Il vento e la notte. Ilaria Alpi ed Europa Plurale.



Ieri, dopo la bella ed affollata assemblea delle
riviste della sinistra alternativa, mi dirigevo al mio
ostello a Roma.
Faceva un po' freddo, tirava da pochi minuti e per
pochi minuti ancora un leggero vento.

Ho raccolto la copertina di un settimanale.
Il segreto di Ilaria.

Ilaria Alpi.

Beh, ora riaccendo il mio cuore ed il computer e trovo
il messaggio di Silvia.

Ilaria. Ilaria Alpi.

20 marzo 11 anni.  10 marzo 1994.

Beh, leggete con attenzione.

Io non starò più in silenzio. E nemmeno Europa
Plurale.

 Dobbiamo urlare tutti.

Leggete.

http://www.articolo21.com/notizia.php?id=1487

Il segreto di Ilaria

di Riccardo Bocca
C'è un filo invisibile che lega Mogadiscio a Reggio
Calabria. Un nesso 
che 
unisce le indagini sull'omicidio di Ilaria Alpi, la
giornalista del Tg3 
uccisa il 20 marzo 1994 in Somalia con l'operatore
Miran Hrovatin, e 
quelle 
sul misterioso ingegnere Giorgio Comerio, protagonista
secondo gli 
investigatori calabresi di un gigantesco traffico di
rifiuti 
radioattivi con 
altri faccendieri, malavitosi e trafficanti d'armi.


di Riccardo Bocca
C'è un filo invisibile che lega Mogadiscio a Reggio
Calabria. Un nesso 
che 
unisce le indagini sull'omicidio di Ilaria Alpi, la
giornalista del Tg3 
uccisa il 20 marzo 1994 in Somalia con l'operatore
Miran Hrovatin, e 
quelle 
sul misterioso ingegnere Giorgio Comerio, protagonista
secondo gli 
investigatori calabresi di un gigantesco traffico di
rifiuti 
radioattivi con 
altri faccendieri, malavitosi e trafficanti d'armi.
Uno scandalo di 
livello 
internazionale nel quale sarebbero coinvolti decine di
governi, europei 
e 
non, e intorno al quale si sarebbero per anni mossi
agenti dei servizi 
segreti deviati e personaggi iscritti a varie
massonerie.

Su questo stava indagando negli anni Novanta la
Procura di Reggio 
Calabria, 
poi stoppata da un'archiviazione. L'obiettivo dei
magistrati era 
dimostrare 
che un gran numero di navi venivano riempite di scorie
radioattive e 
affondate nei punti più profondi. Non solo. Nel corso
dell'inchiesta 
gli 
investigatori avevano trovato tracce del traffico di
rifiuti speciali 
che 
dall'Europa venivano traghettati in Africa, oltre che
del sistema 
O.d.m. 
(Oceanic disposal management) con cui il faccendiere
Comerio voleva 
stipare 
la pattumiera radioattiva in siluri per spararla sotto
i fondali 
marini. 
Tutti elementi che non hanno portato a
un'incriminazione, a una 
condanna, ma 
che nelle informative riservate della Procura di
Reggio Calabria 
rivelano 
uno stretto nesso coi fatti somali.

Non è un caso, dicono gli inquirenti, se dopo anni di
silenzio la 
scorsa 
settimana è stato denunciato dalla Commissione
parlamentare d'inchiesta 
sul 
caso Alpi un grave tentativo di depistaggio. Non è un
caso se 
personaggi 
oscuri ora cercano di deviare l'attenzione, proponendo
inesistenti foto 
satellitari dell'aggressione alla giornalista. E
nemmeno, dice Domenico 
d'Amati, avvocato della famiglia Alpi, che venga
diffusa la notizia 
secondo 
cui la Commissione parlamentare d'inchiesta avrebbe
intravisto dietro 
l'agguato l'ombra di Al Qaeda. "Il meccanismo è
evidente", sostiene: 
"Fornire falsi indizi su soggetti sospetti per
screditare l'indagine o 
inventarsi nuove piste per allungare i tempi. La
riprova che gli 
interessi 
in ballo sono enormi, e ancora oggi c'è chi teme che
vengano svelati".

Parole che trovano facile conferma. Basta tornare al
settembre del 1999 
per 
scovare un altro incredibile episodio che lega il
traffico di rifiuti 
radioattivi alla morte della giornalista del Tg3. Al
centro della scena 
questa volta è Francesco Gangemi, sindaco di Reggio
Calabria per tre 
sole 
settimane nel 1992 e cugino dell'omonimo Francesco,
condannato a 10 
anni per 
camorra. Ma soprattutto direttore del mensile
calabrese 'Il dibattito', 
foglio a dir poco aggressivo con pirotecnici attacchi
a politici e 
magistrati. A sua firma, sei anni fa, parte
un'inchiesta dal titolo: 
'Chi ha 
ucciso Ilaria Alpi?'. Più puntate precedute da una
singolare 
introduzione: 
"Fin dai primi passi di questa mia lunga strada, che
immagino irta di 
ostacoli e contraccolpi", scrive Gangemi, "voglio
informare i nostri 
lettori 
e le autorità che eventuali rappresaglie che dovessi
subire non 
sarebbero 
certo riconducibili alla 'ndrangheta o ad altre
organizzazioni 
criminali, ma 
ai servizi segreti deviati e assoggettati a taluni
magistrati 
inadempienti 
ai loro doveri d'ufficio e al governo, che rimane il
fulcro delle 
operazioni 
sporche che stanno inginocchiando l'umanità intera a
fronte di vantaggi 
di 
varia natura".

Di fatto oggi il mensile 'Il dibattito' è stato
sequestrato, e il suo 
direttore arrestato lo scorso novembre con l'accusa di
aver esercitato 
pressioni su magistrati dell'Antimafia di Reggio
Calabria per conto di 
una 
lobby di potere che voleva influenzare inchieste su
politici e mafiosi 
locali. Ma allora, tra la fine del '99 e il 2000,
Gangemi ha avuto il 
tempo 
e il modo di pubblicare molti documenti segreti
dell'inchiesta reggina. 
Pagine e pagine dalle quali emergono notizie
esplosive. Rivelazioni che 
aiutano a capire il sistema occulto con cui per anni è
stata 
illecitamente 
smaltita la pattumiera nucleare, ma anche indizi
preziosi per meglio 
comprendere l'intera vicenda Alpi.

In questo senso vanno lette le dichiarazioni che il 10
luglio 1995 il 
teste 
chiamato Alfa-Alfa rilascia al sostituto procuratore
di Reggio Calabria 
Francesco Neri e al capitano di corvetta Natale De
Grazia, consulente 
chiave 
morto poco dopo in circostanze non chiare. Il
testimone in realtà si 
chiama 
Aldo Anghessa ed è un personaggio più che discusso,
per sua stessa 
ammissione protagonista di azioni di intelligence e in
quel momento 
agli 
arresti domiciliari, indagato per traffico di armi e
materiale 
nucleare. "A 
partire dal 1987", spiega, "è attiva in Italia una
lobby 
affaristico-criminale che gestisce le seguenti
attività: traffico di 
rifiuti 
tossico-nocivi e radioattivi, stupefacenti, armi,
titoli di Stato 
falsificati e (...) materiali strategici nucleari".
Per quando riguarda 
le 
scorie tossiche e radioattive, continua Anghessa, "si
ha certezza che 
lo 
smaltimento può avvenire con tre distinte modalità:
l'interramento in 
località del sud Italia in vecchie cave o di scariche,
l'affondamento 
di 
navi normalmente in zone extraterritoriali o lo
smaltimento presso 
paesi del 
Terzo mondo come (...) il Libano, la Somalia fino al
1992, la Nigeria e 
il 
Sahara ex spagnolo (...). Detti traffici", specifica
Anghessa, "sono 
sicuramente gestiti a livello di vertice da soggetti
iscritti a logge 
massoniche italiane ed estere". Quanto ai potentati
della politica, 
secondo 
il teste Alfa-Alfa il loro ruolo è altrettanto
centrale: "È opportuno 
far 
rilevare a questo ufficio", racconta, "che
nell'occasione del sequestro 
di 
29,5 chili di uranio effettuato a Zurigo furono
fermati dalla polizia 
elvetica otto individui tra i quali due italiani. Uno
di questi è 
Pietro 
Tanca, il quale ha affermato: 'Io sono qui non per
ritirare denaro (se 
ricordo bene 18 milioni di dollari), ma per verificare
l'esistenza del 
denaro di competenza della parte politica italiana che
copre 
l'operazione'. 
I nostri tentativi per capire quale fosse la parte
politica cui si 
riferiva", commenta Anghessa, "sono stati vani, anche
per la proterva 
azione 
della polizia elvetica, che anziché collaborare ha
scientificamente 
ostacolato le indagini". Quanto a Tanca, "appena
rilasciato dalla 
polizia 
elvetica e rientrato in Italia è stato arrestato su
ordine di custodia 
cautelare emesso dal gip Felice Casson".

Il quadro, a questo punto, era più che allarmante.
Addirittura, 
ricordano i 
magistrati, ebbero la sensazione di confrontarsi con
qualcosa di 
dimensioni 
pazzesche, inimmaginabili. Troppo, per una Procura che
si muoveva 
artigianalmente, senza eccessiva esperienza nel
settore dei traffici 
radioattivi. Ad ogni parola il teste Alfa-Alfa
allargava lo scenario, 
infilando nomi su nomi, particolari su particolari,
indirizzi su 
indirizzi. 
Fino a sostenere l'esistenza di una rete di coperture
istituzionali a 
livello internazionale: "Ne sono convinto", afferma
Anghessa. E a 
riguardo 
cita Guido Garelli, arrestato in un'inchiesta sui
traffici nocivi, più 
volte 
citato nell'inchiesta Alpi e a suo avviso
"riconducibile a un organo di 
informazione dello Stato", tant'è che "era uso
chiamare numeri 
telefonici di 
basi militari italiane e aveva pass Nato per entrare e
uscire in basi 
militari italiane". Fa anche il nome, Anghessa, di
Elio Sacchetto 
"tessera 
P2, arrestato nel 1988 assieme al Garelli". Finché,
parlando del 
"livello 
intelligente" dell'organizzazione criminale,
costituito da "soggetti di 
classe sociale visibilmente elevata, di abitudini
raffinate, tutti 
regolarmente riconducibili a logge massoniche più o
meno segrete", 
spunta la 
figura di Giorgio Comerio: il titolare del sistema di
affondamento 
delle 
scorie con missili, ma anche il protagonista di
indagini delicate come 
quella sul naufragio della nave Rigel o sullo
spiaggiamento della 
motonave 
Rosso, dove la Capitaneria di porto trova copia del
suo progetto 
O.d.m..

Scrivendo di lui, il direttore del 'Dibattito'
Francesco Gangemi spende 
frasi pesanti: "La Procura di Reggio Calabria ha
accertato l'esistenza 
di un 
brutto affare collegato allo scarico dei rifiuti in
Somalia", si legge, 
"proprio dove la giornalista Ilaria Alpi si era recata
per cercare la 
verità 
che altri hanno insabbiato, uccidendola per la seconda
volta. La 
'cosa'", 
continua Gangemi, "girava sotto gli occhi consapevoli
del governo 
somalo 
allora in carica, e a farla girare ci pensava il
faccendiere Giorgio 
Comerio, considerato nell'ambiente della raffinata
criminalità 
collegata ai 
servizi segreti e ai governi europei, e non solo
europei, la mente 
eccelsa a 
disposizione dei primi ministri che avessero avuto
interessi 
particolari nel 
traffico illecito (di rifiuti, ndr) a livello
interplanetario".

Parole spropositate? Calunnie? I carabinieri di Reggio
Calabria non la 
pensano così. Anzi, ribadiscono che "Comerio è al
centro (...) di 
un'organizzazione mondiale dedita allo smaltimento
illecito dei rifiuti 
radioattivi nell'ambito di uno scenario inquietante,
ove si muovono 
soggetti 
senza scrupoli, compresi uomini di governo di tutte le
latitudini che 
pur di 
trarne vantaggi economici non stanno esitando a
mettere in pericolo 
l'incolumità dell'intera popolazione mondiale". Uno
scenario da 
apocalisse 
che secondo gli inquirenti riguarda anche la Somalia,
dove stando alle 
informative pubblicate sul 'Dibattito' Comerio è
attivissimo. "Nella 
sua 
abitazione", spiegano gli investigatori, "è stata
sequestrata una 
cartella 
gialla, tra le altre, contraddistinta dal numero 31 ed
intestata alla 
'Somalia'. All'interno vi era custodita documentazione
inerente al 
progetto 
O.d.m. relativo ai siti marini somali. In particolare
le cartine 
indicano 
due ampie zone di mare, di cui una a nord e l'altra al
centro della 
suddetta 
nazione. La prima zona", riferiscono, "è indicata con
sei punti di 
affondamento", dei quali il primo è "leggermente a sud
rispetto allo 
specchio d'acqua antistante la città di Tohin".

La segnalazione è importante, perché si aggiunge alle
dichiarazioni 
fatte lo 
scorso novembre dal maresciallo dei carabinieri Nicolò
Moschitta alla 
Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti ("Comerio
era l'unico a 
inabissare lì rifiuti radioattivi") e coincide con
altre notizie 
raccolte 
dagli investigatori. C'è infatti agli atti un fax nel
quale Ali Islam 
Haji 
Yusuf, membro dell'Autorità del servizio mondiale per
i diritti umani 
di 
Bosaso, scrive al dipartimento del nord-est somalo
delle Nazioni Unite 
per 
denunciare che "al largo della città di Tohin, del
distretto di Alula, 
nella 
regione del Bari, due navi sconosciute stavano
effettuando 
un'operazione 
insolita, vale a dire che mentre una scavava sui
fondali del mare, 
l'altra 
seppelliva in dette buche dei container dal contenuto
sconosciuto. Tale 
operazione", spiegano i carabinieri, "stava creando
tensione fra la 
popolazione locale, che è ostile al seppellimento in
mare di rifiuti 
tossici 
e radioattivi", e pertanto Haji Yusuf "chiedeva aiuto
per un intervento 
urgente (...)". Allo stato, concludono i carabinieri,
"non è dato 
sapere 
sull'evoluzione di tali vicende", mentre è a loro
avviso sicuro che il 
primo 
sito di affondamento indicato nella mappa di Comerio è
"in prossimità 
della 
zona segnalata lo scorso novembre da Haji Yusuf
(...)".

"Evidentemente", scrivono gli investigatori al
sostituto procuratore 
Neri, 
"Comerio è già operativo in dette acque". E per
cancellare eventuali 
dubbi 
aggiungono: "Non deve meravigliare il fatto che al
posto dei 
penetratori il 
Comerio stia utilizzando le trivelle, in quanto
quest'ultima soluzione 
è 
stata sempre l'alternativa alla prima nell'ambito del
progetto O.d.m.". 
Una 
tesi supportata dalla documentazione che i magistrati
hanno trovato 
nella 
cartella 'Somalia' in casa di Comerio. Un fitto
incrocio di 
comunicazioni 
fra Comerio stesso e le autorità somale che lascia
sbalorditi. "Nella 
suddetta vicenda", documentano gli investigatori,
"assume rilievo la 
posizione del mediatore Pietro Pagliariccio, alias
Giampiero, il quale 
è 
stato denunciato alla S. V. in concorso col Comerio ed
altri per 
smaltimento 
illecito di sostanze radioattive (...)". A lui, si
legge 
nell'informativa, 
Comerio scrive il 22 settembre 1994 una lettera su
carta intestata 
O.d.m. 
con cui "lo informa che la sua società è disponibile a
pagare 10 mila 
marchi 
tedeschi ad ogni lancio (di missili-penetratori, ndr)
quale importo 
extra" 
rispetto "alle condizioni finanziarie indicate nel
contratto per i 
dispositivi nel nord della Somalia, che è di 10 mila
marchi tedeschi 
per 
ogni penetratore sull'importo complessivo di 5 milioni
di marchi 
l'anno. Il 
Comerio", continuano i carabinieri, "precisava che il
pagamento extra 
sarebbe avvenuto a fronte del rilascio della licenza
da parte del 
presidente 
ad interim Ali Mahdi Mohamed. I pagamenti dovevano
avvenire attraverso 
una 
banca non indicata, presso cui la società avrebbe
costituito un 
deposito di 
500 mila marchi valido per un anno, dal quale verranno
pagati 10 mila 
marchi 
già previsti per ogni penetratore entro i dieci giorni
successivi alla 
posa 
in opera".

Non sono millanterie, si convincono gli investigatori,
bensì le 
dettagliate 
note di un progetto a breve termine. Un accordo verso
cui lo stesso 
presidente ad interim Ali Mahdi mostra grande
attenzione. Come dimostra 
il 
fax in lingua inglese che il 17 giugno 1994 invia su
carta intestata 
della 
Repubblica somala al segretario e ministro
plenipotenziario Abdullahi 
Ahmed 
Afrah. All'interno, spiegano i carabinieri, "il
presidente gli comunica 
la 
titolarità della gestione degli accordi con la O.d.m.,
la cui validità 
sarà 
però sempre soggetta a ratifica da parte del governo o
del presidente 
stesso". Da quel momento, si legge nell'informativa,
partirà un lavorìo 
di 
fax e incontri, proposte e iniziative. Fino
all'accordo conclusivo e il 
passaggio alla fase due: quella operativa.

È di tutta questa rete di traffici che molto
probabilmente Ilaria Alpi 
era 
venuta a conoscenza nei primi mesi del 1994. Aveva
scoperto la 
gigantesca 
macchina internazionale che scaricava rifiuti tossici
in Africa, 
l'intreccio 
con la spirale delle armi, i segreti più occulti
protetti dalla 
generica 
facciata della Cooperazione. Non per niente, scrive
Francesco Gangemi, 
"il 
fascicolo 18 con gli atti relativi alla Somalia" della
magistratura di 
Reggio Calabria "contiene pure il certificato di morte
della Alpi". E 
non 
per niente Fadouma Mohamed Mamud, figlia dell'ex
sindaco di Mogadiscio, 
dichiara a verbale il 16 giugno 1999: "Ilaria mi aveva
dichiarato che 
seguiva una certa pista, una pista abbastanza
pericolosa (...) di cui 
non 
dovevo parlare con nessuno (...). Si interessava a
certe cose orrende 
che 
venivano fatte sulle coste della Somalia, che venivano
scaricate sulle 
nostre coste, sul mare dei rifiuti tossici". Elementi
che fanno 
ripensare 
agli strani fatti avvenuti dopo l'omicidio: la
sparizione degli appunti 
(quando le borse della giornalista arrivano in Italia,
all'appello 
mancano 
tre block notes), la sottrazione di fogli con numeri
telefonici, nonché 
le 
modalità dell'uccisione: a freddo, con un colpo solo,
come 
un'esecuzione. 
Tutte ragioni per cui la Commissione parlamentare
presieduta 
dall'onorevole 
Carlo Taormina dovrebbe ora investigare sul complesso
intreccio di 
attività 
coordinato da Giorgio Comerio, oltre a seguire le
tracce di Al Qaeda. 
Anche 
perché i genitori di Ilaria Alpi, a fianco della pista
Bin Laden, 
vorrebbero 
saperne di più sul faccendiere lombardo, del quale non
ricordano di 
avere 
sentito il nome durante le indagini sull'omicidio
della figlia. E lo 
stesso 
vale per il loro avvocato, che non era finora a
conoscenza dei punti di 
contatto tra la clamorosa inchiesta di Reggio Calabria
e il capitolo 
somalo.

Eppure i motivi di interesse sono evidenti, e le
coincidenze pure. Gli 
stessi carabinieri, in un'informativa del 25 maggio
1995 sui traffici 
radioattivi scrivono che Comerio "sembra essere, man
mano che le 
indagini 
vengono approfondite, il deus ex machina di tutte le
vicende in esame 
che 
interessano tutti i territori internazionali". E non è
un'esagerazione. 
Da 
un'informativa datata 25 maggio 1995, firmata dal
comandante del nucleo 
operativo dei carabinieri di Reggio Calabria Ivano
Tore, emergono altri 
retroscena della O.d.m. connection, stavolta sul
fronte internazionale 
delle 
armi ma sempre con un capitolo somalo. Il che conferma
quanto 
dichiarato 
anche in questo senso dal maresciallo Moschitta alla
Commissione sul 
ciclo 
dei rifiuti. "Interessanti", scrive Tore, "sono gli
appunti manoscritti 
rinvenuti nell'abitazione di Gabriele Molaschi (socio
di Giorgio 
Comerio 
nella O.d.m., ndr), sui quali vi sono annotazioni
sulle armi da 
fornire, e 
più precisamente carri armati Leopard, autoblindo,
mitragliatrici 
'Breda', 
elicotteri, Mig, artiglieria pesante e leggera. In
questo contesto si 
inseriscono alla perfezione i suoi continui contatti
con Mosca (...), 
così 
come sono importanti quelli con Israele ed in
particolare con tale 
Sammy 
Elrom della Spectronix Ltd., con fabbrica in Sderot e
uffici vendita a 
Tel 
Aviv. Tale agenzia, operante nel settore strategico
militare, ha 
avviato via 
fax una trattativa per acquisire sistemi di protezione
da attacchi 
aerei e 
terrestri da installare in autoblindo, facendo
riferimento ai sistemi 
montati sui mezzi militari italiani in Somalia (...).
In merito a ciò", 
continua Tore, "si segnala la corrispondenza tra il
Molaschi e la 
società 
israeliana, poiché potrebbe interessare l'incolumità
della sicurezza 
nazionale dello stato italiano". E come se non
bastasse, sottolinea 
l'esistenza di una "corrispondenza in inglese tra il
Molaschi e la 
suddetta 
ditta per la vendita di 2 milioni di cartucce per
fucili kalashnikov".

Sarebbe interessante, a questo punto, sapere che fine
abbiano fatto 
tutte 
queste storie, tutti questi personaggi. Sarebbe anche
importante capire 
perché, nel settembre 1999, il direttore del
'Dibattito' di Reggio 
Calabria 
abbia deciso di pubblicare atti coperti dal segreto
più assoluto. 
Certa, al 
momento, è solo la risposta che i massimi vertici
della Procura di 
Reggio 
Calabria hanno dato a 'L'espresso', interessato a
consultare i faldoni 
della 
vicenda: "Non è possibile. L'inchiesta al momento è
ferma, ma potrebbe 
prima 
o poi ripartire; dunque, vista l'enorme delicatezza
della questione, il 
divieto è assoluto".
Se davvero l'indagine ripartisse, se si chiarissero i
legami tra i 
mercanti 
di rifiuti radioattivi, la politica e l'omicidio
Ilaria Alpi, sarebbe 
comunque una risposta positiva.

Dieci anni di risposte mancate
Nel novembre 1999 il mensile di Reggio Calabria 'Il
dibattito' pubblica 
un'informativa firmata da Ivano Tore, comandante del
nucleo operativo 
dei 
carabinieri di Reggio Calabria. All'interno si parla
del ruolo che 
Giorgio 
Comerio e i suoi soci nell'O.d.m. (Oceanic disposal
management) 
avrebbero 
ricoperto nel traffico dei rifiuti tossici e delle
armi. Si racconta, 
ad 
esempio, di come Gabriele Molaschi avesse intavolato
una trattativa per 
"l'armamento e l'equipaggiamento di 100 mila uomini di
alcuni paesi 
africani". Si riporta inoltre un fax che Giorgio
Comerio invia allo 
stesso 
Molaschi il 30 dicembre 1994 nel quale si conferma
l'individuazione di 
un 
sito africano per lo smaltimento dei rifiuti
radioattivi (il testo è: 
"Auguri. Buon 1995. Sito localizzato. Firma accordi
dal 5 al 10 gennaio 
a 
San Biagio (comune di Garlasco, ndr) ratificata fra il
15 e il 20 
gennaio in 
Africa (.). Contratti con clienti negoziabili dal 1
febbraio. Saluti"). 
Ma 
soprattutto il comandante Tore riferisce che "le carte
dei Molaschi 
aprono, 
o confermano, altri scenari interessanti quali, per
esempio, i depositi 
abusivi in Italia di rifiuti radioattivi, sui quali
sono in corso altre 
indagini della procura presso la pretura circondariale
di Matera 
collegate 
con le presenti".

"C'è un documento", continua Tore, "che in sostanza è
un appunto 
manoscritto 
datato 24 aprile 1994 e fa riferimento alla società
Nucleco, costituita 
da 
Agip e dall'Enea per lo smaltimento dei rifiuti
radioattivi, che 
avrebbe del 
materiale accumulato in magazzino. Evidentemente si
riferisce al fatto 
che 
detta società ha problemi di smaltimento di rifiuti
radioattivi e ciò 
interessa l'organizzazione del Comerio. Tale assunto
trova conferma in 
uno 
scambio epistolare tra la Nucleco e la O.d.m.. In una
di queste 
lettere, 
datata 20 dicembre 1993, la Nucleco in risposta a un
fax del 23 agosto 
1993 
della O.d.m. trasmette i propri dépliant illustrativi
sul tipo di 
attività 
che svolge. Appare evidente", conclude il comandante,
"che alla O.d.m. 
serviva la struttura della Nuncleco per coinvolgerla
nello smaltimento 
a 
mare dei rifiuti radioattivi". Significativo è che,
verso la fine 
dell'informativa, Tore scriva: "Alla data odierna
(siamo nel '95, ndr) 
non 
si è a conoscenza dell'esito dei contatti". E oggi?

Un punto per la Procura
Più volte 'L'espresso' ha riferito le difficoltà che
sta affrontando la 
Procura di Paola. Dal 2003 ha riaperto l'indagine già
archiviata sullo 
spiaggiamento della motonave Rosso, arenatasi in
provincia di Cosenza 
il 14 
dicembre 1990. Il sospetto, dicono gli investigatori,
è che tale 
spiaggiamento sia stato il frutto di un affondamento
doloso non 
riuscito, e 
che la nave dovesse affondare con a bordo un carico di
scorie nocive o 
addirittura radioattive.

Il sostituto procuratore Francesco Greco sta dunque
lavorando su due 
fronti, 
quello dell'ipotetico affondamento volontario e quello
del successivo 
smaltimento illegale di rifiuti nocivi. Ma a un certo
punto, mentre 
l'inchiesta stava entrando nella sua fase più
delicata, il super 
esperto del 
caso, Emilio Osso, vigile urbano prestato in pianta
stabile alla 
Procura dal 
Comune di Amantea, è stato richiamato in sede, con
evidente danno per 
le 
indagini.

Sono seguite dure polemiche e la denuncia pubblica
dell'incomprensibile 
spostamento da parte de 'L'espresso'. Un pressing che
ha dato 
evidentemente 
i suoi frutti. Dopo un faccia a faccia tra il
sostituto Greco e Franco 
La 
Rupa, sindaco di Amantea, il 10 gennaio Emilio Osso è
infatti tornato 
al suo 
posto: in Procura.



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- Parlo da utopista, lo so. Ma o essere utopisti o
sparire - P.P. 
Pasolini
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