Usa e Israele, chi grida al lupo nucleare



il manifesto - 10 Settembre 2002

IL «RAPPORTO» DELL'IISS
Usa e Israele, chi grida al lupo nucleare
MANLIO DINUCCI

Con perfetto tempismo - ma nel giorno in cui il regime di Baghdad con manovra anch'essa tempista ha aperto alla stampa internazionale i siti nucleari per dimostrare che servono ad usi civili e industriali - è sceso in campo, a dar man forte a Bush, nientemeno che John Chipman, direttore del prestigioso Istituto internazionale di studi strategici (Iiss) di Londra: il 9 settembre, ha dichiarato alla Bbc che non solo l'Iraq possiede armi chimiche e biologiche ma che, «se Saddam riuscisse a ottenere dall'estero materiale fissile, rubandolo o acquistandolo, sarebbe in grado di mettere insieme un'arma nucleare molto rapidamente, nel giro di qualche mese». Poco importa che un rapporto, diffuso dallo stesso Iiss alla vigilia dell'incontro Bush-Blair, affermi che «non ci sono segni che Baghdad abbia la capacità di produrre materiale fissile o ne abbia acquistato dall'estero» e che, oltre a non avere armi nucleari, «probabilmente manca dei vettori per usare efficacemente le sue residue armi chimiche e biologiche in modo tale da provocare una massiccia perdita di vite umane» (Reuters, 9 settembre). L'importante è che l'allarme, amplificato dai media, sia risuonato in tutto il mondo, entrando nelle case attraverso giornali e telegiornali, per atterrire e convincere la gente che Saddam, il folle, sta preparando l'olocausto nucleare e va quindi fermato, finché siamo il tempo. A lanciare l'allarme è la maggiore potenza nucleare del mondo, il cui arsenale può cancellare dalla faccia della terra non una ma più volte non solo la specie umana ma ogni forma di vita. Le armi nucleari degli Stati uniti sono però le armi della lotta del bene contro il male.

Per questo l'amministrazione Bush, dopo aver firmato il 24 maggio lo «storico» Trattato di Mosca sulle «riduzioni strategiche offensive», ha fatto sapere che le 4.000 testate nucleari strategiche, che in base al trattato saranno tolte entro il 2010 dalla condizione operativa, saranno mantenute di riserva e pronte all'uso. In tal modo gli Usa continueranno a disporre di 6/7 mila testate nucleari in grado di colpire qualsiasi obiettivo in qualsiasi parte del mondo, più altre migliaia di testate definite «tattiche». Per mantenere in perfetta efficienza il proprio arsenale (spendendo solo per questo, ogni anno, 17 miliardi di dollari) e poterlo continuamente ammodernare, gli Stati uniti non hanno ratificato il Trattato per la messa al bando totale degli esperimenti nucleari, che hanno sottoscritto il 24 settembre 1996 insieme ad altri 163 paesi.

Non solo. Come risulta dal rapporto Nuclear Posture Review dello scorso gennaio, stanno rivedendo la propria strategia nucleare: secondo la nuova dottrina, il Pentagono potrebbe ricorrere, in certe condizioni, a un attacco nucleare «preventivo» per «decapitare» un paese nemico, distruggendo i bunker dei centri di comando con testate nucleari penetranti di bassa potenza. Per prepararsi agli attacchi nucleari «preventivi», il Pentagono ha deciso di fondere, il 1 ottobre, il Comando spaziale (SpaceCom), responsabile delle operazioni militari sia nello spazio che nella rete computeristica, e il Comando strategico (StratCom), responsabile delle forze nucleari. Così, dalla terra, i preparativi di guerra nucleare si estendono allo spazio.

A lanciare l'allarme sulla minaccia nucleare irachena è, insieme agli Stati uniti, Israele: il paese che, procurandosi clandestinamente tecnologie e materiali nucleari, ha potuto costruirsi un arsenale che comprende oggi probabilmente oltre 400 armi nucleari, sia termonucleari di grande potenza, sia «tattiche» di minore potenza, tra cui bombe al neutrone che provocano minore contaminazione radioattiva dell'area colpita (in modo da poterla occupare) ma una maggiore emissione di radiazioni letali per l'uomo. A differenza dell'Iraq che, secondo l'Iiss, possiede al massimo una dozzina di antiquati missili (tipo gli Scud sovietici) in grado di raggiungere Israele, questo possiede ogni tipo di moderno vettore nucleare, dal missile Jericho II con raggio di 5mila km, agli F-16 fornitigli dagli Stati uniti, ai sottomarini fornitigli dalla Germania su cui sono stati installati missili nucleari. Questo arsenale non esiste agli occhi del mondo, perché il governo israeliano non ne ammette l'esistenza e nessuno propone di andarlo a verificare con ispettori internazionali.

Tutti sanno però che, come per la prima guerra del Golfo, il governo israeliano ha allertato le forze nucleari e potrebbe anche usarle. E' d'altronde esperto in attacchi «preventivi». Come quello con cui, il 7 giugno 1981, distrusse il reattore nucleare iracheno di Osiraq. Pur non essendovi alcuna prova, il governo israeliano dichiarò che, «in base a fonti di indiscutibile affidabilità», l'Iraq stava fabbricando bombe nucleari e per questo Israele aveva compiuto «l'attacco preventivo». Bush non ha dunque la primogenitura del first strike.