Un paio di articoli da Altreconomia



il mercato (di armi) conta più dei diritti umani

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Forse tolto ad inizio del 2011 l'embargo UE sugli armamenti verso la Cina

Le notizie rimbalzano in questi ultimi giorni, ed è il quotidiano francese Le Figaro a rendere pubbliche le indiscrezioni: a Bruxelles si starebbe lavorando per eliminare l'embargo verso la Cina sulla vendita di armi. Una embargo armi cinadecisione drastica e forte (anche se non sempre rispettata al meglio, in primis dall'Italia - della questione abbiamo già parlato qui) presa all'epoca dei fatti di piazza Tienanmen del 1989 e da allora ancora in vigore.

Riportiamo di seguito il lancio ANSA su queste nuove notizie, che dimostrano ancora una volta come il "pragmatismo degli affari" (in tempi di vacche magre anche per le spese militari) supera sempre qualsiasi considerazione relativa ai diritti umani ed alla loro violazione.

L’embargo sulle armi imposto dall’Unione Europea alla Cina all’indomani del massacro di piazza Tiananmen «potrebbe essere revocato all’inizio del 2011». Lo rivela il quotidiano francese Le Figaro, spiegando che «sarebbe una delle prime svolte di politica estera da parte di Catherine Ashton, l’alta rappresentante della diplomazia comune». La proposta, spiega il giornale, sarebbe stata considerata nel corso dell’ultimo vertice europeo, in un rapporto confidenziale presentato ai ventisette Paesi membri. A motivarla sarebbe una «perdita di giustificazione pratica», legata al fatto che la Cina è ormai in grado di realizzare autonomamente «mezzi di difesa di prim’ordine», tanto da rappresentare ormai un concorrente dei Paesi occidentali nei settore. Nonostante questo scarso impatto concreto, l’embargo resta però «uno schiaffo in faccia» a Pechino, costantemente ricordato dai dirigenti cinesi nei colloqui ufficiali. Si tratterebbe quindi, spiega Le Figaro, di un «ritorno di pragmatismo», a cui i 27 opporrebbero sempre meno resistenza.



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I fondi europei per la ricerca... alle armi

http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=2602


La lobby dell'industria militare al lavoro a Bruxelles

Nemmeno in periodo natalizio la lobby del complesso militare-industriale abbassa la guardia: i previsti tagli anche alle spese militari (che molti stati hanno annunciato in seguito alla crisi di questo periodo) mettono infatto in allarme le maggiori aziende del settore, abituate a fondare i propri utili su comode commesse pubbliche.

Indiscrezioni rimbalzate nei giorni scorsi da Bruxelles riportano di alcune discussioni riservate tra funzionari della Comunità europea e rappresentanti dell'industria bellica. Il motivo? Convincere l'UE che la ricerca scientifica sostenuta con fondi pubblici possa essere utilizzata anche per lo sviluppo di armi per le guerre del futuro.
I soldi da utilizzare apparterrebbero al "programma quadro" sulla ricerca che nel sessennio 2007-2013 dispone di uno stanziamento di 53 miliardi di euro. La parte dedicata a temi concernenti la "sicurezza" è di circa 1,4 miliardi di euro ma attualmente (complice anche la riluttanza dei Governi nazionali ad affidare alla Commissione europea decisioni di ambito militare) i programmi finanziabili devono riguardare progetti di natura civile e "non letale".

Ovviamente la lobby armiera vorrebbe superare questo stato di cose, sia per l'attuale programma che per il prossimo periodo 2014-2020, riuscendo a farsi finanziare progetti più strettamente ed esplicitamente militari. Una possibile nuova cascata di denaro, in tempi di vacche un po' più magre, per alimentare introiti ed utili fuori da qualsiasi logica di mercato e basati solamente su connivenze politiche e logiche di potere. La pressione è esercitata all'interno della rete  di progetto UE chiamata SANDERA (Security and Defence policies in the European Research Area, per l'Italia partner è lo IAI - Istituto Affari Internazionali) composta da organismi di ricerca ma in cui trovano spazio anche lobbisti delle principali industrie continentali di armamenti. Un ulteriore paradosso riguarda anche il sostegno pubblico di questa stessa rete: non potendo essere supportato da capitoli di spesa sulla sicurezza - come sottolineato in precedenza - il lavoro di questo organismo è finanziato dal programma di ricerca UE dedicato alle scienze umane e sociali. Sottraendo così i fondi ai progetti di ambito universitario e risultando di fatto dominato dagli interessi delle compagnie private.

Tra i progetti di ricerca che la lobby delle armi vorrebbe vedersi pagata dai soldi pubblici dei cittadini europei spicca quello dei "droni" senza pilota: aerei di riconoscimento e attacco utilizzati nei luoghi più problematici (l'aviazione di Israele ne ha fatto largo uso a Gaza tra il 2008 e 2009) e che anche recentemente sono assurti agli onori della cronaca per attacchi ed uccisioni in Pakistan. Un possibile uso di soldi pubblici (per la ricerca!) attualmente controverso e perpetuerebbe il circolo vizioso (o virtuoso, per chi ne trae forte guadagno) di denaro dei contribuenti utilizzato per sviluppi industriali di aziende che poi rivendono i loro prodotti militari agli stessi Stati, che ovviamente li acquistano con altro denaro proveniente dalle tasse di tutti noi. In un momento in cui, oltretutto, pare non si trovino neanche centesimi per uno stimolo serio ed efficace alla ripresa industriale e produttiva e in cui si uilia la ricerca universitaria.
Sul fatto che le industrie di armi stiano da tempo lavorando per accaparrarsi la maggiore fetta possibile di fondi UE per la ricerca si è espresso recentemente anche il Parlamento Europeo in uno studio pubblicato ad Ottobre 2010 (Review of security measures in the Research Framework Programme che potete scaricare dal box a lato) sottolineando come "Sono in misura schiacciante le grandi compagnie della difesa, le stesse che hanno partecipato alla definizione della ricerca sulla sicurezza sponsorizzata dalla UE, ad essere beneficiarie principali dei fondi relativi".

Le aziende delle armi si sono poi anche mosse al di là dell'Atlantico, forse ottentendo qualcosa. Il sottosegretario alla Difesa USA William Lynn ha infatti recentemente dichiarato che i tagli di spesa ipotizzati per il Pentagono lo scorso Agosto direttamente dal Ministro Gates potrebbero essere meno "pesanti" di quanto stimato inizialmente. Il 10% di riduzione nei contratti di supporto annunciato (e che aveva creato grande allarme presso l'industria bellica, che temeva riduzioni per oltre 14 miliardi di dollari) si applicherà infatti a un pacchetto di servizi di circa 4,3 miliardi di dollari. I tagli quindi dovrebbero superare di poco i 400 milioni: ancora una volta le pressioni delle aziende della difesa hanno saputo contenere riduzioni di budget che altri settori produttivi si vedono piovere addosso senza alcuna possibilità di scansarli.


Allegato Rimosso
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