[Disarmo] Ilan Pappé: «Se si risolve la questione palestinese, il Medio Oriente cambierà faccia»



3 articoli dal Manifesto di ieri

Ilan Pappé: «Se si risolve la questione palestinese, il Medio Oriente cambierà faccia»

Israele/Palestina. Intervista allo storico israeliano Ilan Pappé: «L'Isis pesca adepti tra i marginalizzati dell'Occidente. Non è una questione religiosa, ma socio-economica. E Tel Aviv lo sfrutta per avere supporto dall'Europa»

Alla fine Ilan Pappé ha par­lato. Sca­val­cando la can­cel­la­zione della con­fe­renza «Europa e Medio Oriente oltre gli iden­ti­ta­ri­smi», che avrebbe dovuto essere ospi­tata dall’Università di Roma Tre, il pro­fes­sore dell’Università di Exter, uno dei più noti sto­rici israe­liani, ha incon­trato il pub­blico romano lunedì al Cen­tro Con­gressi Fren­tani su ini­zia­tiva di AssoPace.

Lo abbiamo incon­trato e discusso con lui del con­cetto di iden­tità e del suo uti­lizzo da parte occi­den­tale e israeliana.

L’avanzata dello Stato Isla­mico viene stru­men­ta­liz­zata in Occi­dente per dare fon­da­mento al cosid­detto scon­tro di civiltà, in chiave neo-colonialista. Israele, Stato nato come bastione occi­den­tale in Medio Oriente, otterrà mag­giore sup­porto a sca­pito delle aspi­ra­zioni palestinesi?

Asso­lu­ta­mente sì. Lo Stato Isla­mico è la miglior cosa che potesse capi­tare a Israele. Con il calif­fato si risol­leva la voce di coloro per i quali esi­ste un solo Stato illu­mi­nato in Medio Oriente, Israele, baluardo con­tro l’avanzata dell’estremismo isla­mico. Spero che in Occi­dente la gente non cada in un trucco tanto meschino: non si tratta affatto di uno scon­tro di civiltà, ma di giu­sti­zia sociale e modelli demo­cra­tici di inte­gra­zione. Basta guar­dare a come l’Isis attira gio­vani musul­mani euro­pei andando a pescare tra i gruppi più oppressi e mar­gi­na­liz­zati. Non stiamo par­lando di una que­stione cul­tu­rale e reli­giosa, ma sociale ed eco­no­mica: se in Europa si assi­stesse ad una tra­sfor­ma­zione demo­cra­tica, se si impe­disse a ideo­lo­gie raz­zi­ste e pra­ti­che capi­ta­li­ste di deter­mi­nare l’esistenza della gente, gruppi come l’Isis non tro­ve­reb­bero spa­zio. L’Isis non ha ter­reno fer­tile dove la gente si sente inte­grata, dove è uguale a livello sociale e economico.

Per que­sto è neces­sa­ria un’analisi appro­fon­dita dell’imperialismo occi­den­tale e del movi­mento sio­ni­sta per com­bat­tere le sim­pa­tie che musul­mani euro­pei accor­dano a gruppi radi­cali. Se sei un mar­gi­na­liz­zato o un escluso trovi nell’identità musul­mana lo stru­mento per miglio­rare la tua esi­stenza. La stra­grande mag­gio­ranza degli oppressi non rea­gi­sce così, ma alcuni indi­vi­dui optano per la vio­lenza, in ogni caso minima rispetto a quella dell’oppressore. Così si allarga lo Stato Isla­mico, que­sto mostro che l’Occidente ha fab­bri­cato, novello Frank­en­stein che si ribella al suo creatore.

La pro­lun­gata occu­pa­zione della Pale­stina e di un sim­bolo reli­gioso e iden­ti­ta­rio come Geru­sa­lemme rap­pre­senta un mezzo di radi­ca­mento di gruppi come lo Stato Isla­mico? Che ruolo ha nella pro­pa­ganda isla­mi­sta la Palestina?

Se il con­flitto israelo-palestinese venisse risolto in modo giu­sto, il Medio Oriente cam­bie­rebbe fac­cia. L’occupazione della Pale­stina è una delle prin­ci­pali giu­sti­fi­ca­zioni per chi ha sim­pa­tie isla­mi­ste, per­ché è il sim­bolo del dop­pio stan­dard che l’Occidente applica a chi viola i diritti umani fon­da­men­tali. Un cam­bia­mento dell’approccio euro­peo verso il popolo pale­sti­nese intac­che­rebbe il potere della pro­pa­ganda isla­mi­sta. Senza Pale­stina la giu­sti­fi­ca­zione dell’esistenza dell’Isis non sarebbe tanto forte.

Il pre­mier israe­liano Neta­nyahu ha messo sul tavolo 46 milioni di dol­lari per spin­gere ebrei di Fran­cia, Dani­marca e Ucraina a immi­grare in Israele, sfrut­tando i recenti attac­chi e la guerra a Kiev. Un nuovo video per la cam­pa­gna elet­to­rale del Likud usa la minac­cia Isis per acca­par­rarsi voti. Un chiaro uti­lizzo dell’identità in con­tra­sto per raf­for­zarsi all’interno?

Neta­nyahu è un cinico, sfrutta tali eventi in chiave elet­to­rale per costrin­gere la sua opi­nione pub­blica a foca­liz­zare l’attenzione sul nemico esterno, invece che sulle que­stioni eco­no­mi­che e sociali. È ovvio che il mes­sag­gio non è diretto agli ebrei euro­pei, ma all’interno, ai cit­ta­dini israe­liani. Pur­troppo può fun­zio­nare: Neta­nyahu ha deluso buona parte del suo elet­to­rato sto­rico, ma è pro­ba­bil­mente l’unico in grado di gui­dare una coa­li­zione com­po­sta di tanti par­ti­tini. Forse non subito, ma poco dopo le ele­zioni sarà scelto di nuovo come premier.

Il sio­ni­smo, da prima la nascita di Israele, punta sull’identità ebraica per can­cel­lare quella pale­sti­nese ma anche per tenere insieme una società fram­men­tata. Quali sono oggi le carat­te­ri­sti­che della società israeliana?

Ciò che è cam­biato rispetto al pas­sato è che le carat­te­ri­sti­che più pro­fonde della società israe­liana, che prima erano meno palesi, oggi sono uscite allo sco­perto: raz­zi­smo e pola­riz­za­zione eco­no­mica e sociale sono cre­sciuti come mai prima. Il gap socio-economico è il ter­reno migliore per ideo­lo­gie estre­mi­ste. I gruppi più mar­gi­na­liz­zati, in par­ti­co­lare gli ebrei ori­gi­nari del Medio Oriente e dell’Africa, sono più facil­mente reclu­ta­bili dalla destra. Ed infatti cuore del dibat­tito elet­to­rale non è la que­stione sociale e eco­no­mica, ma lo scon­tro tra iden­tità. La società è più raz­zi­sta, più estre­mi­sta, priva di soli­da­rietà interna anche verso altri ebrei, fon­data sull’odio verso il diverso. È un veleno per le future generazioni.

Lei ha defi­nito l’ultimo attacco con­tro Gaza «geno­ci­dio incre­men­tale». Per­ché Israele col­pi­sce Gaza, enclave impo­ve­rita, terra che Israele non vuole annet­tere? Volontà di spez­zare la resi­stenza o mero stru­mento di cac­cia al con­senso tra­mite la paura?

Se la gente di Gaza accet­tasse di vivere in un ghetto, Israele la dimen­ti­che­rebbe. Ma Gaza resi­ste e quando Israele decide che è tempo di rea­gire a tale resi­stenza mette in campo la forza mili­tare, che in un’enclave come la Stri­scia signi­fica geno­ci­dio. In secondo luogo, c’è l’immenso busi­ness dell’industria mili­tare, con Gaza a fare da labo­ra­to­rio per le armi da ven­dere fuori. Terzo, la con­vin­zione dell’esercito israe­liano per cui il mondo arabo non prende sul serio la mac­china da guerra di Tel Aviv: attac­cando Gaza Israele manda un mes­sag­gio a Iran, Siria, Hezbollah.

Qual era l’obiettivo dell’attacco israe­liano a Hez­bol­lah nel sud della Siria il 18 gen­naio? Aprire un nuovo fronte o inviare, appunto, un mes­sag­gio all’asse sciita, che sta – con l’esercito di Dama­sco, pasda­ran e Hez­bol­lah – avan­zando a sud e con l’Iran che intrec­cia nuove rela­zioni con Hamas?

Il governo ha cam­mi­nato lungo quella linea rossa, sot­ti­lis­sima, che separa la guerra dalla non guerra. Ha finto di voler attac­care, sapendo benis­simo di non volerlo fare. Neta­nyahu punta sulla paura della guerra, non sulla guerra: la prima fa pren­dere voti, la seconda no. Israele non ha il potere di sra­di­care Hez­bol­lah dal Libano, intende solo alzare la ten­sione, togliere l’attenzione dal prezzo delle case, del latte, della vita.

Pare che l’Università di Roma Tre abbia annul­lato l’incontro di lunedì die­tro pre­sunte pres­sioni della comu­nità ebraica. La cen­sura è lo stru­mento di chi teme il con­fronto: per­ché si ha paura di par­lare della que­stione israelo-palestinese?

Sospet­tiamo che ci sia stata una pres­sione, sep­pure non abbiamo prove dirette. In Europa ci si sente ancora respon­sa­bili dell’Olocausto e i pale­sti­nesi ne pagano il prezzo. Il sio­ni­smo ha offerto all’Europa la migliore solu­zione: invece di aprire una discus­sione sin­cera sulla que­stione ebraica, si è pre­fe­rito pun­tare sul pro­getto sio­ni­sta e la colo­niz­za­zione della Pale­stina. Inol­tre la lobby ebraica è potente: non si parla di Pale­stina per timore di per­dere aiuti eco­no­mici o poli­tici.
C’è però un ele­mento posi­tivo: la società civile ita­liana e euro­pea ha modi­fi­cato l’approccio alla que­stione, distan­zian­dosi dalle élite poli­ti­che. Molti sanno cosa accade in Pale­stina e sosten­gono la sua causa per­ché si tratta di una causa sem­plice: lotta al colo­nia­li­smo e difesa dei diritti umani.

Un approc­cio che manca invece all’interno di buona parte della sini­stra ita­liana e europea.

La sini­stra in Fran­cia, Ita­lia e Ger­ma­nia è sio­ni­sta per­ché non intende affron­tare – sep­pur ne abbia il dovere – la que­stione ebraica. Avendo paura di farlo, pre­fe­ri­sce nascon­dersi sotto l’ala con­for­te­vole del sio­ni­smo, ergerlo a solu­zione negando i diritti del popolo pale­sti­nese, per loro sacri­fi­ca­bili. È vero anche che la sini­stra si sco­pre raz­zi­sta quando affronta cul­ture non euro­pee, per cui è meglio l’ebraismo del mondo arabo o dell’Islam. Eppure oggi cen­trale non è il giu­dai­smo, ma l’islamofobia, ovvero la paura di popoli che l’Europa ha oppresso e colo­niz­zato per secoli. Affron­tare tale dibat­tito, all’interno di un con­te­sto di sano mul­ti­cul­tu­ra­li­smo, non è un pro­cesso facile ma va fatto. Ed invece no, si con­ti­nua sul sen­tiero del colo­nia­li­smo. Con altri mezzi.

Hamas contro l’Is: «La strage di coopti contro Islam e pace tra le religioni» di Michele Giorgio

Il comunicato da Gaza. «Ma l’azione militare occidentale e dell’Italia in Libia apparirebbe come una crociata»

La lea­der­ship di Hamas lunedì da Gaza ha dif­fuso un comu­ni­cato di netta con­danna della deca­pi­ta­zione dei 21 egi­ziani copti da parte dei jiha­di­sti libici. E lo stesso aveva fatto di fronte alla bar­bara ese­cu­zione del pilota gior­dano e di altri ostaggi nelle mani dei mili­ziani dello Stato Isla­mico. Que­sto comu­ni­cato, ripor­tato con evi­denza dall’agenzia d’informazione pale­sti­nese Maan­news (peral­tro vicina a Fatah) è stato igno­rato dai media ita­liani. Ieri invece sono state rife­rire, peral­tro solo in parte, le dichia­ra­zioni rila­sciate da un diri­gente isla­mi­sta, Salah Bar­da­wil, che hanno offerto lo spunto a gior­nali, radio, tele­vi­sioni per accu­sare Hamas di minac­ciare l’Italia, pro­prio come fa l’Isis. Bar­da­wil si è espresso con­tro le inge­renze in Libia «da parte di alcuni Paesi, come l’Italia» con «il pre­te­sto di com­bat­tere il ter­ro­ri­smo». E ha sot­to­li­neato che un nuovo inter­vento mili­tare inter­na­zio­nale in quel Paese sarebbe con­si­de­rato da milioni di arabi «una nuova cro­ciata con­tro Paesi arabi e musulmani».

Bar­da­wil non ha minac­ciato l’Italia ma, come hanno indi­cato anche alcuni ana­li­sti e gior­na­li­sti occi­den­tali in que­sti giorni, ha detto che le popo­la­zioni arabe non guar­de­ranno con favore a una cam­pa­gna mili­tare con­tro la Libia con­dotta dai Paesi occi­den­tali e che, per­tanto, la inter­pre­te­ranno come una «crociata».

Le azioni armate e le posi­zioni di Hamas sono da anni al cen­tro di un dibat­tito. Molti le con­dan­nano. Ma opi­nioni a parte, da un punto di vista sto­rico ed ideo­lo­gico Hamas non è l’Isis, Hamas non è al Qaeda. Baste­reb­bero a con­fer­marlo le pesanti accuse di «tra­di­mento» dell’Islam, di aver rinun­ciato alla «guerra santa», che il movi­mento isla­mico pale­sti­nese ha rice­vuto dallo Stato isla­mico e soprat­tutto da al Qaeda. O anche la sua poli­tica repres­siva nei con­fronti dei grup­petti sala­fiti che a Gaza si richia­mano all’Isis. Nel 2009 le unità scelte di Hamas ucci­sero decine di seguaci (armati) di un lea­der sala­fita che aveva pro­cla­mato un «emi­rato» isla­mico a Rafah.

Nel comu­ni­cato dell’altro giorno, igno­rato dai media, il movi­mento isla­mico pale­sti­nese ha con­dan­nato con forza le deca­pi­ta­zioni in Libia, sot­to­li­neando che «vio­lano i prin­cipi dell’Islam e distrug­gono le rela­zioni tra i cit­ta­dini arabi cri­stiani e musul­mani, che hanno vis­suto insieme per cen­ti­naia di anni».

 Il leader Hezbollah contro l'IS. Nashrallah andiamo a combattere in Siria di Michele Giorgio

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Ha rea­gito con sde­gno il mini­stro della giu­sti­zia liba­nese Ash­raf Rifi al discorso pro­nun­ciato mar­tedì da Has­san Nasral­lah, segre­ta­rio gene­rale del movi­mento sciita liba­nese Hez­bol­lah. - See more at: http://nena-news.it/nasrallah-esorta-libanesi-a-combattere-isis-in-siria-avversari-lo-contestano/#sthash.WsAaVPXJ.dpuf

Ha rea­gito con sde­gno il mini­stro della giu­sti­zia liba­nese Ash­raf Rifi al discorso pro­nun­ciato mar­tedì da Has­san Nasral­lah, segre­ta­rio gene­rale del movi­mento sciita liba­nese Hez­bol­lah. «Non abbiamo par­lato finora dell’Iraq, ma abbiamo una limi­tata pre­senza (nel Paese) a causa della fase deli­cata che l’Iraq sta attra­ver­sando», ha detto Nasral­lah. Secondo Rifi que­sta ammis­sione e l’esortazione del lea­der sciita a tutto il Libano ad unirsi alla bat­ta­glia in Siria con­tro l’Isis e i qae­di­sti di al Nusra – «A coloro che ci chie­dono di riti­rarci dalla Siria – ha affer­mato il lea­der di Hez­bol­lah — io dico: Andiamo insieme in Siria e in Iraq e in ogni altro posto dove vi sia una minac­cia per il futuro delle nostra nazione» — con­fer­me­rebbe un totale asser­vi­mento del movi­mento sciita agli inte­ressi stra­te­gici dell’Iran. Il com­mento di Rifi si uni­sce all’appello a riti­rarsi dalla Siria che l’ex pre­mier sun­nita e lea­der del par­tito anti­si­riano Musta­q­bal, Saad Hariri, ha rivolto a Hez­bol­lah al suo rien­tro in Libano, in occa­sione dell’assassinio del padre, Rafik, avve­nuto 10 anni fa sul lun­go­mare di Bei­rut. E anche alla dura con­danna del discorso di Nasral­lah pro­nun­ciata ieri dal depu­tato, sem­pre di Musta­q­bal, Ahmad Fat­fat. Com­menti che fanno sor­ri­dere. Come se il Libano, senza Hez­bol­lah, fosse un paese libero dal con­trollo stra­niero. Come se, una volta rien­trati a casa i com­bat­tenti sciiti, non ci fos­sero in Siria tanti altri liba­nesi, pagati da gene­rosi finan­zia­tori del Golfo, che com­bat­tono con­tro l’esercito gover­na­tivo nei ran­ghi al Nusra, dell’Esercito siriano libero e anche dell’Isis.

Hariri e il suo par­tito sono l’espressione poli­tica più com­piuta della longa manus dell’Arabia sau­dita sul Paese dei Cedri. Rap­pre­sen­tano gli inte­ressi di Riyadh in Libano. E nono­stante le sue recenti con­danne del sala­fi­smo radi­cale, a Tri­poli, sto­rica roc­ca­forte sun­nita, Hariri con i suoi soldi ha con­tri­buito a tenere aperte non poche delle moschee e delle scuole cora­ni­che che hanno alle­vato gli avver­sari (armati) degli ala­witi liba­nesi e di non pochi jiha­di­sti poi finiti in Siria, nelle mili­zie schie­rate con­tro le forze armate gover­na­tive. L’attuale pre­mier liba­nese Tam­mam Salam non avrebbe potuto sedersi sulla pol­trona che occupa senza l’appoggio dell’Arabia sau­dita. E non si può dimen­ti­care l’influenza degli Stati Uniti e della Fran­cia sulle scelte delle forze poli­ti­che liba­nesi dello schie­ra­mento filo-occidentale “14 marzo”. Non pochi liba­nesi descri­ve­vano come “il vero primo mini­stro” Jef­frey Felt­man, ex amba­scia­tore degli Usa a Bei­rut tra il 2004 e il 2008 (anni cal­dis­simi per il Libano), poi assi­stente del Segre­ta­rio di Stato per il Medio Oriente. Da parte sua l’ex pre­si­dente fran­cese Nico­las Sar­kozy impar­tiva veri e pro­pri ordini agli amici liba­nesi, su cosa fare o non fare nei con­fronti di Bashar Assad che, a sua volta, mano­vra tante pedine nel Paese dei Cedri – ben oltre l’appoggio che gli garan­ti­sce Hez­bol­lah — nono­stante le dif­fi­coltà enormi che deve affron­tare in casa a causa della guerra civile.

Le perenni riva­lità, l’abituale scam­bio di accuse che segna da 10–12 anni la scena poli­tica liba­nese, hanno messo in ombra pas­saggi del discorso di Nasral­lah altret­tanto inte­res­santi di quello sulla pre­senza dei com­bat­tenti sciiti liba­nesi anche in Iraq (peral­tro nota da tempo). Il segre­ta­rio gene­rale di Hez­bol­lah ha par­lato «di can­celli di una solu­zione poli­tica che dovreb­bero essere aperti..l’opposizione non estremista…deve entrare in un accordo con il regime, per­ché il regime è pronto per una solu­zione». Già in un pre­ce­dente discorso, qual­che mese fa, Nasral­lah aveva avan­zato, seb­bene in modo vago, l’idea di un pro­cesso di cam­bia­mento a Dama­sco nei pros­simi anni. Nel qua­dro di una solu­zione ampia, di lungo ter­mine e con­di­visa, e senza l’uscita di scena imme­diata di Assad come chiede con insi­stenza l’opposizione siriana. D’altronde anche l’inviato spe­ciale dell’Onu per la Siria, Staf­fan De Mistura, ora parla di Assad come parte della solu­zione per la Siria, almeno in una fase transitoria.

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di Michele Giorgio – Il Manifesto

Roma, 18 febbraio 2015, Nena NewsHa rea­gito con sde­gno il mini­stro della giu­sti­zia liba­nese Ash­raf Rifi al discorso pro­nun­ciato mar­tedì da Has­san Nasral­lah, segre­ta­rio gene­rale del movi­mento sciita liba­nese Hez­bol­lah. «Non abbiamo par­lato finora dell’Iraq, ma abbiamo una limi­tata pre­senza (nel Paese) a causa della fase deli­cata che l’Iraq sta attra­ver­sando», ha detto Nasral­lah. Secondo Rifi que­sta ammis­sione e l’esortazione del lea­der sciita a tutto il Libano ad unirsi alla bat­ta­glia in Siria con­tro l’Isis e i qae­di­sti di al Nusra – «A coloro che ci chie­dono di riti­rarci dalla Siria – ha affer­mato il lea­der di Hez­bol­lah — io dico: Andiamo insieme in Siria e in Iraq e in ogni altro posto dove vi sia una minac­cia per il futuro delle nostra nazione» — con­fer­me­rebbe un totale asser­vi­mento del movi­mento sciita agli inte­ressi stra­te­gici dell’Iran. Il com­mento di Rifi si uni­sce all’appello a riti­rarsi dalla Siria che l’ex pre­mier sun­nita e lea­der del par­tito anti­si­riano Musta­q­bal, Saad Hariri, ha rivolto a Hez­bol­lah al suo rien­tro in Libano, in occa­sione dell’assassinio del padre, Rafik, avve­nuto 10 anni fa sul lun­go­mare di Bei­rut. E anche alla dura con­danna del discorso di Nasral­lah pro­nun­ciata ieri dal depu­tato, sem­pre di Musta­q­bal, Ahmad Fat­fat. Com­menti che fanno sor­ri­dere. Come se il Libano, senza Hez­bol­lah, fosse un paese libero dal con­trollo stra­niero. Come se, una volta rien­trati a casa i com­bat­tenti sciiti, non ci fos­sero in Siria tanti altri liba­nesi, pagati da gene­rosi finan­zia­tori del Golfo, che com­bat­tono con­tro l’esercito gover­na­tivo nei ran­ghi al Nusra, dell’Esercito siriano libero e anche dell’Isis.

Hariri e il suo par­tito sono l’espressione poli­tica più com­piuta della longa manus dell’Arabia sau­dita sul Paese dei Cedri. Rap­pre­sen­tano gli inte­ressi di Riyadh in Libano. E nono­stante le sue recenti con­danne del sala­fi­smo radi­cale, a Tri­poli, sto­rica roc­ca­forte sun­nita, Hariri con i suoi soldi ha con­tri­buito a tenere aperte non poche delle moschee e delle scuole cora­ni­che che hanno alle­vato gli avver­sari (armati) degli ala­witi liba­nesi e di non pochi jiha­di­sti poi finiti in Siria, nelle mili­zie schie­rate con­tro le forze armate gover­na­tive. L’attuale pre­mier liba­nese Tam­mam Salam non avrebbe potuto sedersi sulla pol­trona che occupa senza l’appoggio dell’Arabia sau­dita. E non si può dimen­ti­care l’influenza degli Stati Uniti e della Fran­cia sulle scelte delle forze poli­ti­che liba­nesi dello schie­ra­mento filo-occidentale “14 marzo”. Non pochi liba­nesi descri­ve­vano come “il vero primo mini­stro” Jef­frey Felt­man, ex amba­scia­tore degli Usa a Bei­rut tra il 2004 e il 2008 (anni cal­dis­simi per il Libano), poi assi­stente del Segre­ta­rio di Stato per il Medio Oriente. Da parte sua l’ex pre­si­dente fran­cese Nico­las Sar­kozy impar­tiva veri e pro­pri ordini agli amici liba­nesi, su cosa fare o non fare nei con­fronti di Bashar Assad che, a sua volta, mano­vra tante pedine nel Paese dei Cedri – ben oltre l’appoggio che gli garan­ti­sce Hez­bol­lah — nono­stante le dif­fi­coltà enormi che deve affron­tare in casa a causa della guerra civile.

Le perenni riva­lità, l’abituale scam­bio di accuse che segna da 10–12 anni la scena poli­tica liba­nese, hanno messo in ombra pas­saggi del discorso di Nasral­lah altret­tanto inte­res­santi di quello sulla pre­senza dei com­bat­tenti sciiti liba­nesi anche in Iraq (peral­tro nota da tempo). Il segre­ta­rio gene­rale di Hez­bol­lah ha par­lato «di can­celli di una solu­zione poli­tica che dovreb­bero essere aperti..l’opposizione non estremista…deve entrare in un accordo con il regime, per­ché il regime è pronto per una solu­zione». Già in un pre­ce­dente discorso, qual­che mese fa, Nasral­lah aveva avan­zato, seb­bene in modo vago, l’idea di un pro­cesso di cam­bia­mento a Dama­sco nei pros­simi anni. Nel qua­dro di una solu­zione ampia, di lungo ter­mine e con­di­visa, e senza l’uscita di scena imme­diata di Assad come chiede con insi­stenza l’opposizione siriana. D’altronde anche l’inviato spe­ciale dell’Onu per la Siria, Staf­fan De Mistura, ora parla di Assad come parte della solu­zione per la Siria, almeno in una fase transitoria.

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