[Disarmo] Fwd: [ReteDisarmo] Su DinamoPress - «Chiudere le industrie di armi oggi, riconvertirle per sempre domani»




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Da: Rete Disarmo - Segreteria <segreteria at disarmo.org>
Date: lun 30 mar 2020, 16:42
Subject: [ReteDisarmo] Su DinamoPress - «Chiudere le industrie di armi oggi, riconvertirle per sempre domani»
To: coordinamento Rete Italiana per il Disarmo <coordinamento_RID at googlegroups.com>


https://www.dinamopress.it/news/chiudere-le-fabbriche-morte-oggi-riconvertile-domani/

«Chiudere le industrie di armi oggi, riconvertirle per sempre domani»

di Riccardo Carraro

30 marzo 2020

Il decreto di “chiusura” delle industrie permette alle fabbriche di armamenti di autoregolamentarsi e pertanto di rimanere aperte. Proprio in questo ore circola la notizia che domani riprenderà la linea produttiva degli F35 della Leonardo a Cameri (Novara). «Non servono cacciabombardieri o navi militari contro il Covid-19», dice Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo

Cosa dice rispetto al settore delle armi il decreto di chiusura dei comparti produttivi del governo Conte?

Il decreto del presidente del Consiglio Conte del 22 marzo ha mostrato fin da subito un trattamento speciale ed eccezionale per il settore degli armamenti, soprattutto per quanto riguarda i grandi sistemi di arma. Una parte del decreto (la lettera H) dice che, vista l’eccezionalità e l’importanza dell’industria militare, è data facoltà, previo accordo con il prefetto, di continuare la produzione indipendentemente dalla tipologia e senza dare nessuna indicazione specifica di chiusura.

Certamente in generale c’è stata pressione da parte degli industriali per rimanere aperti, ma al tempo stesso l’industria della difesa non ha fatto certo fatica visto che è sempre stata trattata coi guanti bianchi. Non a caso la mattina del 26 marzo è comparsa sul “Corriere” un’intervista a Profumo, AD di Finmeccanica, in cui ha ribadito quanto sia rilevante e strategica, ma nell’intervista non ha menzionato esempi che riguardino gli armamenti, accennando solo a comunicazione e cybersecurity.

Nonostante gli accordi del 25 marzo delle parti sociali con il ministro Guerini, che aveva promesso una stretta rispetto alle fabbriche aperte, c’è stata una lettera successiva dei ministri Guerini e Patuanelli che hanno chiesto il favore di autoregolamentarsi alle industrie degli armamenti, per decidere autonomamente di limitare le proprie produzioni.  Ancora una volta questa industria è stata trattata in modo speciale.

Cosa chiede la campagna della Rete Disarmo al governo in questo momento?

Assieme a Sbilanciamoci e Rete per la pace abbiamo chiesto due cose, una immediata, l’altra in prospettiva. La più immediata è la chiusura delle industrie militari. Non ci sembra il caso di far rischiare la vita agli operai di queste industrie solo per il profitto dell’industria della difesa che non è necessaria in questo momento. Non ci serve avere un cacciabombardiere o una nave militare per lottare contro il Covid-19.

L’altra richiesta è di prospettiva. Abbiamo denunciato in un comunicato che, dal 2006 a oggi, il Pil destinato alla Sanità si è ridotto dal 7 al 6.5%, mentre è sempre aumentato quello delle armi, dall’1,2 all’1,45%. Non siamo ingenui, sappiamo che non si risolvono subito i problemi attuali del Paese solo con la riduzione della spesa militare. Crediamo però che uno spostamento importante delle risorse destinate a quelle spese verso sanità e welfare potrebbero essere un inizio importante per affrontare questa fase. Sei miliardi potrebbero essere recuperati subito e sarebbero utilissimi.

L’industria delle armi italiana ha una forte concentrazione nella Lombardia, il luogo più colpito dalla pandemia del Covid-19. Come stanno reagendo popolazione e sindacati dopo l’ennesimo atto del governo che favorisce gli interessi degli industriali delle armi?

La difesa e l’industria militare hanno in Lombardia una presenza importante. In provincia di Brescia sono concentrate le industrie legate alle munizioni e armi minori, che sono chiuse perché non considerate strategiche neanche da questo ultimo Dpcm. Invece in tutto il resto della regione sono rimasti aperti gli stabilimenti delle grosse industrie, come Leonardo. L’opinione pubblica però, indipendentemente dal luogo, si sta rendendo conto quanto sia stato deleterio continuare a proteggere una industria che non produce vita ma morte e che ha contributo a impedire una preparazione migliore per affrontare la situazione in cui viviamo, per quanto non si potesse immaginare un colpo di questo impatto. Se non avessimo avuto una riduzione continua dei posti letto e degli investimenti nella sanità, forse saremmo riusciti a gestire meglio questa crisi.

Può essere questo un momento chiave proprio per fare pressione per una vera riconversione dell’industria bellica italiana e potrebbe essere questa riconversione una delle chiavi di volta per uscire dalla crisi economica che affronteremo nei prossimi mesi?

Credo che questa grave situazione possa far riflettere rispetto a tanti ambiti e processi decisionali e politici, dall’ambiente, alla salute, al welfare. Deve far riflettere anche sui temi che ribadiamo da anni, cioè l’urgente necessità di uno spostamento di risorse dal militare al civile.  È importante rilanciare oggi questo tema, perché la gente comprende davvero in modo evidente cosa sia la sicurezza: non certo quella che ottieni nei confronti di un nemico esterno o di un esercito invasore ma è legata alle condizioni di lavoro, salute, vita.

Potrebbe essere un momento di riflessione anche parlare di queste industrie, che sono sempre state protette anche se non sono così centrali. Fanno solo lo 0,6% dell’export, sono ben altre le colonne portanti della nostra economia. Soprattutto è un tipo di industria che non è dinamica nei ritorni perché bloccata da segreti miliari e accordi dei governi. Investire soldi nell’ambiente, nella salute, nell’educazione ha un ritorno maggiore non solo sociale anche economico. Parlare di riconversione ora è importante per liberarci di questo fardello e contribuire alla ripresa sociale ed economica di cui avremo bisogno domani. Va fatto notare che anche alcune aziende come la Beretta hanno messo a disposizione le proprie strutture per fare respiratori. Hanno un potenziale per produrre altro, se lo volessero.

Ma la riconversione più importante dipende dalle decisioni in termini di spesa pubblica: moltissime di quelle aziende, soprattutto le più grandi, hanno competenze tecnologiche produttive di ricerca e sviluppo per fare altro. Se lo stato chiedesse loro di produrre Canadair per spegnere incendi anziché cacciabombardieri, potrebbero farlo. Se lo stato chiedesse elicotteri per l’elisoccorso anziché di guerra, potrebbero farlo. Chiediamo loro di fare altro.

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