Il disarmo va a convegno per una politica della pace



Il mantenimento della tregua tra Libano e Israele, la costruzione politica della pace e la stabilizzazione del Libano non dipendono solo dai protagonisti sul territorio (anche i caschi blu), dagli attori indiretti (Usa e Iran) e dai diversi interessi geopolitici che li distinguono. Nell'area del Medio Oriente si gioca una rilevante partita energetica (i gasdotti afghani, il petrolio iracheno, l'oleodotto Btc che collega il mar Caspio al porto turco di Ceyhat) che, da parte Usa, mira a isolare l'Iran e a rendere il suo petrolio meno strategico per il mercato mondiale. L'Iran a sua volta, vuole sottrarre il mercato petrolifero al dollaro per passarlo all'euro. L'altra partita è quella che riguarda il nucleare iraniano ed è partita delicatissima considerato sia il protagonismo dell'Europa (5+1) sia quello dell'Onu attraverso l'Aiea: gli stessi soggetti della missione di peace-keeping in Libano. Come dire che l'Iran accetta di buon grado questa missione - controllando che Hezbollah non l'ostacoli - se l'Iran stesso verrà coinvolto nella stabilizzazione dell'area, se non sarà a sua volta attaccato e non verrà messo in discussione il suo governo e se, infine, sul nucleare si procederà a una trattativa diplomatica e politica. Che l'Iran arricchisca l'uranio per fini civili è un suo diritto, in questo caso dovrebbe accettare le ispezioni dell'Aiea; se invece le sue sperimentazioni mirano alla costruzione di armi atomiche è chiaro che questo costituirebbe un ulteriore elemento d'instabilità e rischio. Ma le spinte dell'Europa e del resto del mondo per un Medio Oriente denuclearizzato dovrebbero valere per tutti a cominciare dalle 200 testate nucleari già a disposizione d'Israele. Dalla fine della guerra fredda in poi, assistiamo a una escalation nelle qualità e nella quantità degli armamenti che non può che preludere a disastri che vanno evitati, circoscritti, prevenuti. Le guerre si fanno con le armi ma il possesso delle armi genera a sua volta guerre: è un circuito vizioso da interrompere. Innanzitutto con la politica, che deve prevenire le cause che provocano instabilità e conflitti: la povertà, i giacimenti d'odio che portano al terrorismo, il protezionismo economico dei paesi ricchi che impedisce l'accesso al mercato dei paesi poveri, i fondamentalismi e gli autoritarismi. Per questo occorrono iniziative volte alla promozione dello sviluppo, alla soluzione pacifica delle controversie, al rispetto dei diritti umani e a quello delle istituzioni e delle regole del diritto internazionale senza gli scivolamenti di senso che lo portano a adattarsi alla legge del più forte. Per esempio occorre impegnarsi nel rispetto dei trattati internazionali sul controllo degli armamenti. A cominciare dal nostro paese e dall'Europa per arrivare alla comunità internazionale. Non sono mancati a livello mondiale segnali positivi (il Sudafrica ha smantellato le sue testate nucleari; l'Argentina e il Brasile, aderendo al trattato Tlateloco hanno dato l'avvio alla creazione di una zona denuclearizzata in America Latina) ma questi non sono stati sufficienti a invertire la tendenza in atto che è la rincorsa al riarmo nucleare (Corea del Nord, Giappone e Iran). Le teorie sulla deterrenza e sul first Strike sembrano non reggere più. In particolare il nostro paese che, nella sede della conferenza internazionale di riesame del Tnp del 2000 aveva giocato un ruolo positivo a favore del disarmo nucleare, nel 2005 - governo Berlusconi - si è guardato bene dal portare avanti la questione. Questo è un primo livello d'intervento su cui il governo dell'Unione si deve impegnare sollevando il tema nelle sedi internazionali, in coerenza col suo programma che prevede un «rinnovato impegno per la lotta alla povertà, per il disarmo e contro le armi di distruzione di massa». Ma esiste un'ulteriore questione, se possibile più grave perché ci riguarda. Si tratta della presenza in Europa e nel nostro paese degli ordigni atomici Usa e Nato dislocati in Belgio, Germania, Italia, Olanda e Turchia. In questi 5 paesi oggi esistono circa 400 ordigni nucleari (senza contare quelli di Gran Bretagna e Francia) ognuno con una potenza distruttiva maggiore di quelle usate a Hiroshima. \ Il combinato disposto armi atomiche/guerra preventiva produrrebbe un war-game micidiale! Un contro-segnale in questo cupo scenario è stato dato da paesi Nato che hanno chiesto la rimozione delle armi nucleari dal proprio territorio (Canada, Grecia, Danimarca), pur continuando a far parte della Nato. E la Norvegia, paese antinucleare per eccellenza, lo scorso gennaio ha stabilito che il fondo pensioni statale norvegese non comprerà più azioni delle società coinvolte nella produzioni di armi nucleari. Sono segnali d'inversione di tendenza che rendono credibile un'opposizione da parte europea a queste nefaste scelte nucleari: a fine novembre, a Riga si terrà un summit della Nato per rivedere gli scopi e gli obiettivi dell'Alleanza atlantica: è questa la sede che deve consentire ai paesi europei di mettere in discussione l'impegno nucleare. Ci aspettiamo che i parlamentari europei si adoperino in questa direzione. Esiste già, in questo senso una dichiarazione di due eurodeputate (Carolina Lucas e Angelica Beer) che stanno raccogliendo adesioni. Ci aspettiamo anche che i parlamentari italiani che fanno parte del parlamento della Nato, - organo assai poco democratico perché non rende conto a nessuno - s'impegnino in questo senso. La posizione dell'Italia è ancora più contraddittoria: perché, dopo il referendum popolare sul nucleare, del 1987, in Italia non utilizza più quest'energia per usi civili mentre continua a ospitare ordigni nucleari sul nostro territorio (40 nella base di Ghedi e 50 in quella Usa di Aviano, più i sommergibili nucleari in 11 porti). Questo fatto desta un forte allarme nella popolazione e nelle amministrazioni locali per i possibili rischi ma non è ancora diventato nell'opinione pubblica nazionale motivo di mobilitazione generale come la gravità del fatto meriterebbe. Su questo chiediamo l'impegno di tutta l'Unione perché in sede Nato i nostri rappresentanti insistano per la riconsegna degli ordigni nucleari agli Usa, mettendo in atto al tempo stesso strumenti di controllo della radioattività delle basi militari nucleari e piani di decontaminazione. Ma è anche il momento di rinegoziare in sedi internazionali la grande quantità di basi militari Nato e Usa, che nel nostro paese, sono più numerose di ogni altro paese d'Europa, alcune addirittura sottratte alla sovranità italiana. Assistiamo invece a ridislocazioni e ampliamenti che destano motivi di forte preoccupazione (Vicenza, Camp-Derby, Sigonella): il tutto sottratto a controlli parlamentari e sostanzialmente secretato. Solo il presidente della regione Sardegna Soru su pressione di cittadini, associazioni, movimenti si è impegnato risolutivamente per lo smantellamento della base della Maddalena e per ridurre il numero delle servitù militari sul territorio sardo. Che gli enti locali siano in grado di influire su questo terreno è un segnale molto importante per perseverare nella mobilitazione di cittadini, associazioni, movimenti e partiti. Ci troviamo di fronte a un nodo strategico che per noi è molto ostico. Dal '99 la Nato è cambiata e sta continuando a cambiare senza che il nostro Parlamento si pronunci e senza che i cittadini ne siano informati. «La natura dell'Alleanza, assicura il ministro Parisi resta la stessa» ma in questi ultimi anni si è trasformata da alleanza difensiva in preventiva ampliando gli originali confini geopolitici per una proiezione mondiale. Ancora una volta il pretesto - come per la guerra afghana e irachena - è la minaccia terrorista a cui si aggiunge «la proliferazione delle armi di distruzione di massa»: una teorizzazione com'è evidente marchio Usa della Global war aganist terrorism inefficace e controproducente come si vede dagli esiti dell'occupazione militare di quei paesi. Gli strumenti per far fronte a terrorismo e riarmo non possono che passare attraverso un intensificarsi dell'azione politica: confronto, dialogo, contenimento. Senza contare che su decisioni così strategiche come l'ampliamento degli obbiettivi di un'alleanza internazionale a cui il nostro paese aderisce, non si devono concedere deleghe in bianco a organismi che non siano i parlamenti nazionali deputati a rappresentare la volontà popolare. È urgente trovare sedi nella sinistra e in tutta l'Unione che permettano alle associazioni e ai movimenti - i veri protagonisti della battaglia sul disarmo - e ai parlamentari di confrontarsi e dialogare per individuare efficaci azioni positive in questa direzione. A tale proposito venerdì si terrà «Giù le armi», una giornata di studio, promossa dalla sinistra Ds (presso palazzo Marini), dalle 9.30 alle 19.30.
Silvana Pisa  senatrice Ds, Commissione difesa
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/27-Settembre-2006/art8.html