[Disarmo] Al cuore delle rivolte studentesche venezuelane



Geraldina Colotti,

Indignati?. Un'inchiesta sui giovani venezuelani. I media esaltano il ruolo 
dei 20enni in piazza, ma i dati dicono altro

Secondo il rac­conto domi­nante sui media, a mani­fe­stare in Vene­zuela vi 
sareb­bero migliaia di gio­vani tra i 15 e i 29 anni, “indi­gnati” per l’
inflazione, l’insicurezza o la pre­sunta assenza di demo­cra­zia, inter­preti 
del sen­ti­mento pre­va­lente nella popo­la­zione. Gio­vani che chie­dono un 
futuro migliore ani­mati da tutte le con­no­ta­zioni posi­tive di chi si affac­
cia alla vita: ribel­lione, gene­ro­sità, voglia di libertà. A fron­teg­giarli, 
un governo demo­niz­zato fino al grottesco.

Su dove penda la bilan­cia del let­tore, è facile imma­gi­nare. Ma osser­viamo 
meglio i dati reali, scrive su Publico Ale­jan­dro Fierro, mem­bro del Cen­tro 
de estu­dios poli­ti­cos y socia­les (Ceps). Se que­sto è lo sce­na­rio, come 
ha fatto il cha­vi­smo a vin­cere 18 ele­zioni su 19 a par­tire dal 1998 in un 
paese in cui il 60% della popo­la­zione ha meno di trent’anni? Ele­zioni – fa 
notare l’analista – veri­fi­cate da capi di stato di segno avverso, come il 
colom­biano Manuel San­tos (che oggi rumo­reg­gia in appog­gio al suo campo), 
il cileno Seba­stian Pinera o il mes­si­cano Pena Nieto. Per­sino la dele­ga­
zione del par­la­mento spa­gnolo ha con­si­de­rato valida la vit­to­ria (di 
misura) di Nico­las Maduro su Hen­ri­que Capri­les il 14 aprile del 2013: Par­
tito popo­lare incluso.

Fierro sin­te­tizza anche i risul­tati di una pode­rosa inchie­sta, la II 
Encue­sta nacio­nal de la Juven­tud: il primo stu­dio da vent’anni a que­sta 
parte su un set­tore della popo­la­zione che ha poco in comune con le gene­ra­
zioni pre­ce­denti, visto i cam­bia­menti enormi inter­ve­nuti nelle ultime 
decadi. Le 10.000 inter­vi­ste a per­sone tra i 15 e i 29 anni, rea­liz­zate in 
tutto il Vene­zuela, for­ni­scono un’immagine molto lon­tana da quella di una 
gio­ventù fru­strata e pes­si­mi­sta, stanca per la man­canza di oppor­tu­nità 
e di libertà.

Risulta invece che il 90% crede che con i suoi titoli acca­de­mici (il Vene­
zuela è fra i paesi con il più alto numero di matri­cole uni­ver­si­ta­rie al 
mondo) può aspi­rare «a un impiego migliore da quello che ha», un 98% dichiara 
che con­ti­nua a stu­diare (gra­tui­ta­mente) per­ché pensa che così potrà sce­
gliere il lavoro migliore. «Para­go­nate que­sti dati con quelli della Spa­gna 
– dice l’analista – in cui esi­ste il 56% di disoc­cu­pa­zione gio­va­nile e 
cen­ti­naia di migliaia di uni­ver­si­tari si chie­dono a cosa sono ser­viti 
tanti anni di stu­dio». E che dire dell’Italia, dei costi per stu­diare e della 
fuga dei cervelli?

L’inchiesta rivela che solo il 13% degli inter­vi­stati afferma di voler andar­
sene dal Vene­zuela. Il 77% vi si trova bene e, al 60% con­si­dera che il 
sistema socia­li­sta è il migliore pos­si­bile, a fronte di un 21% che pre­fe­
ri­sce il capi­ta­li­smo.
A chi rispon­dono allora i gio­vani delle «gua­rim­bas» vene­zue­lani? Alla 
loro classe sociale di appar­te­nenza: media o medio alta e al ceto impren­di­
to­riale che con­ti­nua ad avere un gigan­te­sco potere. Gio­vani pre­va­len­te­
mente di pelle bianca (il 20% in un paese carat­te­riz­zato da grande mesco­
lanza) che pro­ven­gono dai quar­tieri ric­chi di Cara­cas, ada­giati in un raz­
zi­smo ini­ziato cin­que secoli fa.