A proposito di moratorie, ruolo internazionale e uranio...lo dicevo nel luglio 1999 !



Vi invio un testo inedito, scritto nel luglio 1999 per l'esame di
abilitazione professionale. E' agli atti ufficiali presso l'Ordine NAzionale
dei Giornalisti. Cosa ne pensate voi ?

Tiziana Boari
giornalista , Roma


TESINA SCRITTA PRESENTATA ALL'ORDINE NAZIONALE DEI GIORNALISTI NEL LUGLIO
1999, PER L'ESAME DI ABILITAZIONE PROFESSIONALE,


L'assetto e la ricostruzione della martoriata regione balcanica è in
procinto di essere discusso all'interno di una Conferenza ad hoc che aprirà
i lavori a Sarajevo alla fine di luglio. Il futuro della Jugoslavia è
alquanto incerto, la comunità internazionale (eccetto l'Italia) appare
restia a concedere fondi alla Serbia di Milosevic, utilizzando lo strumento
dell'aiuto umanitario e alla ricostruzione come uno strumento di pressione
politica. Di fatto questa guerra - niente affatto "umanitaria" e che poteva
essere evitata se si fosse voluto - ha riportato indietro di molti decenni
lo sviluppo di un paese già segnato da molti anni di sanzioni economiche, e
sta creando paradossalmente emergenze umanitarie a catena. In primis, grazie
ai danni provocati all'ambiente che avranno sicure ripercussioni sulla
salute dei rifugiati che tornano, su quella dei militari della Kfor e del
personale civile, governativo e non governativo, operante nell'area. Il
Centro Ambientale Regionale per l'Europa Centrale ed Orientale (REC), per
conto dell'Ufficio XI della Commissione Europea, ha recentemente pubblicato
in un rapporto di "Valutazione dell'impatto ambientale delle attività
militari nel corso del Conflitto in Jugoslavia" i risultati di una ricerca
preliminare eseguita nel mese di giugno nell'area affetta dalla guerra
(Jugoslavia, Macedonia, Albania, Romania, Bulgaria). Lo studio, reso noto in
Italia dal Ministero dell'Ambiente, tuttavia non fornisce i dati relativi
alla sola provincia del Kosovo. Dati che tuttavia sarebbe importante
conoscere proprio per valutare e affrontare meglio la fase di rientro dei
profughi e di ricostruzione complessiva della regione. A chi scrive non
risulta nemmeno che ci sia stata a tutt'oggi un'iniziativa in questo senso
da parte delle FFAA, solite ad inviare apposite unità di verifica
nucleare-batteriologica e chimica (NBC) nelle aree destinate ai nostri
contingenti militari. Dopo 17.000 attacchi aerei contro un centinaio di
obiettivi industriali nel corso di 78 giorni di guerra, se i dati relativi
al Kosovo fossero analoghi a quelli forniti sul resto della regione dallo
studio della Commissione Europea, ci sarebbe di che preoccuparsi . Non v'è
dubbio che i missili a perforazione (anticarro) e alcune bombe, in dotazione
agli aerei americani, contenessero uranio impoverito  che, rilasciandosi in
forma di aerosol, si diffonde facilmente nell'ambiente, è radioattivo ed
altamente tossico. Questo, come molti altri composti chimici tossici e
cancerogeni liberati dopo i bombardamenti, potrebbero causare aborti e
menomazioni dei nascituri, affezioni mortali al fegato e al sistema nervoso
. La "sindrome del Golfo" si convertirebbe in "sindrome dei Balcani" : il
problema è chi poi dovrà accollarsene i costi sociali, dentro e fuori la
regione. Da non sottovalutare è anche il massiccio inquinamento del suolo e
delle acque, contaminate - soprattutto quelle del Danubio in Romania - da
metalli pesanti come piombo, stagno, cadmio. E relativa contaminazione delle
colture e dei capi di bestiame rimasti, in una regione, se i dati dovessero
essere confermati anche per il Kosovo, a prevalente economia agricola. Di
cosa dovrebbe vivere quei 640.000 profughi kosovari tornati a casa negli
ultimi giorni ? Questo si aggiungerebbe ai dati catastrofici forniti
recentemente dall'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite,
secondo i quali, su un campione di 141 villaggi su 2000 delle regioni a
maggioranza albanese (perché non esaminare anche quelle a maggioranza serba
?) risulta distrutto il 64% delle case e inquinato da calcinacci e chissà
cos'altro il 40% delle risorse idriche. Il 76% della gente ritrova una casa
inabitabile o distrutta ed è costretta ad alloggiare altrove, mentre il 31%
denuncia la mancanza di cibo a sufficienza. Di certo, come sostiene anche il
nostro Ministro all'Ambiente Ronchi, la ricostruzione vera e propria non
sarà possibile senza operare prima una bonifica ambientale, a meno che non
si voglia ricadere nell'errore commesso in Bosnia dove, secondo il ministro,
ci sarebbe stata <<una ricostruzione di facciata e non un risanamento>>.
Si allarga così il nuovo Mezzogiorno di un'Europa che dalla "lezione"
balcanica dovrebbe cominciare ad imparare qualcosa per garantirsi un futuro
dignitoso a livello economico e soprattutto politico. L'Italia poi è la
prima a doversi risvegliare da un sonno non profondissimo, ma pur sempre
micidiale a livello internazionale e in particolare in un'area che, oltre a
essere vicinissima, la vede anche sempre protagonista in prima linea negli
sforzi umanitari tesi a contenere il flusso di profughi dalle nostre coste,
ma mai nelle strategie politiche a medio-lungo termine. E sono quelle che, a
conti fatti, pagano di più, in termini economici come di credibilità
politica internazionale. La disponibilità del Ministero dell'Ambiente e di
enti quali l'Enea nel fronteggiare l'emergenza ambientale nei Balcani è già
stata ufficialmente dichiarata : vedremo cosa il Governo saprà far arrivare
in porto sul piano internazionale, dopo la clamorosa esclusione dai due
livelli di vertice della missione di governatorato ONU in Kosovo. Uno smacco
che risulta difficile da digerire, dato che lo scotto più alto in questa
guerra è stato pagato dal nostro paese : non dimentichiamo le bombe
scaricate dagli aerei NATO in Adriatico e scoperte quasi per caso e a loro
danno dai nostri pescatori. Eppure in qualche modo questo trattamento giunge
anche meritato : in una situazione grave come quella verificatasi, non
abbiamo avuto il coraggio di alzare per tempo la testa, affetti come siamo
da un complesso d'inferiorità internazionale, assolutamente fuori luogo per
l'importanza strategica che invece riveste il nostro Paese. Lo scoglio è
forse proprio quello del personale civile e militare da inviare nelle
missioni internazionali : la politica estera comincia anche da questi
livelli.  Cruciale a tale riguardo è la formazione, l'addestramento, la
conoscenza di lingue straniere (ancora molto carente tra i militari). I
civili purtroppo - e la recente e fallimentare missione di verifica dell'
OSCE in Kosovo lo dimostra - non godono appieno del sostegno della
Farnesina, apparentemente incapace di dare direttive strategiche seppur
minime al personale esterno che invia all'estero e ancora poco trasparente e
farraginosa in tutto ciò che concerne gli strumenti contrattuali da
applicare.  A livello alto, vitale è l'identificazione di interessi
nazionali specifici da perseguire come prioritari senza falsi pudori, con
coerenza e competenza può restituirci un barlume di credibilità
internazionale e negoziale.  E' solo definendo chiaramente i propri
interessi nazionali, con un'identità dai contorni chiari e netti, che si
riesce a far pesare il proprio ruolo e dunque a produrre strategie. Se non
capiremo questo e non lo perseguiremo con coraggio e coerenza, alla resa dei
conti finale neanche la più grande operazione di solidarietà italica potrà
esimerci dall'ingrato ruolo di ultima ruota del carrozzone internazionale.