[Disarmo] Fwd: Re: [ReteDisarmo] Svolta americana del M5S: spariti dal programma il taglio degli F35



Per conoscenza.
Elio
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Da: "Rete Disarmo - Segreteria" <segreteria at disarmo.org>
Data: 24 feb 2018 8:57 AM
Oggetto: Re: [ReteDisarmo] Svolta americana del M5S: spariti dal programma il taglio degli F35
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ciao a tutti

oltre all’ottimo lavoro già fatto da Massimiliano sui programmi dei vari partiti politici, segnalo anche questa intervista interessante dell’amico Fabrizio Coticchia (docente a Scienze Politice nell’università di Genova, attento ai temi della difesa e anche del pacifismo… sta per uscire il suo "Al di là dell'Arcobaleno. I movimenti pacifisti italiani tra ideologie e contro-narrazioni strategiche"  http://www.fabriziocoticchia.com/home/al-di-la-dellarcobaleno-i-movimenti-pacifisti-italiani-tra-ideologie-e-contro-narrazioni-strategiche-2018-forthcoming)

credo che nell’introduzione ci sia un riferimento errato al programma di +Europa… ma il resto dell’intervista è molto interessante
ciao
Francesco

http://www.lindro.it/difesa-la-convergenza-dellassenza-nei-programmi-di-partiti-sempre-piu-ignoranti/

A uno sguardo comparativo, le proposte elettorali in materia di difesa figurano in secondo piano rispetto a questioni di politica interna ed estera (in particolare il rapporto con l’Europa come istituzione) su cui dirigere l’attenzione e il consenso. Tuttavia, a una settimana dalla Ministeriale NATO di Bruxelles – occasione in cui il Ministro della Difesa Roberta Pinotti ha sottolineato il ruolo dell’Italia fra i principali contributori nelle missioni e l’impegno a raggiungere il 2% del PIL nelle spese militari – proprio la forte critica verso l’Alleanza atlantica è uno dei nodi che ritroviamo, trasversalmente, nel discorso di diverse forze politiche in corsa (a sinistra, nel M5S, ma anche nel cartello Fiamma Tricolore-Forza Nuova).  

Un tema su cui, invece, sembra convenire la maggior parte dei concorrenti è la necessità del disarmo nucleare e della ratifica del relativo Trattato delle Nazioni Unite approvato il 7 luglio 2017, mentre forti divergenze si registrano rispetto alla politica di difesa comune e alla possibilità di creare un mercato unico a livello europeo. In senso positivo, +Europa arriva a proporre una difesa federale e l’istituzione di una Guardia Nazionale, di un ministero della Pace e di un Dipartimento della Difesa civile.

Tra scontri sulle logiche di mercato che orientano la nostra industria bellica, e silenzio propositivo rispetto al discorso politicamente ‘incorporato’ (e dichiarato dalle forze di Centrodestra) di prevenzione e contrasto del terrorismo a matrice islamista, l’aspetto dell’interesse nazionale si rivela prioritario, in linea con l’andamento della politica estera degli ultimi anni. Tale interesse si declina, per l’Italia, lungo linee di tensione riconducibili all’area mediterranea e ai Paesi a Sud del ‘Mare nostrum’ (c.d. ‘fronte Sud’).

È possibile, nell’assenza di un discorso organico sulla nostra politica di difesa e con tutte e incognite che solleva il ruolo dell’Italia come media potenza euromediterranea, capire – prima del 4 marzo – quali potrebbero essere le direttrici del ‘risorto’ interesse nazionale?

Ne parliamo con Fabrizio Coticchia, Ricercatore in Scienze politiche, esperto in strategie di difesa e Coordinatore dell’Osservatorio sui conflitti presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Genova.

Nel quadro variegato offerto dei manifesti elettorali le proposte in materia di difesa presentano elementi conflittuali, ma anche singolari convergenze. Potrebbe evidenziarle e rilevare, se esistono, eventuali lacune presenti nei programmi?

Il primo elemento di generale convergenza è dato dall’assenza di un’attenzione specifica rivolta ai temi della difesa. Paradossale è il caso del Centrodestra, che quasi ignora l’argomento nel Programma comune.   Anche da parte dei partiti della destra radicale, come CasaPound (che si pronuncia per un generico «potenziamento del nucleo di difesa nazionale», della spesa militare e dell’industria ‘made in Italy’), il riferimento è assolutamente marginale e privo di rilievo. Pertanto, il tema della difesa non è al centro del dibattito: non solo per il Centrodestra, ma anche per il Partito Democratico (PD) non è così rilevante rispetto ad altre ‘issues’. Nella scienza politica si sa che, tendenzialmente, i temi di politica estera e di difesa sono secondari rispetto alle questioni domestiche, fatte salve le situazioni di crisi.

La situazione attuale, però, non appare così stabile.

Al presente, la situazione è problematica: terrorismo, flussi migratori, crisi regionali… Proprio per questo, ci si sarebbe aspettati una maggiore attenzione su tutti questi aspetti.

Il secondo elemento di convergenza è la propensione a mettere insieme i temi della difesa e della sicurezza. Ad esempio, la sicurezza interna, declinata attraverso la lotta al terrorismo e a minacce multidimensionali come l’immigrazione, è spesso commista ai temi della difesa. Questo è chiaro nel Programma del Centrodestra, ma anche presso altre formazioni.

Un tema divisivo, invece, è quello delle spese militari. Ci sono partiti che concordano in maniera più o meno esplicita nell’aumentare la spesa militare. Il Centrodestra lo afferma esplicitamente, anche se in maniera molto superficiale, copiando i parametri esistenti nei Paesi occidentali: anche se non è nominato, il riferimento è al 2% individuato in sede NATO – in realtà, anche all’interno della NATO ha poco senso utilizzare questo benchmark, ma il Centrodestra lo fa comunque.  Il Centrosinistra evidenzia, attraverso il PD, la necessità di aumentare le spese per la difesa, da rapportare comunque alle spese necessarie ad altri settori come quello della cultura. Al contrario, invece, partiti come Liberi e Uguali o Potere al popolo esprimono la loro contrarietà sulla necessità di aumentare le spese militari.

In mezzo a tutte queste fratture, la questione del disarmo sembra un fattore unificante.

Un aspetto di estrema convergenza è offerto dal Trattato ONU per la proibizione delle armi nucleari: in questo caso, sia Potere al popolo che LeU, sia Insieme che +Europa sottolineano la necessità di una tempestiva ratifica del trattato. Potere al popolo e LeU fanno riferimento alla cultura di disarmo – il capitolo relativo alla difesa, per entrambi, è intitolato «Pace e disarmo».  Per quanto i due soggetti chiamino in causa gli stessi valori comuni, a iniziare dalla portata costituzionale dell’Articolo 11, la differenza è data da un atteggiamento in senso più anti-NATO di Potere al popolo rispetto a LeU.

Interessante, ancora, il caso del Programma F-35 (dove l’Italia figura, insieme all’Olanda, come partner di secondo livello tra gli 8 Paesi coinvolti con gli USA): sia Potere al popolo che Insieme mettono in luce la necessità di ridurre le spese o il numero degli aerei da combattimento F-35. Benché assente dal Programma ‘formale’ presente sulla pagina del Ministero degli Interni, l’argomento è toccato anche dal Movimento 5 Stelle, che non riserva molto spazio all’ambito difensivo. Il Programma F-35 è un tema tuttora rilevate.

C’è una tendenza a ridimensionarlo, pur restando dentro al Programma?

Dipende: Potere al popolo è nettamente contrario al Programma F-35, idem M5S. La scelta non è esplicitata da LeU, anche se parte dei soggetti che vi aderiscono sono a favore di un’eliminazione. Diversamente, Insieme – interno alla coalizione del PD – è favorevole alla riduzione del numero degli F-35, in linea con quella che era stata la ‘mozione Scanu’ (n. 1-00586 del 24 settembre 2014) finalizzata a dimezzare il budget finanziario iniziale, poi approvata dai deputati del Partito Democratico. Pur restando ‘in sospeso’ l’affermazione «uscire dal programma di acquisto» che segue la proposta di congelamento dei nuovi contratti di acquisizione dei velivoli per il 2018, la posizione del movimento su questa issue risulta più temperata.

Infine, Insieme, +Europa e PD, con qualche sfumatura di tono, sottolineano l’importanza di un’organizzazione basata sugli ‘Stati Uniti d’Europa’, mentre partiti come Sinistra rivoluzionaria– che ha un marcato approccio di stampo anti-imperialsta – criticano fortemente questa prospettiva istituzionale.  

Rispetto al tema della difesa, il risorgere dell’interesse nazionale nel quadro europeo crea anche un ri-orientamento delle nostre priorità, soprattutto se pensiamo a quale è stata la strategia di internazionalizzazione della risposta alle crisi e alle pressioni italiane sulla NATO contro le minacce provenienti dal ‘fronte Sud’. Come si traduce questa evoluzione a livello politico e nella formulazione dei programmi?

Innanzitutto, c’è una generale tendenza da parte dei partiti più ‘mainstream’ – la coalizione del Centrodestra e il PD – a supportare le Forze Armate e le missioni militari. Attualmente, nel quadro dell’attività di ricerca svolta dal neo-nato Osservatorio sui conflitti dell’Università di Genova, sto lavorando a uno studio (i cui dati sono già stati raccolti ed elaborati) che indica come la percentuale di voti favorevoli rispetto alle missioni militari italiane all’epoca successiva alla Guerra fredda sia intorno all’80%: è la conferma di un approccio bipartisan alle missioni militari. Lo studio analizza il periodo 1994-2016 e i voti parlamentari sulle missioni militari (ossia: come ogni singolo parlamentare ha votato per ogni singola risoluzione, decreto-legge o rifinanziamento), raggiungendo quella percentuale, erano voti positivi – di tutti i partiti.

Dall’analisi degli attuali manifesti elettorali si desume questo aspetto, nonostante vi siano formazioni che mantengono la propria contrarietà, come Potere al popolo e Sinistra rivoluzionaria.

Come interpreta questa tendenza?

Essenzialmente, il dato numerico conferma le ricerche effettuate: il citato supporto bipartisan post-Guerra fredda alle missioni militari rappresenta uno degli asset principali – se non il principale – della politica estera italiana.

Perché insistere sulle missioni militari internazionali?

L’Italia ha utilizzato le proprie Forze Armate come strumento di politica estera, ricorrendo alla retorica delle missioni di pace e umanitarie, adesso un po’ vuota, per ottenere un consenso generale su tali attività anche quando, in realtà, avevano scarsa attinenza con la ‘pace’. Nondimeno, è un fatto che buona parte dei partiti abbia sostenuto la stragrande maggioranza di queste operazioni.

Tornando ai programmi, sulla questione ‘fronte Sud’ non c’è molto. Si tratta di un aspetto cruciale che ha visto l’Italia battersi, all’interno della NATO, per una maggiore assistenza nell’area MENA (Medio Oriente e Nordafrica) a fronte delle consistenti richieste di protezione sul ‘fronte orientale’, dopo la crisi ucraina, da parte dei Paesi dell’Est europeo. Sicuramente, l’approvazione delle missioni in Niger e in Libia all’inizio del 2018 rientra appieno in questo tipo di strategia, che rimodula l’impegno italiano verso il Nordafrica e il Sahel. Questo è chiaro a partire dal Libro Bianco approvato dalla legislatura uscente, nel quale si pone il Mediterraneo al centro, in termini strategici. In base alle priorità del Libro Bianco, il nostro impegno è reindirizzato dall’Afghanistan e dall’Iraq verso un’area geograficamente più prossima all’Italia, nella quale siamo portatori di maggiori interessi.  

Cosa comporta, sul piano strategico, questa nuova ricollocazione?

Il fatto che, nel Libro Bianco, non si ha paura – dopo tanto tempo – a utilizzare il concetto di ‘interesse nazionale’. Questo, però, non si ritrova in nessuno dei programmi elettorali. Né si ritrovano riferimenti al Libro Bianco. Per quanto, a mio modo di vedere, quel documento avesse avviato un percorso di riforma positivo, ad esempio per ciò che riguarda il processo di interforzizzazione (modalità operativa tesa a evitare la duplicazione di funzioni e sforzi logistici), l’iter legislativo che lo avrebbe attuato si è bloccato.

Il contrasto al terrorismo jihadista può, con la sua forza di attrazione, avere inibito lo sviluppo di un’analisi su tali questioni?

  La grande preoccupazione per il terrorismo è un refrain del discorso politico. L’ultimo punto del Centrodestra in materia di difesa è, appunto, la «lotta al terrorismo»: fin qui siamo tutti d’accordo, però non si danno altre specificazioni.  Pensiamo, allora, che per la prima volta si è avuta una proposta di legge anti-radicalizzazione approvata solo da una delle Camere (Ddl ‘Dambruoso-Manciulli’). Questa legge poteva essere un valido ‘motore di avviamento’ sul tema della prevenzione, invece si è arenata. Se siamo abbastanza bravi nel contrasto al terrorismo, nella prevenzione direi che siamo a zero. Perciò, nei vari programmi, anche questo aspetto è disertato, mentre l’attenzione prioritaria è diretta al fenomeno migratorio. Talvolta esso è analizzato con framework concettuali aperti; in altri casi, si fa riferimento a un approccio di stampo sovranista, se non apertamente razzista.

Quali possono essere le ragioni di ‘distrazione’ delle forze politiche da un tema rilevante come la difesa

Come dicevo, la scienza politica tende a evidenziare come le problematiche che preoccupano di più i cittadini siano quelle di politica interna, relative all’economia o ad aspetti culturali e valoriali che, oggi, trovano espressione nelle tensioni legate al fenomeno migratorio. Nel nostro Paese manca una cultura della Difesa, una cultura strategica capace di facilitare una discussione sulle problematiche sopra accennate. Ciononostante, sono stati fatti passi avanti: ad esempio, LeU cita l’Osservatorio MIL€X che, distaccandosi dal consueto ‘NO alle missioni’ dei pacifisti, si sforza di adottare un approccio scientifico all’analisi delle spese militari. Sicuramente, i limiti sono imputabili anche al personale politico che dovrebbe occuparsi di questi temi. Ritorno a parlare del Centrodestra per la retorica che gli appartiene e i riferimenti valoriali di partiti come Forza Italia o Fratelli d’Italia: sarebbe logico attendersi una maggiore attenzione su problemi specifici e, più in generale, un interessamento alla difesa. Eppure non è così.

C’è qualche eccezione, nei diversi contesti di appartenenza?

In assenza di segnali positivi dalle formazioni minori, rispetto al Centrodestra – e pur lavorando da un decennio su questi temi e analizzando i dibattiti in Commissione Difesa – al di là di Giudo Crosetto (FdI, ex-Sottosegretario alla Difesa nell’ultimo Governo Berlusconi) non mi viene in mente nessun attore politico di quell’area particolarmente esperto in materia. Dal Centrosinistra arriva qualche sforzo in più, ma il dialogo resta tuttora limitato e problematica: in alcuni casi abbiamo un approccio divisivo sui temi della difesa e della sicurezza. Basta confrontare la posizione di LeU con quella del PD.




Il giorno 23 feb 2018, alle ore 08:49, Massimiliano Pilati <massi.pilati at gmail.com> ha scritto:

Ciao,
lungi da me esprimermi a favore o contro una formazione politica in questa sede ma dopo l'articolo postato da Pagani ho controllato e devo dire che curiosamente è corretto quanto vi è scritto. Quando avevo fatto la mia ricerca su tutti i programmi elettorali rispetto ai "nostri" temi (18 febbraio) in quello del 5s compariva chiaramente l'opposizione agli f35...

Guardando oggi gli f35 in tutto il programma difesa non vengono menzionati e anzi il programma è stato notevolmente "asciugato"

Ciao, Massimiliano.

Il giorno 23 febbraio 2018 02:11, Mao Valpiana <mao at nonviolenti.org> ha scritto:
Non mi sembra opportuno, in questa lista, fare campagna elettorale: nemmeno in negativo.

Mao

Il 23 Febbraio 2018 00:18:03 CET, Elio Pagani <eliopaxnowar at gmail.com> ha scritto:
In allegato l'oggetto.
Elio

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Diceva Gandhi:
Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre.
Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo. La verità e la nonviolenza sono antiche come le montagne. 
Non c'è strada che porti alla pace che non sia la pace, l'intelligenza e la verità.
Io e te siamo una sola cosa: non posso farti male senza ferirmi.
Occhio per occhio... e il mondo diventa cieco.
Ci sono cose per cui sono disposto a morire, ma non ce ne è nessuna per cui sarei disposto ad uccidere.
Per praticare la nonviolenza, bisogna essere intrepidi e avere un coraggio a tutta prova.
Nessun uomo può essere attivamente non-violento e non ribellarsi contro l'ingiustizia dovunque essa si verifichi.


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