MONTAGNA LONGA: 108 morti per Incidente Italiano...



Vi prego la massima diffusione, tutto è cominciato con una lettera che
gira, dolorosamente...

Doriana Goracci
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Non voglio più scrivere dell’informazione di Stato che non esiste, non
voglio più lamentarmi della carta stampata, serva di partito che ignora
i reali problemi dei cittadini dimenticati dallo Stato. I cittadini non
fanno scoop. Non voglio neanche più commentare o criticare gli articoli
che leggo, perchè la bile e il tarlo del dubbio mi torturano per giorni
e giorni. Sprecare una sola parola ancora, non fa altro che accrescere
la notorietà dei giornalisti prezzolati. Vorrei farvi leggere, invece,
quanto mi ha spedito Laura, su questa Strage... lasciata invecchiare...:
disastro aereo di Montagna Longa , il 5 Maggio 1972. Quanti di noi se la
ricordano?Quanti di noi hanno letto di recente l’evolversi di questa
dolorosa pagina della nostra storia? A quanti di noi importa realmente
sapere come sono andate le cose? Questo mio invito è rivolto a voi
tutti, perché possiate condividere con me, l’orrore di questa tragedia,
ancora senza verità, dopo 35 anni. L’invito alla lettura non è e non
deve restare, l'unico modo che ho, che abbiamo, di essere vicini ai
parenti delle vittime. Vi chiedo di "suggerirci" a vicenda come
mostrare la nostra solidarietà, non solo a parole. Cosa possiamo fare?
Come aiutare Maria Eleonora Fais e tutti gli altri? Dobbiamo davvero
aspettare che muoiano, di vecchiaia, anche i superstiti di questo
immenso dolore per non parlarne proprio più?
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E' stata una strage di Stato.

C'è un patto segreto, una verità nascosta che nessuno fino ad oggi ha
rivelato. L'aereo schiantatosi la sera del 5 maggio di trentacinque
anni fa sulla montagne di Palermo fu abbattuto da terroristi di estrema
destra che operavano con la complicità e la copertura dei vertici di
Gladio, la rete paramilitare segreta costituita dopo la seconda guerra
mondiale in Italia con il compito di contrastare una eventuale invasione
dei comunisti, finita nel passato al centro di tante inchieste
giudiziarie.

È questo l'ultimo clamoroso segreto riferito da Alberto Volo, un ex
estremista di destra siciliano, che ha rivelato l'esistenza di un piano
per destabilizzare il Paese. "Se vuole scoprire la verità deve uscire
dalla logica di destra e sinistra ed entrare in quella dei servizi
segreti". Maria Eleonora Fais, sorella di uno dei centotto passeggeri
morti nel disastro aereo, che alcuni anni fa ha incontrato l'ex
estremista, non ha dimenticato queste parole. Alberto Volo, chiamato il
professore, ha oggi cinquantotto anni. Negli anni Settanta era uno dei
tanti giovani che militavano in un'organizzazione sovversiva che
operava a Palermo e nel resto della Sicilia occidentale. L'ex
estremista, che alcuni anni fa ha accettato di incontrare Maria Eleonora
Fais, ha raccontato che il gruppo agiva alle dipendenze dei servizi
segreti e percepiva compensi dallo Stato. Le direttive arrivano
direttamente dai vertici di Gladio. Importanti documenti confermano che
la rete clandestina paramilitare era già operativa nell'isola negli
anni Settanta. Non vi è alcuna prova però di un collegamento con gruppi
terroristici ed organizzazioni criminali che hanno operato in Sicilia.
Tutte le inchieste giudiziarie hanno escluso coinvolgimenti dei servizi
segreti in attività illecite. I vertici di Gladio hanno ribadito con
forza che la struttura militare avrebbe operato legittimamente senza
avere alcun contatto con personaggi ambigui coinvolti in tentativi di
eversione.

L'ex estremista Alberto Volo però ha riferito particolari e circostanze
importanti che necessiterebbero quantomeno di una verifica. Il gruppo di
cui faceva parte aveva una sede nel centro di Palermo, a poche centinaia
di metri dal teatro Politeama. L'organizzazione era dotata di armamenti
ed attrezzature sofisticate. Gli estremisti, ha raccontato Alberto Volo,
sarebbero stati in possesso anche di proiettili al curaro, una sostanza
chimica tossica che non lascerebbe traccia, di cui erano in dotazione i
servizi segreti. L'ex estremista, racconta Maria Eleonora Fais, che da
anni si batte per accertare la verità sulla morte della sorella e degli
altri centosette passeggeri, ha riferito che il suo gruppo era stato
incaricato di compiere una serie di attentati al fine di destabilizzare
il Paese ed impedire la presa del potere da parte dei comunisti e di
eliminare alcuni rappresentanti delle istituzioni che erano corrotti.
Un'azione, la prima, che rientrava nei compiti e nella strategia
portata avanti da Gladio, istituita con l'obiettivo di evitare
l'avanzata dei comunisti, e dalla CIA. In questo contesto sarebbe
maturata la decisione di abbattere il DC8 schiantatosi il 5 maggio del
1972 sulle montagne di Palermo qualche minuto prima dell'atterraggio.
Alberto Volo ha raccontato che quella sera doveva imbarcarsi sull'aereo
diretto in Sicilia. Qualche minuto prima della partenza gli fu
consigliato però di non partire. Chi e perché gli disse di non
imbarcarsi? L'ex estremista non ha voluto rivelare il nome
dell'informatore. Maria Eleonora Fais ha però un sospetto. "Negli anni
Settanta operava all'aeroporto di Roma Mio Baccarini, estremista di
destra con residenza a Beirut in contatto con i servizi segreti
israeliani", dice.

Julio Baccarini era considerato un personaggio pericoloso dalle fonti
informative comuniste. Fu effettivamente lui a consigliare ad Alberto
Volo di non partire? L'ex estremista siciliano, che non ha mai
partecipato a stragi compiute dai gruppi eversivi, non è stato in grado
di riferire altri particolari sull'attentato. Ha comunque precisato che
il terrorista Stefano Delle Chiaie, uno dei leader dell'estremismo di
destra, sarebbe a conoscenza di tutti i particolari. Dopo l'era degli
attentati e delle stragi, i servizi segreti avrebbero troncato i legami
con i gruppi terroristici. Numerosi estremisti, diventati personaggi
scomodi, sarebbero stati eliminati. Tanti amici di Alberto Volo
sarebbero stati uccisi. Altri sarebbero stati arrestati. Anche l'ex
estremista palermitano sarebbe finito nel mirino dei servizi segreti.
Dopo essere stato convinto a fare una rapina in un supermercato sarebbe
stato sorpreso in flagranza dalla polizia ed arrestato. Una volta in
carcere, ha raccontato l'ex estremista nel corso di un incontro con
Maria Eleonora Fais, sarebbe stato selvaggiamente picchiato da un
funzionario dei servizi segreti coinvolto successivamente in una
clamorosa vicenda giudiziaria a Palermo. Alberto Volo, che si era
dichiarato pronto a riferire ciò che sa agli inquirenti, non è mai stato
convocato dai magistrati. L'ex estremista è rimasto coinvolto, un anno
fa , in un'inchiesta su un giro di diplomi falsi.

Per le centotto passeggeri e dei sette membri dell'equipaggio deceduti
nel disastro aereo di Montagna Longa è frutto di una tragica fatalità.
Ma Maria Eleonora Fais insiste e rivela l'esistenza di un filmato
inedito che potrebbe consentire la riapertura delle indagini. "Si
tratta di un vecchio filmato amatoriale realizzato da un anziano di
Terrasini che si recò sul luogo del disastro poche ore dopo lo
schianto", spiega. "Molti cadaveri erano completamenti nudi, bianchi e
gonfi. Una condizione che non è assolutamente compatibile con l'ipotesi
dell'incidente formulata dagli inquirenti". "L'aereo è stato
abbattuto", ribadisce Maria Eleonora Fais che, dopo essere venuta in
possesso del filmato, lo la mostrato immediatamente ad un esperto ed ha
scoperto che i suoi sospetti sarebbero fondati. "Il dottore Paolo
Procaccianti, dell'Istituto di medicina legale di Palermo, mi ha detto
che da un primo esame sembrerebbe che la morte sia dovuta ad uno
spostamento ''aria provocato da un'esplosione". Ma per potere
affermare con certezza che si sia trattava di un attentato servono
prove. Bisogna innanzitutto scoprire se sull'aereo vi era la presenza
di esplosivo. Un accertamento che sarebbe possibile effettuare
riesumando le salme delle
vittime e sottoponendole d una perizia balistica. "Chiederò che venga
riesumato il corpo di mia sorella", dice Maria Eleonora Fais. "Per
anni le autorità hanno ostinatamente rigettato ogni nostra inchiesta.
Non possono ancora, dopo trentacinque anni, continuare a sostenere che
si è trattato di un incidente e nascondere la verità".




Antonio Cavataio, figlio di una delle vittime del disastro aereo,
racconta il suo dramma di orfano. Dopo la morte del padre finì in un
collegio di Milano e fu costretto a crescere senza genitori. Oggi chiede
giustizia.

La montagna del dolore

Il piccolo Antonio batteva i piedi ed urlava. "Non piangere", gli
diceva sua madre. "Qui starai bene. Ci sono tanti bambini con cui
potrai giocare. Io verrò presto a trovarti". Si chinò verso di lui e,
dopo averlo abbracciato, s'avviò lungo il corridoio. Antonio tentò di
seguirla ma le suore lo trattennero. La fissò in lacrime mentre la
vedeva scomparire dietro una porta. Odiò sua madre. Odiò suo padre che
era partito all'improvviso per l'America senza neanche salutarlo e non
aveva fatto più ritorno. Antonio era piccolo. Non sapeva che suo padre
era morto in un disastro aereo. Sono trascorsi trentacinque anni da quel
giorno. Antonio Cavataio è oggi un uomo. Ha una moglie e tre figli. Ha
scoperto la terribile verità sulla fine di suo padre. Giovan¬ni Cavataio
aveva trentotto anni. Viveva con la moglie
ed i quattro figli ad Alcamo. Gestiva una rivendita di frutta. Era un
marito ed un padre affettuoso. Era disposto a fare qualunque sacrificio
per i suoi figli. "Io ero un bambino vivace", racconta Antonio
Cavataio. "Nella primavera del 1972, mentre giocavo, infilai le dita in
una presa della cor¬rente elettrica dietro al frigorifero e mi bruciai.
Mio padre contattò immediatamente un amico a Bologna dove c'era un
grosso centro di chirurgia plastica Gli dissero che avrebbero potuto
operarmi. Alcune settimane dopo ci recammo a Bologna per l'intervento
chirurgico. L'operazione riuscì perfettamente. Il 5 maggio mio padre
decise di rientrare in Sicilia. C'erano le elezioni e lui non voleva
mancare. Io restai in ospedale con mia madre. Fu l'ultima volta che
vidi mio padre. Al ritorno a casa mi fu detto che era partito per
l'America". Il piccolo Antonio attese invano il ritorno del padre.
Ogni volta che chiedeva alla madre ed ai nonni otteneva risposte
sfuggenti. I giorni trascorsero inesorabili e presto il piccolo Antonio
non interrogò più i suoi familiari. Sua madre, sconvolta
dall'improvvisa perdita del marito, decise di lasciare la Sicilia e di
trasferirsi nel settentrione. "Inizialmente portò con lei soltanto
me", racconta Antonio Cavataio. "Andammo a vivere a Milano. Mia madre
trovò un lavoro in un ristorante. Non stava mai in casa e non aveva
tempo per occuparsi di me e quindi decise di portarmi in un
orfanotrofio. Mi ricordo che quando mi lasciò compresi subito ciò che
stava accadendo. Iniziai ad urlare ed a battere i piedi". Il piccolo
Antonio restò a lungo in collegio. Presto fu raggiunto da due dei tre
fratelli. Il quarto, ancora piccolo, fu affidato ad una famiglia. Ogni
sabato la madre andava a prendere lui ed i suoi fratelli per il fine
settimana. Alla vigilia dell'estate il nonno arrivava dalla Sicilia per
portarli a casa per le vacanze. All'età di sette anni Antonio fece una
terribile scoperta. "Un giorno, mentre ero in Sicilia, mi fu detto che
mio padre non era mai andato in America. Scoprii con grande sorpresa che
l'aereo sul quale si era imbarcato era precipitato e lui era morto. Mi
sentii terribilmente in colpa. Pensai che se io non mi fossi bruciato
non saremmo mai andati a Bologna e lui non sarebbe mai salito su quel
maledetto aereo". Antonio Cavataio fa una pausa e poi aggiunge: "Ho
vissuto per anni con questo senso di colpa. Non potete neanche
immaginare i pianti che mi sono fatto nei bagni delle camerate".
Antonio rimase in collegio per circa dieci anni. Quando uscì andò ad
abitare con la madre, che nel frattempo si era risposata. "Non ho
vissuto molto con loro", racconta. "In estate conobbi una ragazza
romana. Me ne innamorai e decisi di trasferirmi nella capitale".
Antonio Cavataio oggi ha superato i terribili sensi di colpa che lo
hanno afflitto per anni e si è riconciliato con suo padre. Alcuni anni
fa si è recato sul luogo del diastro. "Volevo vedere dove era morto mio
padre", racconta. "Ho fermato la macchina ai piedi della montagna ed
ho proseguito a piedi. Quando sono arrivato in cima sono scoppiato in
lacrime". Qualche mese fa Antonio Cavataio ha fatto un'altra terribile
scoperta. Consultando un sito internet dedicato alla tragedia,
realizzato da alcuni familiari delle vittime, ha appreso che la fine di
suo padre e degli altri passeggeri potrebbe non essere stata una tragica
fatalità. "E' stato uno shock", dice. "Sin da piccolo mi avevano
detto che l'aereo era precipitato a causa di un errore dei piloti. Ho
dovuto rimettere in discussione tutto ciò in cui fino a quel momento
avevo creduto". Antonio Cavataio si è immediatamente messo in contatto
con i familiari di altre vittime. Ha conosciuto altri ex bambini che
hanno perduto il padre nel disastro e che sono stati costretti come lui
a crescere senza un genitore. Ilde Scaglione è una di loro. Suo padre,
Mario, era un funzionario di un'importante compagnia petrolifera. Stava
tornando da un viaggio di lavoro. Ilde Scaglione ricorda nitidamente
quel maledetto giorno in cui suo padre non fece ritorno a casa. Per anni
ha letto con ingordigia ogni notizia sull'incidente cercando di capire.
Oggi si batte per la verità. "Non ho mai creduto che si sia trattato di
un incidente", dice. "I piloti erano persone esperte che non avrebbero
mai compiuto un errore del genere. Penso che l'ipotesi dell'attentato
sia molto plausibile. Eravamo in un periodo politico difficile. In varie
parti della Sicilia erano stati compiuti diversi atti terroristici.
L'inchiesta purtroppo è stata condotta in maniera superficiale. Alcuni
corpi sono stati disintegrati. Eppure nessuno ha pensato di disporre una
perizia balistica per rilevare l'eventuale pre¬senza di esplosivo. Ma
c'è di più. Non sono stati neanche raccolti gli orologi delle vitti¬me
per vedere a che ora si erano fermati. Sin dall'inizio vi è stata la
convinzione da parte degli inquirenti che si fosse trattato di un
incidente". "Noi siamo stati trattati malissimo dalle istituzioni",
aggiunge Ilde Scaglione. "Non abbiamo ottenuto giustizia. Per essere
ammessi tra i beneficiari degli interventi disposti in favore dei
familiari di altri disastri aerei abbiamo dovuto protestare e
batterci". Dal 2004 i figli, nati o residenti in Sicilia, delle vittime
del disastro aereo di Montagna Longa, che non abbiano superato il
quarantacinquesimo anno d'età e non siano dipendenti pubblici, possono
chiedere di essere assunti alla Regione Siciliana. Ilde Scaglione è una
di coloro che hanno già beneficiato di questa iniziativa. Anche Antonio
Cavataio vorrebbe presentare domanda. Attualmente lavora per una ditta
presso l'aeroporto di Fiumicino, lo stesso da cui suo padre partì
quella maledetta sera senza mai
fare ritorno. "Spero di riuscire ad essere assunto presso gli uffici
distaccati di Roma", dice. "Sembra che vi siano dei problemi ma spero
che riusciremo a superarli. Non posso trasferirmi in Sicilia. La mia
vita è qui. Con mia moglie, i miei figli ed i miei suoceri, che sin
dall'inizio mi hanno accolto a braccia aperte, ho trovato quella
famiglia che non avevo mai avuto".


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