(Fwd) export armi italiane



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Date sent:      	Wed, 17 Apr 2002 19:11:05 +0200
From:           	lkocci at tiscali.it
Subject:        	export armi italiane

da Adista n.31
Luca Kocci
lkocci at tiscali.it


FUOCO A VOLONTÀ, O QUASI: "BENE" L'EXPORT ITALIANO DI ARMI

31325. ROMA-ADISTA. Forse era questo il boom di cui parlava Silvio Berlusconi
in campagna elettorale: l'Italia nel 2001 ha esportato armi per 961 milioni
di euro (0,78% in più rispetto al 2000). Sono cresciute anche il numero
delle autorizzazioni all'esportazione, che sono passate dalle 522 del 2000
alle 638 del 2001. A chi vanno tutte queste armi? Principalmente alla Svezia,
che è al primo posto tra i "clienti" dei sistemi di armamento italiani e
assorbe il 15% della nostra produzione; poi c'è l'Arabia Saudita con il
13,8% (l'Arabia è il Paese di Osama Bin Laden e della sua famiglia), il
Brasile con il 10,4%, la Malaysia con l'8,8% e il Cile con l'8,6. Ci sono
anche molti altri Paesi del Sud del mondo tra gli estimatori delle armi
nostrane: la Siria ne acquista per 13,5 milioni di euro, gli Emirati Arabi
per 32,6 milioni. 
Sono i primi dati che emergono dalla lettura dell'annuale relazione presentata
dal governo al Parlamento sul commercio delle armi. Tale relazione è prevista
proprio da quella legge, la 185/90, che è in questi ultimi mesi a forte
rischio di essere ridimensionata dal 'fuoco' incrociato, per niente 'amico',
di maggioranza e opposizione (v. Adista nn. 13 e 21/02). Di questo pericolo,
e della relazione sul commercio delle armi appena resa nota, si è parlato
l'11 aprile, all'interno di una Tavola rotonda organizzata dalla Scuola
di Politica Internazionale Cooperazione e Sviluppo (Spices), dal titolo:
"Riforma della 185/90 e commercio delle armi: quali implicazioni per la
cooperazione allo sviluppo italiana?". 
Introducendo i lavori Riccardo Bonacina, direttore del gruppo "Vita", ha
rilevato il successo della mobilitazione attivata on-line dal suo settimanale
a difesa della 185: "una campagna - ha detto - che ha già raccolto 10 mila
adesioni sul nostro sito internet". Una analisi approfondita sulle ragioni
anche internazionali che mettono in pericolo la sopravvivenza della 185
è stata invece condotta da Francesco Terreri, ricercatore dell'Oscar (Osservatorio
sul Commercio delle armi): "Negli ultimi trenta anni lo scambio internazionale
di armamenti, che è comunque un fenomeno divenuto rilevante solo a partire
dall'ultimo dopoguerra, ha avuto un boom violentissimo", ha detto Terreri.
"Se intorno agli anni '90 - ha aggiunto - la spesa militare a livello mondiale
era diminuita da 1,2 miliardi di dollari fino a circa 700 milioni, l'effetto
di tale diminuzione era dovuto in gran parte al crollo militare e politico
dei Paesi ex comunisti. Tuttavia qualche segnale lo si poteva rilevare anche
in altre parti del mondo. Ma non nei Paesi del Sud del mondo, in cui, con
la sola eccezione dell'America Latina, la spesa militare non è mai diminuita.
E comunque alla fine del passato millennio la spesa militare mondiale ha
ricominciato a salire". Per Terrieri è perciò chiaro che, all'interno di
un settore nuovamente in espansione, l'Italia voglia togliere di mezzo una
legge che mette, seppure assai parzialmente, i 'bastoni tra le ruote' ai
mercanti di armi. D'altra parte, secondo Terreri, è sempre più difficile
individuare con esattezza quale sia il giro di affari sottostante a questo
enorme business. I dati forniti nel corso dell'incontro, in gran parte provenienti
dal Sipri (Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma),
sono sempre approssimati per difetto, poiché sono molti gli armamenti che
sfuggono ad ogni tentativo di censimento. E non solo per colpa del contrabbando.
Terreri fa un esempio: "la Siria nel '98 ha fatto una commessa all'Italia:
voleva che un'impresa controllata da Finmeccanica si occupasse della revisione
dei sistemi di tiro dei propri carriarmati. Il nostro Paese ha così venduto
sistemi opto-elettronici e assistenza tecnica e informatica per circa 200miliardi
di euro". Questi sistemi, non essendo propriamente delle armi, non li troveremo
mai conteggiati nelle statistiche sul commercio degli armamenti. 
Al di là di tutto, la 185 a qualcosa è indubbiamente servita, vista anche
la volontà politica di ridurla all'impotenza. Lo sottolinea Tonio Dell'Olio,
coordinatore nazionale di Pax Christi, che aggiunge: "l'Italia è passata
dal quarto al nono posto nella classifica dell'export di armi nel mondo".
"Negli ultimi 57 anni - ricorda Dell'Olio - l'Italia ha partecipato a quattro
conflitti: la II guerra mondiale, la guerra in Iraq, quella in Kosovo e
quella in Afghanistan. Gli ultimi tre conflitti sono avvenuti nei soli ultimi
11 anni, e sono stati combattuti all'estero. Questo deve far riflettere
su come il nuovo modello di difesa che si sta imponendo anche nel nostro
Paese preveda un riassetto delle Forze Armate tale per cui esse non siano
più chiamate a difendere solo 'i sacri confini' della patria, ma ad intervenire
dovunque siano in crisi gli interessi del nostro Paese, prioritariamente
quelli economici. Ritorna così in Italia una forte cultura di guerra, nonostante
lo spirito e la lettera dell'art. 11 della nostra Costituzione". 
Luciano Scalettari, di "Famiglia cristiana", ha poi sottolineato l'enorme
rilevanza del mercato clandestino delle armi, accanto a quello ufficiale.
A partire da questa considerazione Scalettari ha rilevato come questo sistema
economico da una parte necessiti di regioni stabili, pacificate, per potersi
espandere liberamente, ma dall'altra, in una sola apparente contraddizione,
spesso "vuole, però, che ci sia anche un campo di instabilità, in cui ci
siano conflitti, la maggior parte a bassa intensità. I canali di traffico
clandestini hanno bisogno di aree di conflitto per rimanere agibili". Nonché
l'assenza delle regole come regola, come condizione per potere agire indisturbati.



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