Mondo: aumentano le spese militari e l'Italia ne approfitta



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Mondo: aumentano le spese militari e l'Italia ne approfitta

 14.06.2004 Aumentano le spese militari nel mondo che "rischiano di
 raggiungere livelli insostenibili" - nota l'ultimo Rapporto del Sipri - e
 toccano i 956 miliardi di dollari aumentando dell'11% nel 2003. Ad
 approfittare delle situazioni di tensione per piazzare le proprie armi vi è
 anche l'Italia che, tra l'altro, ne autorizza la vendita a India e Pakistan,
 unici due stati in conflitto denunciati dal Sipri. E ne approfittano pure le
 banche italiane, con Capitalia in testa. Ma anche Unicredit che mantiene uno
 share del 4,3%, denunciano i GAN del Trentino. Continua

Nigrizia , Stockholm International Peace Research Institute , Unimondo
lunedì, 14 giugno, 2004

Aumentano le spese militari nel mondo che "rischiano di raggiungere
 livelli insostenibili" - nota il Rapporto 2004 del Sipri, l'Istituto
 internazionale di Stoccolma per la ricerca sulla pace, presentato nei giorni
 scorsi alla stampa. La spesa militare mondiale ha raggiunto i 956 miliardi
 di dollari aumentando dell'11% nel 2003, un incremento che si aggiunge al
 6,5% del 2002. Guidano la classifica gli Usa, con una spesa militare di
 quasi 450 miliardi di dollari che rappresenta il 47% del totale mondiale.
 Seguono quindi il Giappone (5%), Gran Bretagna, Francia e Cina ciascuno col
 4% del totale. Dei 19 conflitti armati in corso nel 2003 solo due sono tra
 stati: il primo tra Iraq e la Coalizione multinazionale guidata dagli Usa e
 la seconda tra India e Pakistan. Le guerre del 2003 infatti sono
 prevalentemente conflitti interni a un Paese, cioè entro confini nazionali:
 "Nella politica contemporanea - si legge nel rapporto - la fonte principale
 di conflitti armati di rilievo rimane interna. La persistenza di guerre
 interne e la loro resistenza a una rapida soluzione è ampiamente dimostrata
 nel 2003". Alla guerra in Iraq il rapporto riserva un ampio capitolo in cui
 il conflitto è definito "uno dei più controversi dei tempi moderni", sia per
 le sue premesse che per le sue conseguenze. Il rapporto del Sipri concede
 poi uno spazio particolare all'esame della posizione dell'Onu, affermando
 che "nonostante le ferite inflitte nel 2003 al concetto del primato delle
 Nazioni Unite nel mantenimento della pace e della sicurezza, l'Onu rimane
 grandemente in gioco per le operazioni di pace, e in particolare nel
 difficile campo della ricostruzione della pace dopo i conflitti". L'Onu,
 secondo il rapporto "ha ragione di invocare un ruolo e una responsabilità
 speciale nel definire i principi dell'intervento e del coordinamento degli
 sforzi internazionali per la pace. Così facendo, afferma un legittimo
 diritto a dire la sua sul modo in cui la pace viene fatta".

      Ad approfittare delle situazione di tensione per piazzare le proprie
 armi vi è l'Italia. Oltre alle autorizzazione del governo Berlusconi
 all'export di sistemi bellici verso la Cina nonostante la conferma
 dell'embargo da parte del Parlamento europeo - già ripetutamente segnalate
 dal nostro sito - va ricordata la vendita di armi italiane a India e
 Pakistan, gli unici due stati in stato di conflitto armato secondo il
 Rapporto Sipri. Secondo la relazione del governo italiano, invece "la
 diminuzione delle tensioni tra India e Pakistan è «un rilevante fattore di
 distensione» che permette «un sostanziale allentamento del rigoroso regime
 restrittivo adottato in passato» - nota Francesco Terreri su Nigrizia. In un
 dettagliato articolo sull'esportazione di armi italiane pubblicato nel
 numero di giugno della rivista comboniana, Terreri nota che "vendiamo
 apparati radaristici ed elettronici avanzati al Pakistan per 70 milioni e
 materiale all'India per 26 milioni". "Poche anche le cautele nelle vendite
 in Medio Oriente, nonostante la situazione nell'area si stia facendo
 esplosiva. In Arabia Saudita, l'Italia ha continuato a inviare componenti,
 per 91 milioni di euro, dei cacciabombardieri Tornado esportati fino al 1998
 dalla Gran Bretagna con il megacontratto "Al Yamamah" (La Colomba): 120
 aerei in cambio di 400 mila barili di petrolio al giorno. Sulla commessa c'è
 un'indagine in corso a Londra - sottolinea Terreri ricordando quando
 Unimondo aveva messo in evidenza nelle scorse settimane. Campagna di
 pressione alle banche armate: Lista delle banche armate


      L'analisi di Terreri mette in evidenza anche le operazioni bancarie
 collegate all'export di armi che lo scorso anno ammontavano a 722 milioni di
 euro, con un 40% di transazioni per contratti con paesi asiatici e il 16%
 con paesi del Medio Oriente. Dalla tabella sul sito della Campagna di
 pressione alle banche armate si aprende che chi beneficia maggiormente della
 crescita degli affari è il gruppo bancario Capitalia (Banca di Roma, Banco
 di Sicilia, Popolare di Brescia) che copre da solo il 31% degli importi
 autorizzati, oltre 224 milioni di euro. Capitalia segue, tra l'altro, molte
 delle esportazioni in Malaysia, in Cina e in Kuwait, oltre che in Gran
 Bretagna e Francia - ricorda Terreri. "Al secondo posto Banca Intesa (97
 milioni), banca d'appoggio, in particolare, per le forniture di
 munizionamento della Simmel Difesa agli Emirati Arabi Uniti. San Paolo-Imi e
 Bnl restano sempre sulla breccia, mentre cresce la presenza delle banche
 estere. Quest'anno è la volta di Société Générale, la storica banca francese
 che è impegnata con l'operazione dei siluri alla Malaysia, ma anche della
 tedesca Commerzbank, socia di Intesa e di Mediobanca, che segue esportazioni
 in Pakistan. E con Islamabad opera anche Banca Antonveneta, una delle
 piccole emergenti insieme alla Cassa di Risparmio di La Spezia, che dal
 canto suo spazia dalla Nigeria al Sultanato del Brunei. La Cassa spezzina
 era controllata da Banca Intesa, ma l'anno scorso è stata acquisita dalla
 Cassa di Risparmio di Firenze, che ha sua volta ha come soci e "partner
 strategici" San Paolo-Imi e l'altro colosso transalpino Bnp Paribas.

      Nella relazione del governo risulta ancora la presenza, tra le
 cosiddette "banche armate" anche Unicredit, che pure, a maggio del 2001,
 cedendo alle pressioni della "Campagna di pressione alle banche Armate"
 annunciò di non voler più sostenere le esportazioni di armi. L'ammontare
 totale di Unicredit per le autorizzazioni per esportazioni definitive è di
 4,32% sul totale che equivale a cira 32 milioni di euro. E proprio verso
 Unicredit si è diretta l'azione del GAN - Gruppo di Azione Nonviolenta - del
 Trentino che ha inteso richiamare il gruppo bancario ai suoi impegni.
 Unicredit in Trentino controlla, assieme ad altri gruppi, anche la gestione
 delle tesorerie della Provincia Autonoma di Trento e di diversi comuni. Tra
 le autorizzazioni ricevute da Unicredit e denunciate dai GAN vanno segnalate
 soprattutto quella verso lo Zambia di 2.700.000 di dollari con un compenso
 di intermediazione di quasi il 10%. Lo Zambia è il paese verso i quali la
 CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e lo Stato italiano hanno in atto
 procedimenti di annullamento di debito estero, con la condizione che non
 acquistino armi. Nella lista di Unicredit compaiono anche due autorizzazioni
 verso il Pakistan del valore di 5.488.000 euro e di 9.300.000 dollari, una
 verso la Malesia di 6.370.000 dollari, paese dove vi sono gravi violazioni
 dei diritti umani e sparizioni, due autorizzazioni verso Israele del valore
 di quasi 50.000 dollari e verso il Bangladesh con cui Unicredit ha ottenuto
 un autorizzazione di 301.000.000 di vecchie lire. [GB]