Facciamo la crisi, facciamo la guerra



Capitale e Crisi, un affare di Guerra

Mando tre articoli, tutti tratti da Il Manifesto, su guerra affari capitale. 

Jure

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1. CAPITALE E GUERRA
Nuovi indebitamenti per nuovi conflitti

2. SPESE DI GUERRA
25 miliardi, vi ricordano qualcosa?

3. IL MINISTRO COMANDANTE NATO
Tagliare gli F-35? Scordatevelo. 


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1. 

CAPITALE E GUERRA
Nuovi indebitamenti per nuovi conflitti

Alessandro Dal Lago

Un fondo di Tommaso Di Francesco e la bella intervista di Ida Dominijanni a Christian 
Marazzi (il manifesto, 3 dicembre) contribuiscono, da prospettive diverse ma convergenti, a 
chiarire un po' le idee sull'intreccio di crisi e guerra a cui non si presta sempre la dovuta 
attenzione. La società degli individui sta diventando, in sostanza, una società di debitori che 
pagano non solo per i profitti delle banche di investimento e per alimentare la bolla 
finanziaria. 
Ma anche per tenere in piedi un apparato militare-industriale il quale si prepara a nuove 
guerre (direi che Siria e Iran sono le più gettonate in cancellerie e think tank) e quindi a 
nuovi indebitamenti che ricadranno su lavoratori, pensionati ecc. Circa un anno fa, 
Innocenzo Cipolletta (sì, l'uomo di Confindustria) ha pubblicato un interessante libretto da 
Laterza (Banchieri, politici e militari) in cui sono analizzati i cicli guerra-debiti sovrani. Solo 
per fare un esempio, le due guerre in Afghanistan e Iraq hanno provocato negli Usa uno 
straordinario trasferimento di risorse dal settore pubblico a quello privato che ha contribuito 
a innescare la crisi del 2008 e quindi quella attuale, in cui l'Italia fa la parte, più del capro 
espiatorio, dello sparring partner...
Una concatenazione di cause ed effetti nota da sempre, si dirà. Il capitale ha ciclicamente 
bisogno di guerre per rinnovarsi, come sappiamo da Schumpeter. Ma quello che è meno 
evidente è come questo corrisponda oggi a una trasformazione sensazionale del potere 
globale, o occidentale che dir si voglia. La finzione degli esecutivi eletti a furor di popolo è 
oggi ridotta a una mera variabile delle strategie finanziarie e militari perseguite dal sistema 
bancario internazionale e dalla Nato. Consideriamo il governo Monti. È singolare come sia 
soprattutto la destra, e non solo italiana, (da Giuliano Ferrara al Times e ai neocon Usa) a 
parlare di un vero e proprio colpo di stato che avrebbe detronizzato Berlusconi. È la 
nostalgia per un plebiscitarismo di destra (il "capo" eletto dai cittadini) con cui si esprime 
quel liberalismo autoritario che sta molto caro agli orfani di Bush e del cavaliere. Ma la 
sinistra? Che lezioni sta traendo dall'insediamento al governo di un direttorio in cui siedono 
fianco a fianco tecnocrati, banchieri e militari?
Per esempio, come non riflettere su un militare ministro della Difesa per la prima volta, mi 
pare, nella storia della repubblica? Ogni paese sull'orlo del fallimento risolve a modo suo la 
questione del virtuale disfacimento sotto la crisi. Papandreou, dopo l'annuncio del 
referendum e prima dell'avvento di Papadimos, ha licenziato i vertici delle forze armate. Da 
noi, dove non sono pensabili (per il momento) mal di pancia golpisti o gravi sommovimenti 
di piazza, è bastato insediare, con il beneplacito attivo del presidente della repubblica, un 
militare organico alla Nato, il quale ha evidentemente il compito di rassicurare i vertici 
militari americani ed europei sull'adesione italiana alla strategia occidentale, con relativi 
pian di spesa per l'acquisto di aerei da combattimento (14 miliardi in dieci anni...).
C'è chi, come Sofri, gongola all'idea che l'Italia ceda un po' di sovranità per realizzare quella 
giustizia internazionale che gli sta tanto a cuore, insomma per stanare i cattivoni che 
dovunque violano i diritti umani. Più realisticamente, Sergio Romano concepisce la 
dissoluzione dell'autonomia dei governi dei paesi deboli come necessario prezzo da pagare 
per restare nel club dei ricchi. Io mi limito a osservare che, in questa prospettiva, ogni 
possibilità di cambiamento svanisce. Il potere non si incarna più in personaggi facilmente 
esecrabili perché visibili (come il miliardario populista e reazionario Berlusconi), ma in un 
anonimo sistema di comitati d'affari che nessuno ha eletto e che rende conto solo a se 
stesso o ai suoi alleati globali. La guerra di Libia ha mostrato perfettamente come tale 
sistema sia in grado di sbarazzarsi in poco tempo di ex alleati ingombranti come Gheddafi, 
con la giustificazione della protezione dei civili o altre favole umanitarie.
Ma come contrastare una "governamentalità" globale così pervasiva e capace di 
ristrutturazioni tanto veloci, come quella che stiamo subendo in Italia? La difesa dei beni 
comuni o il "comune" di cui parla anche Marazzi è una risposta umana e sociale suggestiva, 
ma che lascia al sistema di potere globale sempre l'ultima parola. Oggi, pensionati e 
lavoratori dipendenti sono chiamati a pagare le ultime quattro o cinque guerre occidentali. 
Ma chi pagherà per quelle che si annunciano? Giurerei che nel giro di pochi mesi, con la 
depressione dei consumi e dell'economia provocata dalla manovra Monti, saranno 
necessarie nuove manovre, nuove strette sul potere d'acquisto, nuovi tagli ecc. (magari da 
affidare, nel 2013, non più al direttorio apparentemente apolitico d'oggi, ma a un altro 
governo di salvezza nazionale "liberamente" eletto).
Nessuno ha ovviamente le ricette in tasca per opporsi a un sistema che di liberale o 
democratico non mantiene nemmeno la facciata. Ma inviterei chiunque parla di necessità di 
«baciare il rospo Monti» (o domani quello Bersani o Casini) a riflettere sul fatto che così si 
baciano i rospi bancari e militari che ci comandano. Ma, se non altro, questa crisi ci mostra 
con chiarezza cristallina dove vanno i soldi che ci stanno sfilando dalle tasche e il tempo 
della vita che ci stanno togliendo. Nelle tasche dei mercanti di morte e di quelli che li 
finanziano.

il manifesto 2011.12.06 - 01 PRIMA PAGINA


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2. 

SPESE DI GUERRA, PARLIAMONE
EDITORIALE - Tommaso di Francesco

Eccoli i tagli "tecnici" vellutati: abolizione delle pensioni di anzianità, aumento dell'età 
lavorativa, blocco del recupero dell'inflazione, passaggio di tutti al contributivo. Il tutto 
accompagnato dalle promesse di studiare un reddito minimo per i giovani disoccupati, di 
una patrimoniale ma «debole» e di «provare» a ridurre i privilegi della politica. Altro che 
tecnica. Si colpiscono come non mai il già risicato welfare e la condizione di vita dei 
lavoratori. Così, per un governo nato a surrogare l'incapacità dell'esecutivo reazionario di 
Berlusconi per salvarci dalla crisi economica, la tecnica surclassa a destra le precedenti 
incapacità politiche. E il ricatto del «o me o il baratro» (Marchionne docet) con la favola del 
«rigore con equità e per la crescita» rischiano di piegare ogni opposizione politica e sociale. 
Tutto questo per il dichiarato obiettivo "neutrale" di trovare subito 25 miliardi di euro per 
«sanare i conti» e salvare, con l'Italia, l'Europa.
C'è un'alternativa? Sì, logica e pragmatica, per usare le parole del neoministro della difesa 
Giampaolo Di Paola, già ammiraglio e capo di stato maggiore della Nato, davanti alle 
commissioni congiunte di Camera e Senato, dove ha illustrato le linee guida del suo 
dicastero, incentrate sulla «dismissione del patrimonio immobiliare delle caserme». Di tagli 
e riduzioni alla spese militari manco a parlarne invece. Anzi, in modo bipartisan - 
pleonastico dirlo per un governo quasi monocratico - la commissione difesa del senato ha 
autorizzato Di Paola a spendere ben 502 milioni di euro in acquisto di sistemi d'arma, in 
particolare per proteggere i "nostri" soldati in Afghanistan. In un'area di conflitto armato 
dove nessuno, nemmeno lo stato maggiore Usa, sa bene perché continuiamo a stare in 
armi. Ma questo è niente, perché il ministro Di Paola si è ben guardato dall'affrontare il 
tema caldo ereditato dal governo Berlusconi, che ahimè l'aveva ereditato dal governo di 
centrosinistra. Vale a dire il nodo di bilancio dell'acquisto di 131 cacciabombardieri F35, per 
un valore totale di 15 miliardi di euro. Senza dimenticare che l'aviazione militare sta 
acquistando un centinaio di caccia Eurofighter Typhoon, al costo di oltre 10 miliardi di euro. 
25 miliardi, vi ricordano qualcosa?
Si stracciano le vesti sul rigore e sull'equità. Ma l'idea di tagliare le spese di guerra resta 
non praticata. Anche se a gestirla, in pieno conflitto d'interessi, è un ex capo di stato 
maggiore di un'alleanza militare che ha condizionato e condiziona i bilanci militari di tutti gli 
stati europei e di aziende private e pubbliche, come Finmeccanica, legate agli affari del 
mercato della guerra.
Eppure è sotto gli occhi di tutti, insieme al baratro della crisi del capitalismo, finanziario e 
non, il disordine mondiale prodotto dalle scelte di guerra dell'Occidente negli ultimi venti 
anni. Certo, se si pensa che nei Balcani, in Medio Oriente, in Somalia, in Iraq, in 
Afghanistan, in Libia la strategia di morte dei nostri cacciabombardieri abbia contribuito a 
migliorare le sorti progressive del mondo, non 15 miliardi per altri attrezzi di morte ma 
centinaia e centinaia di miliardi debbono essere approntati e spesi, e nuove intraprese 
belliche devono essere tentate, magari subito in Iran. Suvvia, siamo pronti ai sacrifici. Ma 
se, al contrario, si intravvede appena lo scenario provocato dalle guerre da noi supportate, 
fatto di lutti, terrore in andata e ritorno, disperazione, stragi di civili, tabula rasa dei diritti 
costituzionali e internazionali, nuove divisioni del mondo in sfere d'influenza e terre di 
conquista tardocoloniale per l'accaparramento di beni e fonti decisivi per il precipizio del 
nostro modello di sviluppo... se solo si percepisce tutto questo puzzo e brusio, allora 
bisogna dire basta. Tagliate il cacciabombardiere F35, cancellatelo dal bilancio possibile del 
governo Monti, tagliate la costruzione di nuove dieci navi da guerra per sostenere invece la 
cantieristica civile, tagliate le spese militari, ritirate i soldati dai conflitti in corso per 
rafforzare invece il Servizio civile che è stato azzerato. O i granai o gli arsenali. Se non ora 
quando?


il manifesto 2011.12.03 - 01 PRIMA PAGINA


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3. 

IL MINISTRO COMANDANTE NATO
Tagliare gli F-35? Scordatevelo

La manovra senza lacrime: meno F 35 e sante elusioni
Eleonora Martini

Ici anche per la Chiesa, 8 per mille e cacciabombardieri L'Italia è ancora in tempo per 
risparmiare i 15 miliardi di euro per la produzione dei cacciabombardieri. Gli immobili 
ecclesiastici? Monti: «Questione che nel pacchetto non ci siamo posti» Spese folli L'Italia è 
ancora in tempo per risparmiare i 15 miliardi di euro per la produzione dei 
cacciabombardieri. Gli immobili ecclesiastici? Monti: «Questione che nel pacchetto non ci 
siamo posti» Il ministro Di Paola: «Ridurre le spese della Difesa? Non credo proprio». 
Scordatevelo
A far pagare l'Ici sugli immobili anche della Chiesa (o a ridurre l'aliquota dell'8 per mille sul 
gettito Irpef) - guadagnando circa 1.200 milioni l'anno - il premier Mario Monti non ci ha 
«ancora pensato». Invece, di fare cassa tagliando i fondi sulle spese militari - risparmiando 
per esempio i circa 15 miliardi di euro destinati all'acquisto dei 131 cacciabombardieri di 
ultima generazione F35 - non ci pensano proprio, anzi non ci penseranno mai. 
«Scordatevelo», avrebbe probabilmente risposto ieri ai giornalisti che lo interpellavano alla 
Camera il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, se solo avesse potuto abbandonare il 
tono professorale da supertecnici di governo. «Non credo proprio», si è limitato più 
elegantemente a rispondere a quanti gli chiedevano ieri se mai l'esecutivo avrebbe potuto 
ipotizzare un «sacrificio» del genere, come da più parti richiesto. «Ognuno ha diritto di 
esprimere la propria opinione, che va rispettata, ma non è detto che abbia ragione. E non 
credo proprio che loro abbiano ragione». Per Di Paola, le forze armate hanno già dato «un 
grande contributo anche nelle manovre precedenti». Dunque nisba. Men che meno si sta 
discutendo, come pure accade nell'Europa di Merkel e Sarkozy o negli Stati uniti di Obama, 
di muoversi - sia pure collettivamente - verso la tassa anti-speculazione, la cosiddetta Tobin 
Tax sulle transizioni finanziarie. Né al momento sembra degna di considerazione la «ricetta 
verde» che secondo alcune associazioni ambientaliste, prima tra tutte Legambiente, 
produrrebbe «risorse per 21 miliardi» attraverso «la conversione ecologica di alcuni settori, 
il blocco delle ecomafie e gli incentivi alla sostenibilità ambientale». Eppure, non sono 
proposte ideali e inapplicabili, ma pragmatissime alternative alla manovra tutta da piangere 
di Monti.
La «breccia fiscale»
«Si tratta di una questione che nel pacchetto urgente adottato non ci siamo posti». Così il 
neo premier ha liquidato ieri la questione dell'esenzione Ici sugli immobili di proprietà della 
Chiesa (enti, diocesi, confraternite e istituti religiosi) destinati a un uso «non esclusivamente 
commerciale», come recita la postilla voluta da Bersani nel 2006 alla norma introdotta 
l'anno prima da Berlusconi. Eppure si tratta di una proprietà cospicua, pari a circa il 20% del 
patrimonio immobiliare italiano, secondo le stime della società finanziaria e immobiliare 
«Gruppo Re». Che produrrebbe, secondo i calcoli dell'Anci, circa 440 milioni di euro in più 
nelle casse dello Stato. «Considerando poi la rivalutazione della rendita catastale del 60% 
imposta nella manovra si arriverebbe a sfiorare i 700 milioni l'anno», spiega il segretario dei 
Radicali italiani Mario Staderini, animatore della campagna «Breccia fiscale». «Ha davvero 
una gran faccia tosta, la Cei, ad obiettare che la manovra avrebbe potuto essere più equa», 
aggiunge Staderini. Solo a Roma, racconta, «il mancato introito sugli oltre 23 mila immobili 
di proprietà ecclesiastica è pari a 26 milioni di euro. Senza contare le "caste" elusioni il cui 
contrasto ha fruttato al Campidoglio circa 14 milioni». Naturalmente, per eliminare quella 
postilla che agevola l'evasione fiscale non occorrono modifiche al Concordato: come è 
venuta se ne può andare. Tanto più, poi, perché - oltre alle tante proteste che stavolta si 
alzano anche da parte Pdl -è ancora aperta la procedura della Commissione europea che 
ipotizza per l'Italia l'aiuto improprio di Stato. «Se poi - conclude Staderini - si decidesse di 
far lavorare quella benedetta Commissione bilaterale, formata da esponenti della Cei e del 
governo italiano, nata per regolare l'aliquota sul gettito Irpef, ancora ferma all'8 per mille 
malgrado dal 1990 ad oggi il gettito sia passato da 200 milioni a un miliardo di euro, allora 
dimezzandola lo Stato potrebbe recuperare altri 500 milioni di euro l'anno». In tutto, si tratta 
di un piccolo contributo ecclesiastico pari a 1200 milioni, pari all'introito ottenuto con l'Ici 
sulla prima casa degli italiani.
A caccia di fondi
Lo chiedono in molti, da Sel all'Idv, dalla Federazione della sinistra alla Cnca 
(Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza): la riduzione delle spese militari è 
il primo «sacrificio» possibile, in tempi come questi. «Voglio capire - ha denunciato ieri Nichi 
Vendola - se un "F35" vale più della salute di un malato di Sla e di un malato di Alzheimer, 
della possibilità di curarlo. E rispetto al fatto che noi abbiamo avuto i fondi per la non 
autosufficienza dal precedente governo completamente disintegrati vorrei sapere se 
qualcuno si occupa delle persone disabili in questo Paese». I dati: due miliardi di euro già 
pagati per fare fede all'accordo iniziale sulla ricerca e la progettazione dei nuovi 
cacciabombardieri F35 Lockheed che, al costo di 130 milioni di dollari l'uno, entreranno in 
produzione nel cantiere di Cameri (Novara) - costato 600 milioni di euro e che dovrebbe 
occupare circa 800 persone - alla fine del 2012, e verranno consegnati a metà del 2013. 
Secondo Legambiente «per ogni posto di lavoro creato nell'industria militare se ne possono 
creare 3 con gli stessi soldi». «I restanti 15 miliardi di euro necessari, però - spiega Giulio 
Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci! - l'Italia se li può ancora risparmiare, 
perché la penale da pagare, al contrario che per gli Eurofighter, al momento sarebbe ancora 
molto bassa. Anche la Norvegia lo ha fatto». E con un grosso risparmio - globale - pure di 
lacrime.


il manifesto 2011.12.06 - 06 ECONOMIA


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