[Disarmo] I: [Disarmiamolapace1099] Foto dalla Siria



>di Francesco Santoianni
>
>Anche “Caesar” per far fallire “Ginevra 2”
>
>Di medici forensi  abbindolati dai Signori della Guerra sono pieni gli 
annali. 
>Forse, il caso più famoso è il massacro di “inermi civili”, a Racak, in 
>Jugoslavia nel 1999, attestato in prima battuta da autorevoli medici forensi 
>chiamati dall’ONU; poi, un team di medici meno allocchi attestò 
>inequivocabilmente che, le anonime persone uccise (a bruciapelo) potevano 
pure 
>essere dei “civili” (anche se la loro comune robusta corporatura lasciava 
>spazio ad altre ipotesi) ma di certo non potevano dirsi “inermi” considerato 
>che l’esame con il guanto di paraffina (assurdamente non effettuato dal 
primo 
>team di medici) rivelava tracce di polvere da sparo sulle loro mani.
>
>Ma, allora, almeno c’erano indagini sul campo, appassionanti dibattiti su 
>controverse “prove” o su circostanze che potevano dimostrare una cosa o un’
>altra… Niente di tutto questo nel, davvero sbalorditivo, “Rapporto sulla 
>credibilità di alcuni elementi di prova relativi a tortura ed esecuzione di 
>persone incarcerate dal regime siriano” firmato, oltre che da tre “giuristi” 
>(capitanati dall’ineffabile Sir Geoffrey Nice, ex Procuratore Capo del 
>Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia) da due, finora 
autorevoli, 
>medici forensi inglesi: Stuart Hamilton e Susan Black.
>
>Uno strampalato Rapporto, già preso come oro colato (oltre che da 
>organizzazioni ex umanitarie)  dai media, e che – al pari dell’appello di 
Avaaz 
>per “salvare i neonati torturati da Assad” – viene usato oggi per sabotare 
>“Ginevra 2”: la conferenza internazionale che, si spera, serva a far finire 
l’
>aggressione alla Siria. Un “classico” considerata una analoga bufala che fu 
>portata avanti per sabotare, nel luglio 2012, “Ginevra 1”.
>
>Ma inoltriamoci nella analisi del Rapporto che – come assicura “Caesar” – 
>documenta le torture e le uccisioni di oppositori siriani effettuate dagli 
>sgherri di Assad. E chi è “Caesar”? <<Caesar (pagg, 4-5 del Rapporto) è un 
>disertore dalla Siria. Prima della sua defezione, era in servizio presso la 
>Polizia militare come fotografo. In tale ruolo (,,,) con lo scoppio della 
>guerra civile, al pari dei suoi colleghi, doveva fotografare i cadaveri dei 
>prigionieri, portati dai loro luoghi di detenzione in un ospedale militare. 
(…) 
>Nel corso del suo lavoro ha nascosto decine di migliaia di immagini di 
cadaveri 
>fotografati dai suoi colleghi e da se stesso. Altre immagini simili sono 
state 
>contrabbandate da altre persone. In tutto, circa 55.000 immagini; 
(mediamente) 
>quattro o cinque fotografie scattate di ciascun corpo per circa 11.000 
detenuti 
>uccisi.>>
>
>Un vero album degli orrori, quindi; anche se i membri della Commissione (che 
>ci assicurano aver visionato ben 5.500 foto) alla fine accludono nel loro 
>Rapporto solo dieci foto (“le più rappresentative”). Sulle quali ci si 
>soffermerà.
>
>Intanto una domanda. Perché mai la Polizia militare di Assad avrebbe dovuto 
>trasportare in un ospedale militare i prigionieri, ammazzarli, fotografarli 
e 
>realizzare così questa macabra collezione? <<La ragione per fotografare 
persone 
>giustiziate (pagg. 6-7) era duplice: in primo luogo per permettere un 
>certificato di morte da prodursi senza che le famiglie necessitassero di 
vedere 
>il corpo, evitando così alle autorità di dover dare un resoconto veritiero 
>della loro morte; in secondo luogo per documentare che gli ordini da 
eseguire 
>erano stati effettuati.>> Ma per quale assurdo motivo le autorità avrebbero 
>dovuto esibire un certificato di morte (“per problemi cardiaci e attacchi 
>respiratori”, pag. 13) alle famiglie degli 11.000 oppositori che sarebbero 
>scomparsi nelle carceri siriane? Per spingerle ad avere indietro il corpo 
del 
>loro caro e constatare così i segni delle torture? E poi, quale regime 
>conserverebbe una documentazione così dettagliata sui propri crimini? Da 
>sempre, dai lager nazisti a Pinochet, gli oppositori scompaiono e basta. 
>Desaparecidos, appunto. Altro che certificato di morte alle famiglie o 
immensi 
>archivi fotografici a disposizione di qualche sadico satrapo di regime o di 
>qualche inaffidabile dipendente della Polizia militare.
>
> Ma, visto che nessuna delle dieci foto specifica chi sia la vittima, (ma su 
>questo ci ritorniamo) vuole almeno dire il Rapporto chi sia veramente questo 
>“Caesar”? No. Non lo si può rivelare “per motivi di sicurezza”, nonostante 
>“Caesar”, da tempo, (pag. 12) “viva fuori dalla Siria insieme alla sua 
>famiglia”. E meno male che il Rapporto, invece, rivela che per 13 anni 
“Caesar” 
>ha lavorato come fotografo nella Polizia militare siriana. Certo, con tanti 
>suoi colleghi impegnati a fotografare decine di migliaia di cadaveri 
>martoriati, forse può ancora sperare di mimetizzarsi.
>
>Altre cose ci sarebbero da aggiungere sulla buona fede di “Caesar” attestata 
>in un baleno – l’ultimo suo esame da parte degli esperti della Commissione 
di 
>indagine risale (pag. 6) al 18 gennaio; il file “version to print” del 
Rapporto 
>postato sul sito della CNN riporta la stessa data: 18 gennaio -; o su quella 
>del suo (anonimo) parente (pag. 15), garante dell’identità di “Caesar”, che, 
>“stando fuori dalla Siria e militando nell’Opposizione siriana”, avrebbe 
>ricevuto da lui (che, allora, stava in Siria, custode di una documentazione 
>così sconvolgente e, per di più, parente di un oppositore) “decine di 
migliaia 
>di immagini”. Forse qualche altro sistema per accertare chi fosse e che 
>mestiere facesse davvero “Caesar” poteva essere tentato: ad esempio, 
>interrogare alcuni tra i numerosi poliziotti (anche della Polizia militare) 
che 
>disertando, sono scappati fuori dalla Siria. Ma con questa ricerca 
finanziata 
>dal Quatar  e con l’acume investigativo degli esperti della Commissione (che 
si 
>fidano di due documenti di identità ad essi mostrati da “Caesar” – vedi pag. 
>12), era chiedere troppo.
>
>Ma occupiamoci delle foto. Essendo state scattate dal “regime di Assad” per 
>realizzare il macabro data-base dei prigionieri uccisi, è ovvio che nella 
>“cinquina” di foto che documentava la tortura e la morte di ogni vittima 
>avrebbe dovuto essercene almeno una raffigurante la faccia del malcapitato. 
In 
>realtà, se si analizzano le foto inserite nel Rapporto, si evidenzia che non 
>solo nessuna tra queste permette una identificazione del condannato ma che, 
>addirittura, nelle foto più pregnanti per dimostrare l’avvenuta tortura IL 
VISO 
>È CELATO DA RETTANGOLI NERI. Perché? Il Rapporto ha la sfacciataggine di 
>asserire (nota a pag. 19) che <<Per motivi di sicurezza e privacy facce o 
altre 
>caratteristiche potenzialmente identificativi nelle foto sono state rimosse.
>> 
>Motivi di sicurezza e di privacy? Per persone la cui identificazione avrebbe 
>significato, un inequivocabile atto di accusa per i carnefici? Per delle 
>famiglie che certamente avrebbero diritto di conoscere la sorte toccata ai 
loro 
>cari? Per i condannati stessi, che in questa rivelazione avrebbero potuto 
>esternare la loro ultima testimonianza? Niente. “Motivi di sicurezza e di 
>privacy”. E così nulla si può dire sull’’identità delle persone martoriate e 
>uccise.
>
>Ma gli innumerevoli rettangoli neri che celano, oltre ai visi, alcuni 
dettagli 
>delle foto non sono l’unica bizzarria del Rapporto. Soffermiamoci, ad 
esempio, 
>sulla foto 4. Mostra i segni di uno strangolamento effettuato, 
presumibilmente, 
>con la striscia di plastica raffigurata nella foto 5. Ma chi ha messo sul 
corpo 
>quella striscia? E perché? Di certo non può essersela dimenticata la 
“Polizia 
>militare” che lo avrebbe torturato in prigione (altrimenti, risulterebbe 
anche 
>nella foto 4). E allora? È arbitrario parlare di una messa in scena? E le 
foto 
>6, 7, 8? Mostrano delle garze; la 6 sul polso, addirittura, si direbbe i 
resti 
>di una fasciatura al braccio (vedi anche foto 7). In Siria medicano i 
torturati 
>prima di ammazzarli? E perché? E poi la foto 3. Mostra, in alto a sinistra, 
l’
>unghia di un dito di qualcuno che si direbbe tenga il cadavere in bella 
mostra 
>per essere meglio fotografato. E questo per una delle tante “foto di 
archivio”?
>
>Il Rapporto pretende di cancellare ogni dubbio sulle foto dichiarando di 
>essersi servito della consulenza di tale Stephen Cole, esperto forense in 
>trattamento di immagini e Direttore dell’ Acume Forensics Institute. Ma la 
>questione non è se le foto siano state manipolate, ma cosa esse 
rappresentano. 
>Chi sono i torturati? E torturati da chi? Il Rapporto non ha dubbi 
annunciando 
>già nel suo titolo la responsabilità del regime siriano. Ancora più spavaldo 
>David Crane, uno degli autori del Rapporto <<Le prove raccolte sono 
decisive. 
>Questa è una pistola fumante. Qualsiasi procuratore vorrebbe avere questo 
tipo 
>di prove. Questa è la prova diretta della macchina omicida del regime di 
Assad.
>>>
>
>E perché del “regime di Assad”? E se i cadaveri fotografati fossero, invece, 
>persone cadute in mano ai “ribelli siriani”? Intendiamoci in Siria le 
>detenzioni arbitrarie, al pari delle torture, complice la ferocia della 
guerra, 
>sono, certamente praticate da entrambe le parti in lotta. Ma quali prove ci 
>sono che le foto mostrano prigionieri del regime di Assad? La parola di 
>“Caesar”? Tutto qui? Allora, si dia a Cesare quello che è di Cesare. Tanto, 
>paga l’Emiro del Quatar.
>
>
>Complimenti, Amnesty International
>
>Finora, avevo perdonato di tutto ad Amnesty International. Ad esempio, la 
sua 
>grottesca mobilitazione contro la “lapidazione” di Sakineh Mohammadi. 
Ricordate 
>il faccione della donna iraniana che troneggiava su tutti i municipi? Aveva 
>ucciso il marito (con la complicità dell’amante) e per questo sarebbe stata 
>condannata (giustamente?) all’ergastolo. Ma per il nazisionista Bernard-
Henri 
>Lévy (che aveva lanciato la bufala), la donna era già stata destinata, da un 
>“tribunale islamico”, alla “lapidazione per aver commesso adulterio”. Come 
>assiduo “sostenitore” di Amnesty International (un po’ di spiccioli, ogni 
>tanto) cercai di metterla in guardia: la sua forsennata campagna contro la 
>“lapidazione in Iran”, invece di favorire il rispetto dei diritti umani, 
>rischiava di essere il pretesto per togliere di mezzo (con una ennesima 
guerra) 
>un altro Stato Canaglia. Non mi rispose nessuno.
>
>Non era, invero, l’unica bufala di guerra che era stata consacrata da 
Amnesty. 
>Ad esempio, la famigerata “testimonianza di una infermiera kuwaitiana” (in 
>realtà, Nayirah al-Sabah, figlia dell’ambasciatore del Kuwait negli USA) 
che, 
>su incarico della società di comunicazione Hill & Knowlton, aizzava alla 
guerra 
>contro l’Iraq denunciando l’eccidio di neonati, compiuto dai soldati di 
Saddam, 
>per impossessarsi di incubatrici. Stessa storia, anni dopo, con le bufale 
sulle 
>fosse comuni in Libia e le decine di migliaia di manifestanti mitragliati 
dagli 
>elicotteri di Gheddafi, tutte prese per buone e propagate da Amnesty. 
Eppure, 
>nonostante ciò e le rivelazioni sempre più preoccupanti su Amnesty che 
>cominciavano a diffondersi sul web, continuavo a pensare che, in fondo, più 
che 
>complici dei Signori della Guerra, i suoi attivisti potevano, al più, essere 
>considerati degli ingenui allocchi abbindolati da “notizie” che non 
riuscivano 
>tempestivamente a verificare.
>
>Poi, con il proseguire della guerra alla Siria, le cose si sono fatte più 
>chiare. Partite alla grande con l’avvincente storia della blogger lesbica di 
>Damasco, le bufale sono progressivamente diventate sempre meno credibili; 
>lontanissime come qualità da quelle realizzate, nelle precedenti fulminee 
>guerre, da esperti di strapagate società di comunicazione. E, così, oggi 
dalla 
>Siria non arrivano altro che video grossolani, foto pacchianamente artefatte 
>“testimonianze” autentiche come banconote da tre dollari… Tutta roba 
realizzata 
>dai tanti disperati della guerra che – con familiari, parenti e, spesso, con 
un 
>cellulare – improvvisavano “scoop” acquistati, per quattro soldi, da agenzie 
di 
>stampa. “Assad bombarda con napalm le scuole”, “Cecchini di Assad sparano 
sulle 
>donne gravide”, “Barili carichi di esplosivo, catrame e chiodi sganciati su 
>inermi civili”, Sono questi gli sbracati “scoop”oggi disponibili sul mercato 
>delle bufale dalla Siria. Inequivocabile pattume consumato dai media in – 
>massimo – un paio di giorni per non far soffermare troppo i loro, pur 
>disattenti, lettori/spettatori.
>
>Oggi su questa immondizia troneggia la “notizia” delle foto degli 11.000 
>prigionieri torturati e uccisi dal regime di Assad. Pur  commissionata dall’
>immensamente ricco Emiro del Quatar, si direbbe che i soldi per costruire 
>questa bufala non abbiano preso tutti la strada giusta, considerato che – 
con 
>tanti ufficiali del regime siriano scappati all’estero e disposti 
(ovviamente 
>dietro lauto compenso) a testimoniare qualunque cosa davanti alle telecamere 
– 
>si basa sulle dichiarazioni di un anonimo “fotografo della polizia” e su 
dieci 
>raffazzonate fotografie. Insomma, una bufala da quattro soldi; 
identificabile 
>come tale da chiunque (ci sono riuscito pure io, figuriamoci) si fosse preso 
la 
>briga di analizzarla.
>
>Per questo, sono rimasto sbalordito davanti al comunicato di Amnesty 
>International che consacrava questa bufala, riportando (dopo la 
dichiarazione 
>di uno dei suoi ideatori , Sir Desmond de Silva, “le prove documentano 
>uccisioni su scala industriale“) la frase “Le denunce sono compatibili con 
>elementi emersi dalle ricerche di Amnesty International sulle torture e 
sulle 
>sparizioni forzate compiute dal governo siriano e devono essere prese sul 
>serio”, che dopo aver paraculato con un sibillino “Se confermate” così 
>continuava “si tratterebbe di crimini contro l’umanità commessi su scala 
>agghiacciante e obbligherebbero a chiedere nuovamente perché il Consiglio di 
>sicurezza non abbia ancora deferito la situazione della Siria al procuratore 
>della Corte penale internazionale“. Insomma, un altro Stato Canaglia da 
>togliere di mezzo.
>
>Incazzato nero per quella che ritenevo fosse ancora la dabbenaggine di 
Amnesty 
>International, la ricontatto via mail per chiedere, sostanzialmente, come 
fosse 
>possibile che con tanti “esperti”, giornalisti, “consulenti” vari… a sua 
>disposizione, avallasse quella bufala, uscita – tra l’altro – giusto in 
tempo 
>per far fallire la “Conferenza Ginevra 2”: ultima speranza per fermare una 
>guerra che ha fatto, finora, centomila morti.
>
>Con mia sorpresa, questa volta, qualcuno mi risponde: tale Riccardo Noury, 
>Portavoce e Direttore dell’Ufficio Comunicazione Amnesty International. E 
dopo 
>qualche scambio di mail, la conversazione già finisce a pesci in faccia.
>
>Come sarebbe a dire “Cioè?” Mica posso dirvi cosa ci siamo detti sulle 
>responsabilità di Amnesty International nel propagare bufale di guerra? Mi 
>spiace, ma, per motivi legali, non è possibile rendere pubblica una 
>conversazione privata se non vi è il consenso delle parti. Per questo ho 
>scritto l’articolo. Che avete appena letto.
>
>Francesco Santoianni
>P.S
>Il 27 gennaio, (il giorno dopo l’uscita del mio articolo) il Portavoce di   
>Amnesty International Italia ha pubblicato questo articolo sul suo blog. 
Dovrei 
>essere soddisfatto? No. Credo che la “pezza” che Amnesty International 
Italia, 
>pretende di rammendare sia peggio del “buco” (il suo vergognoso articolo – 
>ancora on line – che pretende di attestare l’evidentissima bufala 
commissionata 
>dall’Emiro del Quatar).  E invece di invocare “analisi indipendenti”, 
Amnesty 
>International Italia farebbe meglio a scusarsi per avere (consapevolmente o 
>meno) cercato di affossare la Conferenza “Ginevra 2”.
>
>http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=2128
>
>
>
>_______________________________________________
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