ancora dalla maddalena



DEIANA e GIORDANO (PRC): LA MADDALENA, PER QUALE URGENZA MINISTERO HA AUTORIZZATO
AVVIO DEI LAVORI? 



?In base a quali valutazioni di urgenza avanzate dalla U.S. Navy e dal Pentagono,
il Ministero della difesa ha acconsentito all?avvio dei lavori per la trasformazione
del punto di approdo dell?isolotto di S.Stefano in vero e proprio insediamento
americano sul territorio italiano, nonostante l?esistenza di una chiara
opposizione da parte delle popolazioni locali e la conferma dei numerosi
e gravi problemi relativi alla salute, alla sicurezza e alla tutela ambientale
commessi alla presenza della base? Perché il Governo continua a non chiarire
quale sia l?entità dei lavori di ampliamento del punto d?appoggio della
U.S. Navy nell?isolotto di Santo Stefano, quale la reale portata della riorganizzazione
della presenza americana sottesa dentro tale ampliamento? In base a quali
considerazioni politiche e valutazioni strategiche relative alla difesa
nazionale il Governo ha ritenuto legittimo interpretare il Memorandum del
72 nel senso di concedere un?espansione della presenza americana a La Maddalena
e per quale motivo tale scelta non è diventata materia di discussione e
decisione in sede parlamentare? ? sono le domande poste da Elettra Deiana,
capogruppo di Rifondazione Comunista in Commissione Difesa alla Camera,
e Franco Giordano, presidente del gruppo, in una interpellanza urgente al
Presidente del Consiglio ed al Ministro della difesa in merito all?ampliamento
del sito statunitense nell?arcipelago de La Maddalena - Da notizie di stampa
(L?Unità 13/09/2004) si apprende che i lavori inizieranno il 15 settembre,
come confermato da un ordine del giorno trasmesso agli uffici della Naval
Support Activity da parte di una commissione tecnica militare. I lavori
di ampliamento dell?attuale punto di approdo per una Nave appoggio della
U.S. Navy per sommergibili di attacco, relativo ad una modifica apportata
nel 1972 all'accordo fra l?Italia e gli Stati Uniti del 1954, riferito ad
infrastrutture bilaterali, fa di questa area nucleare statunitense sul territorio
nazionale una struttura anomala, avulsa da qualsiasi contesto di compartecipazione
di interesse bilaterale, in cui tutti gli elementi di sicurezza ecologico
sanitaria, i rapporti istituzionali, le regole urbanistiche, la compatibilità
con il Parco Nazionale Arcipelago, restano in secondo piano rispetto alla
priorità della U.S. Navy. L'onorevole Martino con una nota ministeriale
ha deciso di avallare il Progetto statunitense di «Migliorie infrastrutturali»
che era stato respinto dal Comitato Paritetico Regionale sulle Servitù Militari
(Co.Mi.Pa.). In questo modo ? proseguono i parlamentari - il progetto della
U.S. Navy, sommario ma molto esplicito, che trasforma il punto d'approdo
in una nuova ed effettiva base nucleare statunitense, viene presentato come
un mero rifacimento e ammodernamento delle strutture esistenti. La decisione
del Ministro è stata avversata nelle sedi istituzionali, sia dalla Giunta
della regione Sardegna che dal sindaco de La Maddalena, oltre che da comitati
e dai cittadini, sempre più allarmati dal fatto che nei territori che ospitano
gli insediamenti militari dell?intera Sardegna si registra, da tempo, un'elevata
incidenza di tumori tra la popolazione, in una percentuale che va decisamente
oltre la norma statistica, il 200 per cento in più della media nazionale.
In un assetto del territorio così strettamente connesso alla funzione e
funzionalità militare ? concludono Deiana e Giordano - l?ampliamento del
sito americano nell?isolotto di S. Stefano avrebbe ulteriori ricadute negative
sulla vita della popolazione in termini di sicurezza della vita e salvaguardia
della salute, oltre che per gli equilibri ambientali.? 

Loredana 
www.giustiziaquotidiana.net



la nuova sardegna  del 17\09\2004

Radioattività nell?arcipelago Sottomarini nucleari sotto accusa  
  
  
  
Un?indagine di Legambiente apre nuovi interrogativi sulla base militare
americana  
  
GIOVANNI VALENTINI  

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 ROMA. La prima scoperta riguarda la presenza di plutonio. Tracce di radioattività
sono state rilevate in una doppia indagine - coordinata da Legambiente e
condotta da un gruppo di esperti italiani e stranieri - nell?arcipelago
della Maddalena, intorno alla base navale americana dell?isola di Santo
Stefano che ospita i sommergibili atomici. Questa presenza è artificiale,
cioè deriva certamente da attività umane e si può attribuire con ogni probabilità
all?insediamento militare Usa. Per il momento, non sono in pericolo né la
salute degli abitanti né la balneazione.
 Ma oltre al plutonio, rilevato in quantità relativamente basse e comunque
al di sotto dei livelli di sicurezza fissati dall?Euratom, ad allarmare
i tecnici sono soprattutto gli hot spots (letteralmente, punti caldi), rintracciati
sui campioni di alghe: si tratta di frammenti di ?carburante? nucleare,
già irradiato e disperso nell?ambiente esterno, che potrebbero innescare
gravi problemi di mutazioni genetiche a partire dai primi anelli della catena
alimentare, causando danni irreparabili all?ecosistema della zona. L?ipotesi
considerata più verosimile è che questi radionuclidi derivino da minuscole
perdite accidentali dai reattori dei sottomarini atomici in transito oppure
nel corso del loro rifornimento dalla nave-madre, durante la delicatissima
operazione di ?ricarica? per sostituire il combustibile nucleare.
 Legambiente ritiene perciò «assolutamente necessario che le acque, la flora
e la fauna dell?arcipelago della Maddalena vengano sottoposte a un programma
straordinario di monitoraggio continuo, per verificare gli effetti dalla
presenza di questo tipo di radioattività, utilizzando tecniche analitiche
adeguate».
 Aggiunge il presidente dell?associazione, Roberto Della Seta: «Sarebbe
altrettanto necessario prevedere anche un?indagine epidemiologica sugli
abitanti dell?arcipelago e avviare un serio programma di dismissione della
base nucleare Usa. C?è infatti una assoluta incompatibilità tra una tale
struttura militare e un?area delicata e ad alta vocazione turistica come
questa».
 Qualche mese dopo l?incidente del 25 ottobre 2003, quando il sottomarino
a propulsione nucleare ?Hartford? urtò violentemente contro gli scogli della
Secca dei Monaci, gli accertamenti eseguiti dalle strutture di controllo
del nostro Paese e da alcune organizzazioni indipendenti esclusero - come
si ricorderà - una contaminazione radioattiva. La società francese CRIIRAD,
tuttavia, rintracciò in almeno due campioni di alghe la presenza di quantità
anomale di torio 234: questo è, per così dire, il ?primogenito? del decadimento
dell?uranio 238, una sostanza che emette raggi alfa e ha un tempo di dimezzamento
di oltre quattro miliardi di anni, mentre il torio decade rapidamente, si
dimezza in 24 giorni ed emette raggi gamma.
 Non furono rilevate tracce di radionuclidi artificiali che si dovrebbero
rinvenire in seguito a perdite da un reattore nucleare danneggiato. E perciò,
la conclusione fu che l?incidente del sottomarino non aveva causato alcuna
contaminazione radioattiva. Restava da spiegare, tuttavia, la presenza di
alte concentrazioni di torio senza il ?genitore? uranio.
 In tutte le indagini compiute nell?arcipelago della Maddalena, non è stata
mai considerata né verificata però la presenza dell?elemento più pericoloso
che si possa trovare in un reattore nucleare, nel combustibile e nelle scorie:
il plutonio 239, un sottoprodotto che si forma nel bombardamento dell?uranio
durante la generazione d?energia in un reattore nucleare o nell?esplosione
di una bomba atomica. La sua presenza è considerata una prova certa della
contaminazione prodotta da attività umane. Ma di solito non viene rilevata
nelle analisi di ?routine? perché il plutonio emette solamente raggi alfa
a bassa energia durante il suo decadimento, senza emissione di raggi gamma.
La maggior parte dei laboratori, invece, sono attrezzati soltanto per lo
studio di raggi gamma o comunque dispongono di strumentazioni limitate.
 Con la collaborazione del Dipartimento di Scienze Ambientali Marine dell?Università
della Tuscia e in particolare del professor Fabrizio Aumento, geologo marino,
Legambiente ha risolto il problema ricorrendo al metodo dell?autoradiografia.
Con questa tecnica, i campioni vengono messi a diretto contatto con pellicole
sensibili solo ai raggi alfa di una particolare energia e per determinati
periodi di tempo.
 Il programma predisposto dall?Università della Tuscia e dal responsabile
scientifico di Legambiente, la biologa Lucia Venturi, ha prelevato campioni
nell?area della Maddalena, di Santo Stefano e di Palau in due diverse fasi.
La prima tra il 20 e il 22 febbraio, la seconda tra il 5 e l?8 maggio 2004.
In totale sono stati raccolti più di 150 campioni tra alghe, sedimenti,
graniti, ricci di mare, lumache marine, patelle, seppie e meduse in 37 diverse
postazioni nell?area della Maddalena. Per un test di confronto, sono state
poi raccolte alghe a Civitavecchia, ad Ansedonia, all?isola del Giglio,
a Monte Argentario e nel Mar Baltico (Helsinki).
 Nei 14 campioni prelevati tra Lazio e Toscana non sono state trovate concentrazioni
di tracce alfa al di sopra dei livelli di fondo. Dagli altri 127 raccolti
lungo le coste della Maddalena, di Caprera e Palau (e dal Mar Baltico) sono
emersi due tipi di distribuzione delle tracce. Tutti i campioni hanno rivelato
tracce alfa distribuite uniformemente sulle intere superfici esaminate,
con concentrazioni varianti da 0 a 50 tracce (media di 8) a centimetro quadrato
per ogni giorno di esposizione. In 29 campioni (il 23%) sono risultate concentrazioni
di tracce a forma di stella che contengono da 10 a più di 500 tracce individuali.
 La loro distribuzione e quella degli ?hot spots? mostra forti concentrazioni
lungo tutta la costa esaminata: dal Nido d?Aquila alla Maddalena, inclusa
Punta Nera, Cala Chiesa, Cala Camiciotto, Cala Stagnali, Punta Coda e Porto
Palma. I picchi massimi si trovano lungo le coste settentrionali e orientali
della rada di Santo Stefano, tutti siti che si affacciano sulla base dei
sommergibili nucleari nell?isola di Santo Stefano. Le alghe raccolte nei
dintorni di Palau, invece, sono praticamente prive di tracce alfa.
 Da dove provengono, allora, questi radionuclidi trans-uranici? Non sono
prodotti da decadimenti naturali, ma provocati dal bombardamento di atomi
di uranio 238 con neutroni, cioè in processi che avvengono nella propulsione
nucleare, nelle esplosioni atomiche o nei disastri nelle centrali.
 Nel caso della Maddalena, la loro presenza non si può spiegare con residui
di inquinamento ambientale, come accade negli incidenti o negli esperimenti
nucleari. I consulenti di Legambiente ritengono molto più plausibile un?origine
locale, vista anche la distribuzione delle concentrazioni di tracce alfa
lungo le coste dell?Arcipelago. Da qui, prende corpo l?ipotesi che provengano
da perdite accidentali di minuscole quantità di radionuclidi dai reattori
dei sommergibili atomici in transito o durante il loro rifornimento dalla
nave-madre, quando si effettua anche la delicatissima operazione di ?ricarica?
del combustibile nucleare. E naturalmente, insieme alle ipotesi, sono destinate
a riprendere corpo anche le polemiche sulla base nucleare americana di Santo
Stefano.
 
 
Possibili contaminazioni nella catena alimentare»  
  
  
  
  
 

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 ROMA. Fabrizio Aumento, romano, 64 anni, docente di Geologia marina all?Università
della Tuscia di Viterbo, è tornato in patria dopo aver lavorato vent?anni
in Canada e altrettanti nel resto del mondo. Per conto di Legambiente, ha
diretto e curato l?indagine sull?inquinamento radioattivo nelle acque dell?arcipelago
della Maddalena, insieme a un gruppo di colleghi italiani e stranieri. E
ne spiega qui i risultati, nel modo più semplice e comprensibile possibile.
 - Professor Aumento, nel caso della Maddalena si può parlare correttamente
di un rischio di ?contaminazione radioattiva??
 «Preferisco dire che esistono tracce di radioattività. La nostra indagine
le ha rilevate scientificamente sui campioni di alghe prelevati nell?arcipelago,
in particolare intorno all?isola di Santo Stefano. Al momento, non c?è pericolo
per la salute umana. Ma la situazione è seria e va monitorata adeguatamente».
 - Che cosa significa, come si legge nella vostra relazione, che ?esistono
gravi problemi di mutazioni genetiche, a partire dalla catena alimentare??
In concreto, che cosa può accadere?
 «Nel tempo, può accadere che la contaminazione passi dalle alghe ai molluschi,
quindi dai pesci più piccoli a quelli più grandi, fino a diventare - mettiamo,
nel salmone - più alta del limite tollerabile. A quel punto, c?è il rischio
che venga assorbita dall?uomo e provochi danni o comunque serie conseguenze
alla salute».
 - Riprendendo il suo esempio, quali sarebbero gli effetti del ?salmone
radioattivo??
 «È difficile rispondere in astratto. Diciamo che il corpo umano ingurgita
un?ulteriore dose di radioattività ed è senz?altro opportuno evitarlo. Ricordate
il caso del pesce al mercurio in Giappone? Si scoprì che era molto pericoloso
e i giapponesi ne ridussero drasticamente il consumo. Il pesce radioattivo
fa ancora più male».
 - Finora, però, alla Maddalena voi avete trovate soltanto piccole tracce
di radioattività.
 «Sì, è così. Si tratta di punti, di minuscole particelle. Ma è materiale
altamente radioattivo. E in base alle sue caratteristiche fisiche, non può
essere prodotto né da esperimenti né da incidenti nucleari. Non a caso non
l?abbiamo rilevato nei campioni raccolti sulle coste di Palau o del Tirreno».
 - E allora, da dove può provenire?
 «È presumibile che, com?è già accaduto in Gran Bretagna o in Spagna, provenga
da minime perdite di carburante dei sommergibili nucleari. O magari, dalla
ricarica dei cilindri di materiale radioattivo. Queste sono le ipotesi più
verosimili».
 - Qual è, secondo lei, il programma di prevenzione più efficace da adottare?
 «Bisogna monitorare periodicamente la situazione con tecniche adeguate,
come quelle che abbiamo adottato nel nostro piccolo utilizzando l?autoradiografia.
Con la collaborazione (gratuita) di colleghi e amici stranieri, siamo riusciti
ad analizzare anche due o tre campioni al giorno. Certo, se l?Enea impiega
un mese per fare un?analisi...Basterebbe che loro, con i loro mezzi e con
la loro esperienza, ne verificassero una su cento delle nostre».
 - Professor Aumento, tornando in Italia dopo quarant?anni di lavoro all?estero,
ritiene che nel nostro Paese si possa fare seriamente la ricerca scientifica?
 «Si potrebbe anche fare. Ma esistono troppi controlli, troppi istituti
superiori, troppa burocrazia. Prima di cominciare questa indagine sull?arcipelago
della Maddalena, scrissi una lettera all?Enea per chiedere un aiuto.
 Mi risposero con una letterina molto gentile per dirmi che un ente pubblico
non può aiutare gli esterni». (g. v.)
 
 Coinvolti esperti da tutto il mondo  
  
  
  
  
 

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 ALL?indagine di Legambiente sull?arcipelago della Maddalena, diretta dal
professor Fabrizio Aumento, hanno partecipato anche i seguenti studiosi
italiani e stranieri: Robert L. Fleischer (il ?padre? degli studi sulle
tracce nucleari), Research Professor of Geology, Union College Schenectady,
New York; C. Jones, Professor of Nuclear Physics Union College Schenectady,
New York; Massimo Esposito, fisico nucleare c/o C.N.R. Enea, Bologna; Asuncion
Espinosa Canal, Directora Departamento de Impacto Ambiental de la Energia
Proteccion Radiologica del Publico y Medio Ambiental, Madrid. Hanno contribuito
inoltre Ellis Evans (Esperto Contaminazioni da Sellafield, Gran Bretagna;
Radiological Protection Licensing Board, Londra; Jean Andru, direttore Dosirad-Kodak
Pathè, Parigi.
 
 
Radioattività nell?arcipelago Sottomarini nucleari sotto accusa  
  
  
  
Un?indagine di Legambiente apre nuovi interrogativi sulla base militare
americana  
  
GIOVANNI VALENTINI  

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 ROMA. La prima scoperta riguarda la presenza di plutonio. Tracce di radioattività
sono state rilevate in una doppia indagine - coordinata da Legambiente e
condotta da un gruppo di esperti italiani e stranieri - nell?arcipelago
della Maddalena, intorno alla base navale americana dell?isola di Santo
Stefano che ospita i sommergibili atomici. Questa presenza è artificiale,
cioè deriva certamente da attività umane e si può attribuire con ogni probabilità
all?insediamento militare Usa. Per il momento, non sono in pericolo né la
salute degli abitanti né la balneazione.
 Ma oltre al plutonio, rilevato in quantità relativamente basse e comunque
al di sotto dei livelli di sicurezza fissati dall?Euratom, ad allarmare
i tecnici sono soprattutto gli hot spots (letteralmente, punti caldi), rintracciati
sui campioni di alghe: si tratta di frammenti di ?carburante? nucleare,
già irradiato e disperso nell?ambiente esterno, che potrebbero innescare
gravi problemi di mutazioni genetiche a partire dai primi anelli della catena
alimentare, causando danni irreparabili all?ecosistema della zona. L?ipotesi
considerata più verosimile è che questi radionuclidi derivino da minuscole
perdite accidentali dai reattori dei sottomarini atomici in transito oppure
nel corso del loro rifornimento dalla nave-madre, durante la delicatissima
operazione di ?ricarica? per sostituire il combustibile nucleare.
 Legambiente ritiene perciò «assolutamente necessario che le acque, la flora
e la fauna dell?arcipelago della Maddalena vengano sottoposte a un programma
straordinario di monitoraggio continuo, per verificare gli effetti dalla
presenza di questo tipo di radioattività, utilizzando tecniche analitiche
adeguate».
 Aggiunge il presidente dell?associazione, Roberto Della Seta: «Sarebbe
altrettanto necessario prevedere anche un?indagine epidemiologica sugli
abitanti dell?arcipelago e avviare un serio programma di dismissione della
base nucleare Usa. C?è infatti una assoluta incompatibilità tra una tale
struttura militare e un?area delicata e ad alta vocazione turistica come
questa».
 Qualche mese dopo l?incidente del 25 ottobre 2003, quando il sottomarino
a propulsione nucleare ?Hartford? urtò violentemente contro gli scogli della
Secca dei Monaci, gli accertamenti eseguiti dalle strutture di controllo
del nostro Paese e da alcune organizzazioni indipendenti esclusero - come
si ricorderà - una contaminazione radioattiva. La società francese CRIIRAD,
tuttavia, rintracciò in almeno due campioni di alghe la presenza di quantità
anomale di torio 234: questo è, per così dire, il ?primogenito? del decadimento
dell?uranio 238, una sostanza che emette raggi alfa e ha un tempo di dimezzamento
di oltre quattro miliardi di anni, mentre il torio decade rapidamente, si
dimezza in 24 giorni ed emette raggi gamma.
 Non furono rilevate tracce di radionuclidi artificiali che si dovrebbero
rinvenire in seguito a perdite da un reattore nucleare danneggiato. E perciò,
la conclusione fu che l?incidente del sottomarino non aveva causato alcuna
contaminazione radioattiva. Restava da spiegare, tuttavia, la presenza di
alte concentrazioni di torio senza il ?genitore? uranio.
 In tutte le indagini compiute nell?arcipelago della Maddalena, non è stata
mai considerata né verificata però la presenza dell?elemento più pericoloso
che si possa trovare in un reattore nucleare, nel combustibile e nelle scorie:
il plutonio 239, un sottoprodotto che si forma nel bombardamento dell?uranio
durante la generazione d?energia in un reattore nucleare o nell?esplosione
di una bomba atomica. La sua presenza è considerata una prova certa della
contaminazione prodotta da attività umane. Ma di solito non viene rilevata
nelle analisi di ?routine? perché il plutonio emette solamente raggi alfa
a bassa energia durante il suo decadimento, senza emissione di raggi gamma.
La maggior parte dei laboratori, invece, sono attrezzati soltanto per lo
studio di raggi gamma o comunque dispongono di strumentazioni limitate.
 Con la collaborazione del Dipartimento di Scienze Ambientali Marine dell?Università
della Tuscia e in particolare del professor Fabrizio Aumento, geologo marino,
Legambiente ha risolto il problema ricorrendo al metodo dell?autoradiografia.
Con questa tecnica, i campioni vengono messi a diretto contatto con pellicole
sensibili solo ai raggi alfa di una particolare energia e per determinati
periodi di tempo.
 Il programma predisposto dall?Università della Tuscia e dal responsabile
scientifico di Legambiente, la biologa Lucia Venturi, ha prelevato campioni
nell?area della Maddalena, di Santo Stefano e di Palau in due diverse fasi.
La prima tra il 20 e il 22 febbraio, la seconda tra il 5 e l?8 maggio 2004.
In totale sono stati raccolti più di 150 campioni tra alghe, sedimenti,
graniti, ricci di mare, lumache marine, patelle, seppie e meduse in 37 diverse
postazioni nell?area della Maddalena. Per un test di confronto, sono state
poi raccolte alghe a Civitavecchia, ad Ansedonia, all?isola del Giglio,
a Monte Argentario e nel Mar Baltico (Helsinki).
 Nei 14 campioni prelevati tra Lazio e Toscana non sono state trovate concentrazioni
di tracce alfa al di sopra dei livelli di fondo. Dagli altri 127 raccolti
lungo le coste della Maddalena, di Caprera e Palau (e dal Mar Baltico) sono
emersi due tipi di distribuzione delle tracce. Tutti i campioni hanno rivelato
tracce alfa distribuite uniformemente sulle intere superfici esaminate,
con concentrazioni varianti da 0 a 50 tracce (media di 8) a centimetro quadrato
per ogni giorno di esposizione. In 29 campioni (il 23%) sono risultate concentrazioni
di tracce a forma di stella che contengono da 10 a più di 500 tracce individuali.
 La loro distribuzione e quella degli ?hot spots? mostra forti concentrazioni
lungo tutta la costa esaminata: dal Nido d?Aquila alla Maddalena, inclusa
Punta Nera, Cala Chiesa, Cala Camiciotto, Cala Stagnali, Punta Coda e Porto
Palma. I picchi massimi si trovano lungo le coste settentrionali e orientali
della rada di Santo Stefano, tutti siti che si affacciano sulla base dei
sommergibili nucleari nell?isola di Santo Stefano. Le alghe raccolte nei
dintorni di Palau, invece, sono praticamente prive di tracce alfa.
 Da dove provengono, allora, questi radionuclidi trans-uranici? Non sono
prodotti da decadimenti naturali, ma provocati dal bombardamento di atomi
di uranio 238 con neutroni, cioè in processi che avvengono nella propulsione
nucleare, nelle esplosioni atomiche o nei disastri nelle centrali.
 Nel caso della Maddalena, la loro presenza non si può spiegare con residui
di inquinamento ambientale, come accade negli incidenti o negli esperimenti
nucleari. I consulenti di Legambiente ritengono molto più plausibile un?origine
locale, vista anche la distribuzione delle concentrazioni di tracce alfa
lungo le coste dell?Arcipelago. Da qui, prende corpo l?ipotesi che provengano
da perdite accidentali di minuscole quantità di radionuclidi dai reattori
dei sommergibili atomici in transito o durante il loro rifornimento dalla
nave-madre, quando si effettua anche la delicatissima operazione di ?ricarica?
del combustibile nucleare. E naturalmente, insieme alle ipotesi, sono destinate
a riprendere corpo anche le polemiche sulla base nucleare americana di Santo
Stefano.