione Europea in materia, è vero, non sono state messe in pratica
in modo particolarmente severo nei vari paesi ma qualcosa sta cambiando
e si tratta di cambiamenti sostanziali. Lunedì prossimo in Gran Bretagna
scadono i sei mesi che il governo ha accordato perché ristoranti, pub e
take-away specifichino sui propri menù se i loro piatti contengono soia
o mais transgenico. Certo si tratta di un provvedimento di difficile
attuazione: rilevare la presenza di ingredienti geneticamente modificati
non è affatto semplice ed è difficile immaginare che le autorità locali,
che hanno la responsabilità di controllare che il provvedimento venga
rispettato, corrano da un posto all'altro a prendere campioni di cibo da
portare in laboratorio. Ma le nuove leggi inglesi hanno già avuto
effetti di tutto rilievo: la settimana scorsa il Cambridgeshire County
Council ha annunciato che per evitare le spese di etichettatura dei menù
scolastici intende mettere in atto un bando totale degli alimenti
geneticamente modificati. E molte catene di fast-food hanno seguito
l'esempio optando almeno a parole per un offerta alimentare 100%
GM-free.

Del resto in Gran Bretagna l'ostilità nei confronti dei prodotti
alimentari transgenici tocca vette del tutto sconosciute in altri paesi
e questo provvedimento è una risposta al caso scoppiato lo scorso
febbraio, quando Arpad Pusztai, ricercatore del Rowett Institute, in
un'intervista aveva reso noto che i suoi topi nutriti con patate
transgeniche mostravano gravi problemi di salute.Da allora il cibo
geneticamente modificato ha tenuto banco sui tabloid inglesi con il nome
di Frankestein food, le organizzazioni ambientaliste hanno lanciato la
loro campagna ricordando il coverup governativo sulla questione mucca
pazza e diversi supermercati hanno ritirato dai banconi i prodotti
ingegnerizzati. E poco importa che il caso delle patate transgeniche dal
punto
di vista scientifico si sia rivelato poco più che una bolla di sapone
per le vistose pecche nei protocolli sperimentali seguiti da Pusztai.

Il clima anti-GM food è montato a tal punto che le stesse multinazionali
biotech hanno proposto al governo britannico una moratoria
sull'immissione di nuovi prodotti transgenici sul mercato promettendo di
compiere accurate ricerche sulla sicurezza delle proprie coltivazioni.
Ma né le moratoria prima, né le etichette sui menù ora sembrano
accontentare i gruppi ecologisti e negli ultimi tempi sono stati
registrati diversi attacchi alle coltivazioni sperimentali. Tanto che il
presidente della British Association for the Advancement of Science ha
avanzato la richiesta che i luoghi dei test vengano tenuti segreti e il
governo ha minacciato di prendere in considerazione la sua proposta se
gli atti di "vandalismo" non cesseranno.

Ma anche al di fuori del vecchio continente inizia a soffiare un forte
vento contro i GM food. La novità più grossa viene dal Giappone che in
agosto ha annunciato una severa regolamentazione che prevede
l'obbligatorietà delle etichette su 28 prodotti alimentari che
contengono soia, mais e patate geneticamente modificati e prevede che
vengano bollati come "indifferenziati" i prodotti ottenuti dal
mescolamento di varietà transgeniche e convenzionali. E le ripercussioni
di questa decisione sono arrivate anche negli Usa. Qui le preoccupazioni
dei cittadini sono assai meno assillanti che altrove, merito anche della
Food and Drug
Administration che gode della massima fiducia da parte degli americani.
Ma i grattacapi nascono dal problema di come piazzare all'estero
l'enorme quantità di prodotti geneticamente modificati made in Usa.

Il Giappone infatti era il principale acquirente di mais transgenico e
lo scorso anno un terzo del raccolto americano destinato
all'esportazione ha preso proprio la via del Sol Levante. Perciò la
nuova posizione del governo giapponese non poteva passare inosservata:
l'American Corn Growers Association ha invitato i propri membri a non
piantare più mais modificato per la resistenza ai pesticidi. Diversi
giganti del settore alimentare hanno iniziato a voltare le spalle ai
prodotti transgenici, chiedendo ai propri fornitori di separare le
materie prime ingegnerizzate da quelle convenzionali e pagando un premio
per chi fornisce
ingredienti GM-free. E persino sulle riviste scientifiche la domanda più
insistente è questa: supereranno i GM food l'esame del mercato?

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