[Disarmo] Che cosa è successo in Turchia?




di Guney Isikara, Alp Kayserilioglu e Max Zirngast – 20 luglio 2016

Venerdì 15 luglio, circa alle 22:15, unità delle Forze Armate Turche (TSK) hanno bloccato a Istanbul i due principali ponti sul Bosforo. Altre, pattugliando la linea costiera, hanno annunciato che le persone dovevano lasciare le strade; è stato dichiarato lo stato di emergenza.

L’aeroporto Ataturk di Istanbul è stato catturato e chiuso dall’esercito, che ha anche cominciato a disarmare unità di polizia nella città. Contemporaneamente nella capitale Ankara hanno fatto l’ingresso blindati e su di essa hanno volato bassi dei caccia. Sono scoppiati pesanti sparatorie e combattimenti.

Svolgimento del colpo di stato

E’ divenuto gradatamente chiaro a tutti che parti dell’esercito stavano tentando un colpo di stato. Tuttavia ai golpisti c’è voluta più di un’ora e mezza prima di diffondere una dichiarazione ufficiale.

Ben prima di ciò il primo ministro Binali Yildrim, del partito al governo Giustizia e Sviluppo (AKP), aveva pronunciato un affrettato commento alla televisione annunciato un tentativo di colpo di stato di una minoranza dell’esercito e sollecitando il popolo a contrattaccare.

Alla fine i soldati hanno fatto irruzione nell’emittente radiotelevisiva statale e hanno letto la loro dichiarazione. Un “Consiglio per la Pace in Patria” (un riferimento allo slogan anti-espansionista di Mustafa Kemal “Pace in patria, pace nel mondo”) ha affermato di aver preso il potere al fine di ripristinare lo stato di diritto democratico e laico, che era stato eroso dal governo del presidente Erdogan.

Per tutto il tempo a Istanbul, e specialmente ad Ankara, dove si trovano le istituzioni statali, sono scoppiati scontri. Il quartier generale dello stato maggiore del TSK è stato occupato dai golpisti solo verso mezzanotte e il capo dello stato maggiore, Hulusi Akar, è stato preso in ostaggio insieme con altri comandanti di vertice. E’ stato forzato a sottoscrivere la dichiarazione del colpo di stato, cosa che si è rifiutato di fare.

Il parlamento, la direzione dei servizi segreti, il palazzo presidenziale e altre istituzioni statali sono stati fatti segno di colpi d’arma da fuoco da elicotteri o caccia, mentre blindati hanno pattugliato aree critiche. L’attacco si è concentrato sulla direzione dei servizi segreti e su quella delle forze speciali della polizia, due delle istituzioni considerate più leali a Erdogan e all’AKP.

E’ divenuto rapidamente chiaro che il colpo non era pianificato dallo Stato Maggiore ma aveva luogo contro la catena di comando. I complottisti provenivano principalmente dalla gendarmeria e dall’aviazione ed erano assistiti da parti delle forze armate. Non pare che generali di alto rango siano stati implicati all’inizio; in realtà molti di solo sono stati presi in custodia dopo il fallimento del colpo di stato.

Quando il corso della battaglia si è fatto più chiaro molti altri alti generali, come Umit Dundar, della Prima Armata, hanno lentamente cominciato a telefonare alla CNN Turk per condannare il colpo di stato, dichiarandolo illegale e traditore e ordinando alle unità militari coinvolte di tornare nelle caserme.

Contemporaneamente hanno cominciato ad affluire dichiarazioni dell’opposizione e di altre figure politiche importanti. Il Partito del Movimento Nazionalista (MHP), fascista-nazionalista, il Partito Popolare Repubblicano (CHP), kemalista, il Partito Popolare Democratico (HDP) filo-curdo, hanno tutti condannato il tentativo di colpo di stato.

L’ex presidente Abdullah Gul, spesso oggetto di voci di prossimità all’ex imam e un tempo alleato dell’AKP Fethullah Gulen e potenziale rivale di Erdogan, ha condannato vigorosamente il colpo di stato, così come ha fatto l’ex primo ministro Ahmet Davutoglu, che era stato licenziato e rimosso dal presidente solo un paio di mesi prima.

Mezz’ora dopo la mezzanotte lo stesso Erdogan è riuscito a collegarsi alla CNN Turk attraverso Face Time da una località segreta. Ha accusato la “struttura parallela” e la “Pennsylvania” di complottare contro di lui. Quei riferimenti sono ben noti in Turchia e riguardano Gulen – residente in Pennsylvania dal 1999 – e la sua comunità religiosa.

Erdogan ha anche sollecitato il suo popolo a scendere nelle strade e negli aeroporti per contrattaccare. Migliaia di civili lo hanno fatto. Analogamente, su ordini di Mehmet Gormez, presidente degli affari religiosi, le moschee di tutto il paese hanno implorato per tutta la notte la gente di scendere in strada.

A quel punto forze governative – forze speciali della polizia e unità militari lealiste – hanno cominciato ad attaccare le posizioni ancora tenute dai golpisti. Sono state assistite non solo da migliaia di civili ma anche da paramilitari allineati all’AKP con armi leggere, che sono stati visti frequentemente in azione negli ultimi anni contro dimostrazioni di massa dell’opposizione.

Fuori dalla Turchia alla comunità internazionale c’è voluto un po’ di tempo prima di commentare gli eventi in corso. Mentre la prima dichiarazione statunitense, del Segretario di Stato John Kerry, è stata ambigua, affermando che sperava prevalessero “la stabilità e la pace”, alla fine il presidente Obama è emerso a dichiarare il suo sostegno al governo eletto.

Quanto più dichiarazioni di questo tipo arrivavano da vari paesi e agenzie internazionali, tanto più le cose hanno cominciato a cambiare a favore del governo. Quando alla fine Erdogan ha parlato all’aeroporto Ataturk circa alle quattro del mattino, lui e i suoi sostenitori non hanno potuto che proclamare definitivamente la vittoria. Gli scontri continuavano, particolarmente ad Ankara, ma il colpo di stato era chiaramente una causa persa.

Perché il colpo di stato è fallito?

Gli eventi del fine settimana hanno mostrato un tentativo di colpo di stato pianificato e attuato in modo disastroso. Era difficile chiedersi come qualcuno pensasse che fosse una buona idea.

  1. Il colpo di stato era pianificato malamente ed era privo di legittimazione

Tanto per cominciare non c’era alcuna preparazione politica o ideologica per il colpo di stato. Nessun colpo di stato militare può aver luogo senza di essa, specialmente un colpo di stato come questo che prevedeva il sostegno sul campo, nel giro delle prime ore, del sentimento anti-AKP nella società e nello stato. Anche se esiste una diffusa opposizione a Erdogan, c’è oggi anche opposizione pubblica ai putsch.

Perché oggi un colpo di stato militare sia accettato e difeso da vaste parti della società in Turchia, dovrebbe essere visto come una procedura efficace e transitoria che prepari immediatamente il terreno per un’alternativa civile democratica praticabile all’AKP. Non era stata costruita alcuna alternativa e non era stato fatto alcun altro preparativo di alcun genere.

Il colpo di stato è risultato una sorpresa, anche per quelli che avrebbero dovuto appoggiarlo. Molti sono rimasti confusi da ciò che stava accadendo, poiché non riuscivano a vedere un senso o una direzione significativa nel colpo di stato ma semplicemente una ripetizione di un vecchio incubo.

Il fatto che i golpisti non avessero alcun volto visibile da identificare e cui associarlo (persino la loro trasmissione è stata condotta da un conduttore della televisione pubblica, non da un partecipante) non ha fatto che aumentare la distanza del popolo dai complottisti.

  1. Era politicamente isolato

Il colpo di stato è anche stato immediatamente isolato nell’arena politica. Tutti i protagonisti politici e persino economici centrali hanno condannato l’azione: l’AKP e tutti i partiti di opposizione (CHP, MHP e HPD) hanno diffuso dichiarazioni l’un dopo l’altro di isolamento dei golpisti e la principale associazione dell’industria – la TUSIAD, rappresentante le principali correnti del capitale finanziario turco – si è unita a loro. Senza questo sostegno era facile capire perché le unità ribelli erano soverchiate dalla polizia e dai civili.

  1. I soldati coinvolti non erano partecipanti impegnati

Essendo fin dall’inizio un’azione così contrastato, il colpo di stato non è stato condotto tanto brutalmente quanto sarebbe stato necessario al fine di avere la meglio. I golpisti avrebbero dovuto sparare con armi pesanti e artiglieria sulle folle per tenere il terreno, ma fortunatamente non l’hanno fatto e molti soldati si sono semplicemente arresi alla polizia e si sono lasciati arrestare.

Dalle fotografie persino delle posizioni centrali del colpo di stato, come il ponte Fatih Sultan Mehmet di Istanbul, si possono vedere gli uomini dietro il tentativo: soldati giovani, di basso rango, non impegnati che hanno rapidamente vacillato.

Molti soldati, che dovevano prendere il controllo delle strade, hanno affermato in seguito che era stato detto loro che erano inviati in missioni di addestramento e sono rimasti sorpresi quando si sono resi conto di prendere parte a un colpo di stato. Alcuni hanno addirittura cominciato a disertare quando la situazione si è chiarita.

  1. Non hanno agito con decisione

I golpisti non hanno cercato nemmeno di difendere i loro punti di forza: inizialmente avevano avuto slancio ad Ankara e dapprima erano stati in grado di dominare lo spazio aereo della capitale. Tuttavia non sono stati capaci di attuare attacchi decisivi: non sono stati in grado di neutralizzare le istituzioni centrali del loro nemico percepito, come il quartier generale dei servizi segreti o delle forze speciali della polizia nella città. Sono riusciti solo a impossessarsi dell’edificio dello Stato Maggiore. Anche il primo ministro e il presidente erano al sicuro dai complottisti e in grado di radunare opposizione a un colpo di stato impopolare.

  1. In assenza di questo successo iniziale i vertici non hanno appoggiato il tentativo

E’ divenuto chiaro che lo Stato Maggiore non era coinvolto nella pianificazione del colpo di stato, ma molti alti generali lo avrebbero sostenuto in modo più forte e decisivo se fosse stato attuato meglio.

Come in qualsiasi colpo di stato che comincia contro la catena di comando e non ha fini rivoluzionari ma cerca solo di cambiare i rapporti di potere tra le élite, gli altri ufficiali tendono a unirsi al colpo di stato solo se diviene evidente che avrà successo.

Un colpo di stato prematuro?

Tutte le debolezze e le evidenti carenze organizzative e procedurali del colpo di stato rendono plausibile che l’azione sia stata lanciata prematuramente (scartiamo l’idea che il colpo sia stato orchestrato dallo stesso Erdogan).

Il presidente Erdogan, nella sua “chiamata alle armi” pronunciata all’aeroporto Ataturk sabato mattina, ha definito il colpo di stato una benedizione di Allah, poiché ha creato l’occasione per “ripulire” l’esercito da elementi cancerosi. Erdogan stava attendendo di farlo da parecchio tempo ma non era stato in grado; l’esercito turco restava l’ultimo apparato statale in qualche misura autonomo dall’AKP.

Come indicato dal giornalista Ahmet Sik e da molti altri, ci sono informazioni che indicano che operazioni della polizia e della magistratura erano programmate per essere avviate il 16 luglio contro elementi anti-AKP nell’esercito. Si dice anche che tali elementi stessero preparandosi per un colpo di stato prima dell’assemblea centrale del Consiglio Militare Supremo (YAS) di agosto, in cui sono decise le assegnazioni nell’esercito e sono discussi tutti i temi centrali relativi a esso con il coinvolgimento del governo civile.

In altri termini, dopo le operazioni pianificate il 16 luglio, gli elementi anti-AKP nell’esercito dovevano essere cacciati e sostituiti nell’assemblea dello YAS. Il timore di queste azioni in svolgimento può aver forzato tali ufficiali a inscenare il loro colpo di stato molto prima di quanto pianificato.

Anche se questa sembra la spiegazione più plausibile dei recenti eventi, resta ancora non chiaro chi esattamente fossero tali elementi anti-AKP. Quel che è certo è che erano una minoranza e non a favore del corso degli eventi in svolgimento dall’intensificazione, a fine 2015, della guerra nel Kurdistan settentrionale.

Da allora l’esercito turco, che per ani non è stato un attore politico, è tornato in primo piano mentre erano forgiati legami organici tra l’esercito e il resto dello stato (prevalentemente dominato dall’AKP).

Tutti gli altri comandanti militari e gli alleati dell’esercito che erano stati arrestati nella lotta dell’AKP contro l’esercito a partire dal 2007 erano stati scarcerati e tutte le cause contro di loro erano state abbandonate. Erdogan aveva persino dichiarato che il governo era stato fuorviato e ingannato dai gulenisti, che erano responsabili degli arresti di massa dei comandanti.

La reputazione dell’esercito era stata ripristinata. Solo un paio di giorni prima del tentativo di colpo di stato all’esercito era stata persino concessa, attraverso nuove leggi, un’autorità considerevolmente aumentata e la copertura legale per tutti i suoi sanguinari crimini di guerra nel Kurdistan settentrionale.

Questo non significa che l’esercito stesse per essere inglobato nell’AKP. Al contrario, l’AKP era stato costretto a ricostituire l’esercito e ad allearsi con esso poiché aveva perso il suo partner profondamente inserito nello stato, la comunità religiosa di Gulen, ed era diventato chiaro che non era possibile alle forze delle operazioni speciali (dominati dall’AKP) combattere da sole contro il movimento di liberazione del Kurdistan. Avevano bisogno di artiglieria pesante e di unità di commando e queste erano (come tuttora) disponibili solo presso l’esercito.

Lo stesso Stato Maggiore era molto felice di questa nuova alleanza e stava programmando di utilizzarla per rafforzare di nuovo massicciamente la sua posizione nello stato e nella società. Pare certo che non sia stato coinvolto nel colpo di stato.

Tuttavia ci sono state tensioni in tutti i settori dello stato e della società dopo la rivolta di Gezi nel 2013. Da allora hanno avuto luogo instabilità politica ed economica, uno stato permanente di disordini sociali e una crisi dopo l’altra di politica estera, tutte cose che stanno scuotendo l’ordine politico e sociale in Turchia e rischiano un crollo sistemico.

Gli sviluppi più recenti di questa crisi sono consistiti nell’allontanamento dell’ex primo ministro Ahmet Davutoglu e in una guerra totale nel Kurdistan settentrionale ideologicamente e politicamente costosa.

Evitare il rischio sistemico percepito causato da queste azioni e stabilizzare l’ordine borghese sono state sicuramente le motivazioni principali del colpo di stato, specialmente per quei comandanti di alto rango che dovevano assistere il colpo di stato o cominciare ad assisterlo nel corso del suo svolgimento.

Il fatto che alcuni comandanti di più alto livello abbiano cospirato nel colpo di stato o si siano uniti a esso mentre era in corso o siano stati almeno insicuri per qualche ora di quale posizione assumere, indica che la situazione in seno all’esercito è lungi dall’essere chiara.

E’ probabile che alcuni di loro abbiano cominciato a schierarsi con il governo una volta constatato che i golpisti stavano per fallire. E c’è la possibilità che l’avanzata difficile e “di Pirro” dell’esercito turco nel Kurdistan settentrionale sia stata un principale elemento dello scontento in seno all’esercito.

Pare probabile che quadri della comunità di Fethullah Gulen radicati nell’esercito siano stati coinvolti nel colpo di stato. Anche se la comunità di Gulen è nota per preferire, come campi di attività e organizzazione, le istituzioni civili e quelle della magistratura e della polizia, non c’è motivo per cui non debba anche essersi organizzata all’interno dell’esercito, salvo il fatto che tradizionalmente l’esercito è una roccaforte delle élite kemaliste. E se si è organizzata all’interno dell’esercito ci sono forti probabilità che uno stallo potesse aver luogo tra l’AKP e elementi gulenisti, poiché quella sarebbe stata l’ultima roccaforte dei gulenisti nello stato.

Anche se non pare probabile che comandanti di vertice asseritamente coinvolti nel colpo di stato siano gulenisti, è plausibile che le due organizzazioni abbiano potuto collaborare tatticamente: potevano non condividere la stessa ideologia, ma condividevano un nemico comune e una visione comune in politica estera (fortemente filo-NATO, vagamente anti-interventista).

In ogni caso la maggioranza dell’esercito e specialmente lo Stato Maggiore dopotutto non hanno appoggiato il colpo di stato. Per loro l’attuale equilibrio di forze funzionava ancora a favore della posizione dell’esercito nello stato e nella società ed erano disposti a operare in accordo con l’AKP.

L’esercito è già riuscito a costringere in qualche modo l’AKP ad assumere una posizione in politica estera più vicina alla linea classica dell’esercito (cooperazione con la NATO ma diffidenza circa l’intervento in Siria e ostilità con la Russia).

Comunque entrambe le parti continuano a restare in parte dipendenti l’una dall’altra e perseguono i propri programmi. La “pulizia” dell’esercito dagli attuali golpisti non sradicherà la possibilità di futuri, e più gravi, colpi di stato militari tra non molto. Ciò sarà determinato dalla capacità dell’AKP di controllare la crisi che ha prodotto.

Il contro-golpe di Erdogan

Gli scontri di venerdì e sabato hanno lasciato più di 300 morti e circa 1.500 feriti. Dopo l’essenziale sconfitta del colpo di stato è iniziato immediatamente il contro-golpe di Erdogan e della sua cricca. E’ iniziata un’ondata di repressione contro i coinvolti in qualche modo nel colpo di stato o per altri versi presenti in una “lista di proscrizione”.

A tutto lunedì sono state incarcerate quasi ottomila persone con l’accusa di coinvolgimento nel tentativo di colpo di stato. Di queste più di seimila sono soldati; settanta sono ufficiali di alto rango, generali e ammiragli; circa 750 appartengono alla magistratura; trenta sono membri dell’Alto Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri (HSYK); due sono membri della corte costituzionali (AYM); [… testo non chiaro … “316 dei detenuti sono stati arrestati a tutto lunedì” – probabile errore di digitazione della cifra – n.d.t.]. Le operazioni continuano senza sosta e il numero di incarcerazioni è atteso aumentare, come ha dichiarato il ministro della giustizia.

Da venerdì notte Erdogan e il governo continuano a sollecitare la gente a occupare i luoghi principali nel corso della notte per manifestare la “volontà popolare”. Nessun altro episodio potrebbe offrirgli l’occasione di mobilitare il suo popolo su questa scala, consolidare il sostegno di massa e presentare il suo potere come concretizzazione delle forze democratiche in Turchia. Anche se le folle nelle strade – dopo il primissimo giorno – sono rimaste sotto le aspettative, alcuni gruppi militanti islamisti radicali, piccoli ma ben organizzati, sono riusciti a trattenere parti della massa.

Molti giovani soldati che nemmeno sapevano di prendere parte a un tentativo di colpo di stato sono stati picchiati, torturati e quasi linciati dalla folla. Pestaggi e torture sistematiche continuano negli arresti, come rivelano centinaia di video sui media sociali. Slogan come “Ya Allah, Bismillah, Allahu Ekber” (“Nel nome di Allah, Allah è Uno”) echeggiano nelle strade e nelle piazze da venerdì.

E’ rapidamente divenuto chiaro quale doveva essere l’obiettivo di tutto questo: sabato sera alcuni gruppi hanno cominciato ad attaccare i quartieri curdi e aleviti, ben noti per essere di sinistra, come Gazi o Okmeydani a Istanbul, Tzlucayir ad Ankara e Armutlu ad Antakya. Un gruppo ha attaccato anche Moda a Istanbul, un quartiere alla moda famoso per bar e caffè, lanciando slogan contro il consumo di alcol e simili.

La polizia ha appoggiato alcuni di questi attacchi, particolarmente quando o residenti nei quartieri di sinistra hanno reagito. Gazi ha vissuto un conflitto violento quando forze di sinistra sono scese in strada armate per contrattaccare la folla fascista.

A oggi queste aggressioni non hanno avuto successo e sono state contrastate dovunque, tuttavia evidenziano un aspetto della mobilitazione delle masse nelle strade da parte di Erdogan. Egli non vuole solo eliminare i golpisti; vuole rafforzare la sua morsa su tutti gli strati d’opposizione ribelli nella società e ristabilire la sua egemonia infranta mediante mobilitazioni di destra di massa.

Le stesse folle hanno interrotto in continuazione i discorsi di Erdogan nel fine settimana con uno slogan molto specifico: “Vogliamo esecuzioni”. La risposta di Erdogan è stata quasi affermativa: “E’ vostro diritto pretenderlo”. Ovviamente se la pena di morte sarà reintrodotta per “terroristi” e “traditori”, non sarà difficile trovare vittime. Il governo turco è esperto nel classificare qualsiasi atto avversario come terroristico.

E adesso?

Per ora Erdogan appare il chiaro vincitore. Un evento come questo era esattamente ciò di cui aveva bisogno per riacquistare credibilità e l’iniziativa. Non sorprende che abbia definito il tentativo di colpo di stato una “benedizione di Dio” che gli consentirà di purgare l’esercito.

Cosa ancor più importante, egli appare oggi un eroe democratico, capace di schierare il popolo a sostegno della sua amministrazione. Il contro-golpe iniziale significa esattamente questo. Il governo sta ora insistendo con fermezza per l’estradizione di Gulen in Turchia, mentre il Segretario di Stato USA John Kerry ha sottolineato che la parte turca deve fornire prove legittime che dimostrino il coinvolgimento dell’imam.

Inoltre non c’è dubbio che egli sfrutterà quest’occasione per premere ancora di più per il sistema presidenziale. Poiché la sua popolarità sembra essersi impennata, è probabile che vorrà avere rapide elezioni o un referendum a fine autunno o in inverno.

Contemporaneamente, nelle contorsioni della sua diffidenza nei confronti dell’esercito, cercherà di sviluppare un dipartimento di polizia e delle forze speciali ancora più forte, totalmente fedele a lui. Tuttavia in termini di forza “materiale” non ha fatto alcun progresso di rilievo.

Al contrario; sono stati arrestati molti importanti generali della guerra nel Kurdistan settentrionale. Tra loro, più notevolmente, un generale di alto rango che era stato salutato come un eroe solo pochi mesi fa, poiché aveva condotto le operazioni a Cizre e Sur, due caposaldi del movimento curdo, in cui scontri tra le milizie curde e le forze statali sono andati avanti per mesi.

Avendo “ripulito” con successo Cizre e Sur – il che lo rende responsabile di numerosi crimini e violazioni dei diritti umani – egli è oggi dichiarato traditore. Sono stati inoltre incarcerati i massimi ufficiali di Hakkari e Sirnak. Quelle due province sono tra le regioni in cui il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) è più forte e la forza di fatto dominante in molte aree.

E’ anche importante che si siano ribellate fazioni dell’aviazione, poiché i caccia da combattimento sono un vantaggio importante per lo stato nella lotta contro il PKK. E’ interessante, per dire il meno, che così tanti soldati che hanno condotto la guerra nel Kurdistan settentrionale siano tra i ribelli e potrebbe indicare che la guerra sta andando parecchio male per lo stato turco.

Il PKK ha diffuso una dichiarazione nella prima mattinata del 16 luglio, affermando che il tentativo di colpo di stato è una lotta tra forze rivali all’interno dello stato e che i curdi e tutte le forze democratiche dovrebbero restare fuori da questo conflitto.

Sarebbe più che sorprendente, tuttavia, se il PKK non avesse adottato immediatamente tutte le misure per sfruttare la situazione a proprio vantaggio. Ci sono altre unità sul campo, quali le forze speciali della polizia e persino eserciti privati, ma senza le armi pesanti dell’esercito il rapporto di forze svolta significativamente a favore dei curdi.

Non possiamo sapere che cosa farà il PKK sul campo di battaglia, ma pare che stia affrontando la situazione con calma, senza esitazioni. Potrebbe anche controllare come procederà Erdogan. Se intensificherà la guerra, risponderà per le rime.

Comunque c’è la possibilità di una nuova apertura di dialoghi per una soluzione se il rapporto militare di forze avrà una svolta tale che continuare la guerra non sarà più fattibile per lo stato turco.

Inoltre, anche se ci sono state grandi folle nelle strade a sostegno di Erdogan, pare che ne fossero attese di più. In altri termini, anche se ci sono stati molti a festeggiare, molti di più sono rimasti a casa. Probabilmente non hanno creduto agli avvertimenti dell’AKP su una minaccia persistente, visto che il colpo di stato è stato sconfitto così facilmente. Ma sicuramente anche perché l’AKP non è così forte come amerebbe essere.

Qualsiasi cosa accade i prossimi giorni e settimane saranno cruciali. Erdogan potrebbe sfruttare l’impeto del suo contro-golpe non solo per sradicare gli stessi golpisti, ma anche per portare avanti mobilitazioni più forti e, con esse, un intensificato attacco all’intera opposizione.

Questo è così evidente che il Segretario di Stato USA John Kerry ha esplicitamente manifestato la sua preoccupazione che Erdogan utilizzi il fallito colpo di stato militare per un giro di vite sulla democrazia. Ciò sicuramente costituirebbe un impegno eccessivo delle sue capacità che innescherebbe un’altra grave crisi, forse un altro, questa volta più serio, colpo di stato.

Analogamente il capo della politica estera dell’Unione Europea, Federica Mogherini, ha avvertito lunedì il governo turco che il tentativo di colpo di stato non è una scusa per abbandonare lo stato di diritto. Ha anche aggiunto che l’introduzione della pena di morte porrebbe problemi in termini dei legami della Turchia con l’Unione Europea. Nella stessa conferenza stampa Kerry ha fatto seguito al suo avvertimento, affermando che la violazione del governo democratico porrebbe a rischio l’appartenenza della Turchia alla NATO.

Nel complesso ciò che è accaduto negli ultimi giorni e ciò che seguirà nei prossimi giorni non è né un colpo di stato militare a favore della democrazia, né la democrazia contro un colpo di stato militare.

E’ stata e resta una guerra tra golpe e contro-golpe, sviluppi che incoraggeranno l’autoritarismo e aggraveranno, anziché risolverla, la crisi egemonica. Quello che sembra un grande rientro sulle scene di Erdogan potrebbe dimostrarsi un calice avvelenato.

Guney Isikara è dottorando in economia alla New School for Social Research. Alp Kayseriliouglu ha completato il suo master in filosofia e storia e oggi vive e lavora a Istanbul. Max Zirngast studia filosofia e scienze politiche a Vienna e ad Ankara. Tutti e tre lavorano anche da giornalisti e traduttori indipendenti.