Luci e ombre della Commissione URANIO IMPOVERITO Esclusi i poligoni dall'inchiesta



 idem


L'indagine del Senato è importante, ma non è una vittoria
 ROMA. Ha ragione chi invita alla prudenza. L'istituzione della commissione
parlamentare d'inchiesta sugli effetti dell'uranio impoverito non è una
vittoria politica. E' certo un momento importante, perché certifica l'
esistenza di un problema finora negato con sospetta ostinazione, ma non è un
traguardo, un punto d'arrivo. E' invece la speranza che si sia arrivati a un
punto di partenza. Sembra infatti soprattutto una manifestazione di
sensibilità parlamentare che ha sicuramente un peso e una sua importanza
intrinseca, ma che non deve creare facili illusioni.
 Primo ragionamento: le commissioni parlamentari d'inchiesta nel nostro
Paese hanno una storia e una tradizione per molti versi deludente. Sono
infatti arrivate qualche volta a un passo dalla verità, ma poi non sono
riuscite a coaugulare il lavoro di indagine e di accertamento in un'opzione
politica concreta. Prendiamo la Commissione sulla P2, presieduta da Tina
Anselmi. Penetrò in un mondo di segreti inconfessabili e di inquinamento
delle istituzioni. Perfino di destabilizzazione democratica. Nella relazione
di maggioranza la P2 venne definita «una società eversiva» e la legge
Spadolini la cancellò.
 Perfino la massoneria la condannò nel processo al quale parteciparono due
sardi: Armandino Corona come presidente del tribunale della fratellanza del
Grande Oriente d'Italia e Mario Giglio come grande accusatore. Senza parlare
poi dell'inquietante presenza della Loggia del sulfureo Licio Gelli nel caso
Moro.
 Eppure, dopo molti anni, giudici di merito arrivarono all'assoluzione dei
piduisti che ottennero così una riabilitazione giudiziaria se non morale. La
Commissione Anselmi scoprì uno spaventoso verminaio che apriva scenari
internazionali, si spinse fino al confine del giudizio gravissimo dell'
eversione. E oggi cosa resta di tutto quel lavoro? Poco o nulla, se è vero
che esponenti della P2 fanno parte addirittura del governo.
 E che dire della Commissione Stragi? Ha aperto il vaso di Pandora dove
erano nascoste verità melmose e ha intuito intrecci tra pezzi dello Stato ed
eversione, uniti nel disegno perverso della destabilizzazione
destabilizzante. Risultato? Sulle stragi la verità è lontana. Il problema
vero è quindi che lo strumento della Commissione d'inchiesta paga il prezzo
ineluttabile delle appartenenze e delle culture politiche di chi ne fa
parte. Si porta insomma dietro i difetti del sistema, le censure, i blocchi
e i veleni. Apre importanti finestre di conoscenza, ma difficilmente offre
verità.
 La Commissione d'inchiesta del Senato ha poi un altro limite, che è stato
messo in evidenza l'altro ieri. Da uomini esperti e autorevoli come l'ex
presidente della Commissione Difesa della Camera Falco Accame, che ha
contestato il campo d'indagine troppo ridotto. Si indagherà infatti solo sui
militari e solo tra quelli che sono stati inviati in missione in Bosnia e
nel Kosovo. Sono perciò escluse esperienze come l'Iraq, la Somalia e la
Macedonia. Eppure la storia drammatica i questi anni ci ha detto che sono
molti i militari ammalatisi dopo avere partecipato a quelle operazioni che,
con un termine tecnico-militare oggi molto in voga, vengono chiamate di
"peace-keeping". E i civili? Come dice giustamente il parlamentare della
Margherita Tonino Loddo vengono escluse le indagini sui poligoni italiani.
Soprattutto quelli sardi. Oggi sono infatti una tragedia politica e sociale
le decine di malati e di morti tra coloro che vivono vicino alle aree dove
si svolgono le esercitazioni e dove vengono sperimentate e testate nuove
armi. E poi, tutti tristemente si dimenticano colpevolmente di quei bambini
nati con gravi deformità.
 Ma a far riflettere è soprattutto l'appello disperato del maresciallo Marco
Diana, reduce della Somalia e consumato da un tumore. Diana, al quale lo
Stato che ha servito non riconosce i diritti, parla con la dolorosa
esperienza di chi in quell'inferno c'è passato e ora ne paga le conseguenze:
«Non ci sia solo l'uranio impoverito, il "metallo del disonore", nel mirino
della Commissione parlamentare d'inchiesta. La Commissione deve indagare su
tutte le sostanze mutagene e cancerogene e non deve essere dirottata
politicamente soltanto sul discorso uranio impoverito. Se faranno così, si
concluderà tutto con un nulla di fatto e con lo spreco di altre vagonate di
euro. Denaro che non si trova, invece, per curare chi si è ammalato al
servizio dello Stato».
 Il problema, quello vero, è dunque in un sistema di mancate tutele, di
scarsa considerazione per la salute dei militari e dei civili. Uranio
impoverito, certo. Ma anche benzene, emissioni radio, bombardamenti
elettromagnetici, esplosivi che producono ossidazioni che si trasformano poi
in particelle di metalli pesanti che infine peetrano nell'organismo.
Avvelenandolo.
 Ha ragione Diana: se si vuole fare testimonianza di verità occorre un
grande atto di umiltà da parte di un potere sempre blindato dall'impunità,
che accetterebbe così di mettersi in discussione. E, in questa inchiesta
parlamentare, accettare il contributo dei malati, delle associazioni e degli
scienziati indipendenti. Di chi, in fondo, ha il reale interesse a sapere e
che, magari, sa davvero.
p.m.

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