[Disarmo] Il jihad offensivo si autolegittima con l’attacco agli sciiti



Il jihad offensivo si autolegittima con l’attacco agli sciiti

Attacco a Teheran. Da al-Zarqawi al califfo al-Baghdadi, l'obiettivo è l'annullamento degli «idolatri» secondo la dottrina salafita. Simbolici i target di ieri: sciismo e sistema parlamentare, «venerazioni estranee a Dio»

 

Il leader dello Stato Islamico, Abu Bakr al-Baghdadi

Giuliano BattistonIl Manifesto

Ampiamente celebrati dai simpatizzanti di Abu Bakr al-Baghdadi, gli attentati di ieri a Tehran sono i primi significativi compiuti in Iran dallo Stato Islamico. Seguono altri tentativi non riusciti, o sventati dai capillari apparati di sicurezza della Repubblica islamica.

Un paese che è nelle mire dell’Is da molti anni. Sin da quando il padre putativo del movimento, il jihadista giordano Abu Musab al-Zarqawi, si scontrava con la leadership di al-Qaeda proprio sulla legittimità e sull’utilità di colpire i «rafiditi», termine dispregiativo con cui i militanti radicali sunniti designano gli sciiti, coloro che hanno abbandonato la vera fede. Già per al-Zarqawi «ci sono solo due campi, il campo della verità e dei suoi seguaci e il campo della falsità e degli sciiti».

Nel febbraio del 2004 al-Zarqawi, che pochi mesi dopo avrebbe affiliato il suo fronte militare ad al-Qaeda, invia una lettera alla leadership qaedista in cui fornisce le giustificazioni teologiche e politiche per gli attacchi contro la comunità sciita.

Indicazioni poi seguite anche dal califfo. Per al-Zarqawi, gli sciiti sono perfino più pericolosi degli americani, che in quegli anni occupavano militarmente l’Iraq: «Mentre le forze crociate spariranno dalla vista domani o il giorno successivo, gli sciiti rimarranno» e «il pericolo che viene dagli sciiti è più distruttivo per la nazione islamica rispetto agli americani».

Il giordano si rifà ai classici di scuola sunnita, soprattutto a Ibn Taymiyya, il teologo del tredicesimo secolo fondamentale nella diffusione del salafismo e cita diversi precedenti storici: la dinastia persiana dei Safavidi, al potere dal XVI secolo all’inizio del XVIII, viene presentata come un «pugnale che colpisce alle spalle l’Islam e i musulmani», mentre agli sciiti è attribuita la responsabilità di aver aiutato i mongoli nella distruzione di Baghdad, nel 1258.

Il jihad offensivo e muscolare di al-Zarqawi punta ad affermare la sovranità divina annientando le fonti dell’idolatria ovunque siano annidate, cercandole innanzitutto dentro la comunità islamica.

Non è un caso – nota il ricercatore Aaron Zelin – che gli obiettivi colpiti a Tehran siano il mausoleo dell’ayatollah Khomeini e il Parlamento, «simboli di forme di venerazione estranee alla vera sovranità divina».

Ma nell’accanimento di al-Zarqawi e poi del califfo contano anche questioni molto più prosaiche: l’idea che il Medio Oriente sia stato consegnato a Tehran.

«Vogliono creare uno Stato sciita che si estenda dall’Iran fino ai regni del Golfo, passando per Iraq, Siria, Libano», così scriveva al-Zarqawi nel 2004.

Per l’egiziano al-Zawahiri, allora numero due di bin Laden e oggi numero uno di al-Qaeda, il settarismo confessionale contro gli sciiti era però controproducente. «I loro errori teologici dipendono dall’ignoranza», rispondeva ad al-Zarqawi.

All’attuale leader di al-Qaeda interessava mantenere buoni rapporti con Tehran. Rapporti riconducibili già ai primi anni ’90, quando l’egiziano cercava sponde per rovesciare il governo del Cairo, e poi consolidati negli anni successivi quando al-Qaeda e settori dell’establishment iraniano trovarono un accordo informale di cooperazione tattica, a dispetto dell’incompatibilità ideologica: tolleranza verso i barbuti in cambio dell’«immunità» dell’Iran rispetto agli attentati terroristici.

Quell’accordo ha attraversato alti e bassi, momenti di più aperta collaborazione e fasi di duro conflitto e non ha mai vinto i reciproci sospetti. Una volta smarcatosi da al-Qaeda, lo Stato islamico ne ha fatto uno dei temi più ricorrenti nella propaganda contro la vecchia guardia jihadista. Accusata di ipocrisia, perché subalterna ai «safavidi» iraniani.

Con gli attentati di ieri, il califfo alza il tiro in modo preoccupante. E porta a casa due risultati: mostra ai simpatizzanti che, contrariamente all’attendismo ipocrita di al-Qaeda, colpire l’Iran si può; infiamma ulteriormente le tensioni confessionali, comunitarie e politiche, in un momento in cui sono altissime.

Le Guardie della rivoluzione iraniana hanno già dichiarato che dietro gli attentati ci sono americani e sauditi.