[Diritti] Una bella festa



L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

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Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894

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Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale - inviato oggi a oltre 50mila utenti Zurigo, 19 ottobre 2017

    

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    L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da 120 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

   

     

EDITORIALE

 

Una bella festa

 

Tre discorsi per i dieci anni del PD

 

di Andrea Ermano

 

«La nascita del Partito Democratico rappresenta una svolta non sol­tan­to politica, ma anche culturale e morale nella vicenda italiana. Si apre una speranza, si può tornare a pensare il futuro»: questo il tono (ampolloso) con cui esordisce il video all'inizio della kermesse tenutasi sabato scor­so al Teatro Eliseo in Roma per i dieci anni del PD.

 

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Gentiloni, Veltroni e Renzi alla Festa del PD

 

    Per misurare il regresso subìto dalla sinistra democratica in Italia sot­to l'egida del PDS-DS-PD, basti ricordare che in quello stesso Tea­tro Eliseo nell'ottobre del 1947 si tenne il convegno, "L'unità europea e la pace nel mondo", cui parteciparono Ignazio Silone, Ferruccio Parri, Piero Calamandrei, Luigi Einaudi e Gaetano Salvemini. Parlarono di Europa e di pace. Realizzarono l'Europa e la pace. Volete voi para­go­nare "quelli" a "questi"?!

    Ma andiamo con ordine. E domandiamoci com'è stata la festa del PD. A parte un DEF zeppo di misure invise ai sindacati; una legge eletto­rale molto discutibile, di cui al Parlamento viene fatto però divieto di discutere; a parte la catastrofe delle riforme-baggianata e la "divisività" che ha dissipato il patrimonio di consensi raccolto alle Europee del 2014; a parte una collezione di sconfitte talmente tali, nelle regionali e nelle comunali, da far brillare persino la "non vittoria" di Bersani come unico risultato sul quale s'è costruito il poco che resta… a parte questo, è stata una bella festa.

    Alla fine del suo discorso Veltroni proclama: «Il mio sogno di un paese diverso – in cui semplicemente, come diceva Zavattini, un "buon­giorno" voglia dire veramente "buongiorno" – vive con voi!».

    Stan­ding ovation.

    Al ritorno in prima fila, il ministro Minniti gli molla un buffetto rafforzato dall'emozione. Sembra quasi uno schiaffo. Walter in­terdetto ristà. Riflette. Ma in Africa è peggio. Nei campi di trat­te­nimento libi­ci, altro che sberle… E si risolve ad abbracciare il vecchio compagno di gioventù. Buongiorno, campi di trat­te­nimento libi­ci.

    Sale sul palco il premier Gentiloni. E sentenzia: «Il Pd è il Pd». Pausa. Poi commenta con autoironia: «Frase storica». Una brezza d'i­la­rità attraversa la sala. «Il progetto bene o male è riuscito, è vivo», prosegue il premier, e qui azzarda una seconda autoironia: «Il PD è vivo e lotta insieme a noi». Brividi scaramantici tra gli astanti. «Il PD era nato per andare oltre il Novecento», aggiunge. E qui la mente ritorna al discorso novecentesco che Silone tenne in questa sala sulla "Mis­sione europea del Socialismo". No, voi non potete accostare "questi" a "quelli" senza generare effetti satirici.

    Arriva il turno di Matteo Renzi. Il PD, afferma, ha una casa ken­ne­diana, clintoniana, obamiana nel mondo. E in Europa sta con i socia­listi. È l'unico a citare la parola "socialismo". An­che se poi non resiste alla vulgata secondo cui la sinistra continua ad esistere solo in Italia, grazie al PD. Nel resto d'Eu­ropa è ormai scom­parsa: "totalmente ir­ri­levante" in Spagna, in Francia, in Olanda e in Ger­ma­nia, dice, «come è to­tal­mente irrilevante in Inghilterra». Applausi scro­scianti.

    Ma sarà vero? In Olanda, dove le cose sono pur andate molto male, i due par­titi socialisti insieme ai Verdi assommano il 37% dei voti. A quota 38,7% si attestano SPD, Linke e Verdi in Germania. Stesso li­vello del PSOE, pur sconfitto in Spagna, se sommato ai voti di Po­de­mos-IU. Persino le presidenziali francesi, dominate dal fenomeno Ma­cron, hanno assommato un 26% complessivo tra il PSF di Benoît Ha­mon e la Si­ni­stra di Jean-Luc Mélenchon.

     E in Italia? Il PD è stimato al 27%. Se nascesse una pur auspicabile alleanza tra tutte le forze di centro-sinistra, la sua capacità di consenso si aggirerebbe intorno al 35%. A fronte di ciò appare un nonsense la tesi secondo cui qui da noi la sinistra si sarebbe salvata grazie "all'in­tui­zio­ne del PD dieci anni fa", laddove invece sarebbe "totalmente irrilevante in In­ghilterra", dove il Labour di Jeremy Corbyn ha in­cas­sato il 40% dei voti e si candida a conquistare Downing Street.

    Guasconate a parte, il discorso del Segretario alla fine non è poi nemmeno così male. Soprattutto quando l'ex premier si domanda che cosa ac­ca­drà nei prossimi anni. E passa in rassegna i dati fondamentali di «un cam­bia­men­to culturale che nei prossimi anni ci sarà. Punto. Non è in discussione».

    Ci sarà una "disintermediazione" che modificherà gli orizzonti fi­nan­ziari globali; ci sarà una nuova medicina personalizzata grazie alle bio-tecnologie; le nuove tecnologie ci aiuteranno ad affrontare i nodi del­l'ambiente, dell'energia e dei trasporti; ci sarà un'urbanizzazione ul­te­rio­re nelle metropoli che ci sfiderà sempre più a governare in modo inclusivo: «Quando penso a quello che ci attende», riassume Renzi, «mi domando: noi che cosa ci stiamo a fare qui, se non diamo la precedenza al futuro?» – La è do­manda giustissima. Ne consegue il problema di dare un go­verno al grande cambiamento in corso.

    Sulla "sicurezza" Renzi propone l'idea che essa passi anzitutto «dal riconoscersi parte di una comunità, e passi di conseguenza non soltanto dall'investimento che faccio per mettere le camionette dell'esercito nel­le periferie, nelle stazioni o negli aeroporti, elementi che danno tran­quil­lità alle persone, ma anche nel mettere teatri, musei, realtà edu­ca­ti­ve, presenze culturali dentro i luoghi della disaffezione e della mar­gi­na­lità sociale».

 

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Aeroporto di Bari, marzo 2016 - Camionetta dell'Esercito

Italiano alle "Partenze", dopo gli attentati di Bruxelles

 

Le camionette in quanto "elementi che danno tranquillità" servono a ricordarci il nostro drammatico scivolare verso l'eccezione. Sarebbe sbagliato attribuirne al PD la responsabilità. La deriva emergenziale dell'Occidente è alimentata anzitutto della rincorsa tra vari neo-fa­sci­smi, quelli islamisti e quelli anti-islamici, che sfruttano ciascuno a suo modo il malcontento popolare per produrre traumi ovunque, da tra­sfor­mare in spostamenti dell'asse politico, e ciò nell'ipotesi (folle) che vi potrà essere una fuoriuscita autoritaria dalla crisi di civiltà in atto.

    A fronte di questa situazione occorre mettere in campo una strategia politica massicciamente incardinata sull'intervento «nei luoghi della disaffezione e della marginalità sociale». Fermo restando, come ab­bia­mo più volte argomentato da queste colonne, che per poter rea­liz­zare interventi dell'enorme ampiezza di scala qui necessaria, occorre pro­muovere una pacifica mobilitazione partecipativa di massa imperniata sull'idea del Servizio Civile Universale.

    Qui Renzi sviluppa un discorso condivisibile: «Possibile che noi siamo il Paese in cui i nostri ragazzi tengono più di tutti in mano il telefonino, e sono quelli meno preparati tra i grandi paesi occidentali a programmare? Credo che noi dovremmo essere il PD, nei prossimi dieci anni, capace di tenere insieme due cose: il coding nelle scuole e, contemporaneamente, qualche ora in più di latino e storia dell'arte».

    La sinistra italiana deve rivendicare con orgoglio le battaglie per i diritti che ha portato e continuerà a portare avanti, ma è necessario – continua Renzi – educare le nuove generazioni ai do­veri: «Dovremmo mettere in campo per la prossima legislatura anche una proposta or­ganica secondo cui ciascuno, giovane uomo e giovane donna, possa fare almeno un mese di Servizio Civile ob­bli­ga­to­rio».

    In questa piega conclusiva del ragionamento, Renzi effettivamente enuncia una visione, certo ancora tutta da "ammobiliare", che però è l'unica idea programmatica oggi in campo. E, se le parole dell'Eliseo non resteranno meri an­nunci, allora forse, tra dieci anni, si potrà iniziare a paragonare alcuni di "questi" con "quelli".

            

     

ADL 120

 

1897

2017

 

18 novembre 2017

Cooperativo Zurigo, St. Jakobstrasse 6, 8004 Zürich

 

Una giornata di studi e dibattiti

nel 120° dalla fondazione dell'ADL

 

 

Ore 10.00 - Libri e autori

Mattia Lento, Giovanni Battista Demarta e

Viviana Meschesi al confronto con il pubblico zurighese

 

Il Dr. Lento parlerà de La scoperta dell'attore cinematografico europeo, (Pisa 2017). Il Dr. Demarta illustrerà l'edizione italiana, da lui curata, di Per un'economia umana di Julian Nida-Rümelin (Milano, 2017). La Dr. Meschesi parlerà di Sistema e Trasgressione. Logica e analogia in Rosenzweig, Benjamin e Levinas, (Milano 2010). Moderatore: Francesco Papagni, teologo e giornalista.

 

Ore 11.00 - Anima, mondo ed esperienza

L'eredità kantiana in Helmut Holzhey

 

Il prof. Pierfrancesco Fiorato (Sassari) discute con Helmut Holzhey (professore emerito presso l'Università di Zurigo) la sua opera Il concetto kantiano di esperienza, riedita nell'ottantesimo compleanno dell'Autore. / Moderatore: Dr. Andrea Ermano, direttore dell'ADL.

 

Ore 12.15 - Pausa dei lavori e rinfresco

 

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Ore 13.15 - Il "Caso Englaro" otto anni dopo

Ricordi e riflessioni di Beppino Englaro e Renzo Tondo

 

Beppino Englaro, padre di Eluana Englaro, e l'on. Renzo Tondo, Governatore della Regione Friuli Venezia-Giulia all'epoca del "Caso Englaro", verranno intervistati dal decano dei giornalisti italiani in Svizzera, Giangi Cretti.

 

Ore 14.15 - Grande Riforma?

Ma l'Italia ha bisogno di grandi riforme? E, se sì, di quali?

 

Il sen. Paolo Bagnoli (Università Bocconi di Milano e Università di Siena), l'on. Felice Besostri (costituzionalista autore dei ricorsi contro il Porcellum e l'Italicum) e il Dr. Andrea Ermano, direttore dell'ADL, verranno "moderati" dal Dr. Mattia Lento (Innsbruck).

 

Ingresso libero

Info: 044 2414475 / cooperativo at bluewin.ch

 

 

23 novembre - ore 18.00

Photobastei - Sihlquai 125 - 8005 Zürich

 

Letzte Front

 

Vernissage della mostra dedicata alla vita

e all'opera di Andy Rocchelli (1983-2014)

 

Intervengono: Miklós Klaus Rózsa (Syndicom, fotografo, curatore della mostra), On. Beppe Giulietti (Presidente Federazione Nazionale Stampa Italiana), Giangi Cretti (Direttore Comunicazione Camera Commercio Italiana). Finissage: 13 gennaio 2018, ore 18.00.

 

Ingresso libero.

Orari di apertura: lunedì-sabato 12-21; domenica 12-18.

Info: www.photobastei.ch - cooperativo at bluewin.ch

 

Organizzano: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, Collettivo Cesura, Fabbrica di Zurigo, Famiglia Rocchelli, Fondo Gelpi Ecap Schweiz, Photobastei, Società Cooperativa Italiana, Società Dante Alighieri, Syndicom Schweiz.

 

Con il patrocinio dell'Istituto Italiano di Cultura Zurigo

e della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera

 

         

SPIGOLATURE 

 

Cinquanta sfumature

di mala tempora

 

di Renzo Balmelli 

 

EPIDEMIA. Mala tempora currunt. Dopo le elezioni austriache sono svariati e preoccupanti gli indizi che tendono a suffragare la famosa espressione di Cicerone. È come se fossimo finiti in un vicolo oscuro senza intravvedere la via d'uscita. Detto scherzosamente, sebbene per la verità in giro vi sia poca voglia di scherzare, forse è per questo che a Vienna e Berlino fioriscono fantasiose coalizioni di governo prese in prestito dalla scala cromatica: Giamaica alla corte di Frau Merkel, ar­co­baleno all'Hofburg. Un tale Sigmund Freud, che da quelle parti è di casa, potrebbe sostenere, con una delle sue celebri intuizioni, che l'in­ne­sto dei colori è un modo per esorcizzare la corsa verso il buio della storia; uno strumento per scongiurare sbandate e ambigui valzer che svelano l'anima nera del continente. Ciò che sta accadendo attorno a noi è l'esplosione di un profondo malessere che non è soltanto cir­co­scritto a determinate situazioni, ma é una epidemia diffusa capace di travolgerci nei gorghi del peggiore passato. Se mai davvero lo è stata, l'Austria di questi giorni ci appare sempre meno "felix". E l'Europa pure. Stiamo vivendo brutti tempi, ma di peggiori ne potrebbe arrivare.

 

ENIGMA. Per l'Unione europea il campanello d'allarme squilla più for­te che mai. Chi si era illuso che le spinte ultra nazionaliste stessero per esaurirsi, deve amaramente ricredersi. La vagonata di consensi rac­colti dagli eredi di Jörg Heider combinata col seguito ottenuto dal­l'e­stre­ma destra tedesca, meno evidente a livello federale, ma in grande spolvero nei Parlamenti regionali, da l'esatta misura di un fenomeno che non consente di abbassare la guardia. Piaccia o non piaccia lo sce­na­rio è quello. Chi urla di più, chi conia gli slogan più perfidi contro i migranti ha buon possibilità di guadagnare voti. Come osservava Clau­dio Magris sul Corriere della Sera, "i vincitori di oggi non sono dei protagonisti", ma si avvalgono della paura e degli istinti peggiori per contagiare con la loro febbre questa Europa spossata e pronta a saltare sul carro del vincitore, qualunque esso sia. Dove ci porterà il responso delle urne austriache è un enigma; un enigma carico di sgradevoli pre­sagi e comunque piuttosto lontano dall'umanesimo politico che fu il vanto di questo piccolo, grande Paese.

 

NAFTALINA. Quando in campo le cose vanno male, la colpa finisce quasi sempre col ricadere sull'allenatore, capro espiatorio per anto­no­masia dei tifosi esasperati. Se i giocatori sono svogliati o scarsi la cosa passa in seconda linea. Per certi versi si potrebbe trasferire lo stesso metro di giudizio agli elettori che in questa fase convulsa e nevrotica oltre a guardare altrove sembrano avere trovato il responsabile su cui scaricare le loro delusioni. Nel caso specifico il dito è puntato ineso­ra­bilmente contro la sinistra, rea di non avere saputo dare risposte ade­gua­te alle inquietudini della società in piena trasformazione. Sebbene possa sembrare sterile evocare le difficoltà di un percorso pieno di osta­coli, se un appunto va rivolto alla sinistra è quello di non essere riuscita a rinnovare il rapporto affettivo ed emotivo con la gente. Quel sentimento che scalda il cuore e che ponendosi al di sopra delle me­schi­ne beghe di partito aiuta a ritrovare la passione per gli ideali che davvero contano e senza i quali la prospettiva di rendere il mondo un posto migliore rischia di finire tra la naftalina.

 

OMERTÀ. Da Hollywood a Sexywood, gli scandali a sfondo sessuale sono vecchi quanto il cinema. Se poi trasferiamo gli scenari dalla fab­brica dei sogni di celluloide alla politica, li possiamo considerare una pratica che è sempre esistita fin dalla prima antichità. Pensiamo alla povera Penelope ed a quante ore di sonno ha sacrificato con l'espe­dien­te della tela per respingere gli assalti dei focosi corteggiatori. In questo in­interrotto racconto di abusi e prevaricazioni di diversa natura, di im­mu­tato c'è soltanto il ruolo delle donne, vittime e bersaglio delle mole­stie e dei ricatti e dispetto del ruolo che si sono conquistate nella vita. A rendere ancor più squallido il quadro d'assieme concorre pure l'omer­tà che circonda una concezione perversa della supremazia ma­schilista. Le rivelazioni di tante protagoniste, seppur tardive, hanno por­tato in superficie le crepe di un sistema costruito attorno al mito del sogno americano. Mito che ora vacilla e che potrebbe incassare un col­po letale se la vicenda lambisse il cuore del potere trasformandolo in un labirintico bunga-bunga "made in USA".

 

SORPRESE. Che negli spazi creati dal disordine in cui versa questa nostro Continente, specie dopo lo scatenarsi dei nazionalismi, possano presentarsi delle strane costellazioni non è del tutto fuori luogo. Do­potutto se ce la fanno i nostalgici di ieri e di oggi, perché escludere altre sorprese, di sicuro meno plumbee. Proviamo per esempio a immaginare che cosa hanno in comune Andrea Bocelli, Massimo Bottura, Gianluigi Buffon, Marco Minniti e Samatha Cristoforetti, la signora dello spazio, ingegnere, aviatrice e astronauta che assieme agli altri ha dato lustro al nome dell'Italia nel mondo. Sono tutte personalità di spicco che Vittorio Sgarbi, l'estroso e controverso intellettuale fondatore di un movimento che vista la sua vocazione di critico d'arte non poteva chiamarsi altro che Rinascimento, vorrebbe avere in un suo immaginario, estetizzante governo, forse meno astruso di quanto si pensi. In effetti considerata la disgregazione della politica, a qualcuno questa stravagante ipotesi potrebbe pure piacere. Se non altro si sorride e il riso uccide la paura (Umberto Eco).

 

PAROLE. Chi tocca i fili muore. Incurante dei pericoli, coraggiosa e senza peli sulla lingua, di fili nel corso della sua carriera la giornalista Daphne Caruana Galizia, 53 anni, ne ha toccati tanti, mossa dalla sua instancabile curiosità e dalla determinazione di alzare i veli sugli affari più riposti. È caduta sul fronte dell'informazione, uccisa dall'esplo­sio­ne di una bomba mentre viaggiava in auto sull'isola di Malta dopo ave­re ricevuto varie minacce per avere messo le mani nel filone maltese dei cosiddetti "Panama Papers", un fascicolo voluminoso e scottante con milioni di documenti su attività molto poco trasparenti. Pestando i piedi a politici e affaristi questa indomita ricercatrice della verità era diventata agli occhi di chi voleva zittirla una giornalista scomoda, al punto da farle trovare sul muro di casa un avvertimento esplicito di stam­po mafioso. Se le parole sono perle – diceva l'inquietante mes­sag­gio – il silenzio vale di più. Per lei, mentre indagava senza sosta, le pa­role sono diventate pallottole e la sua tragica fine rappresenta un colpo doloroso per il giornalismo investigativo e anti corruzione al servizio dei lettori. Ma la sua voce continuerà a farsi sentire.

   

     

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

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(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

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(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

         

ECONOMIA

 

Il "secolo africano"

e la questione del debito

 

La questione del debito pubblico globale è sempre più scottante: è aumentato da 30 trilioni di dollari del 2007 ai 65 trilioni attuali.

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

La questione del debito pubblico globale è sempre più scottante. Ovunque la si guardi essa suscita preoccupazione e paura. In generale nei media il debito pubblico è sinonimo di fallimento o di rischio. Non è una valutazione sbagliata poiché nel mondo esso è aumentato da 30 trilioni di dollari del 2007 ai 65 trilioni attuali.

    È più che raddoppiato in dieci anni. In rapporto al Pil negli Usa il debito pubblico in dieci è passato dal 62,5 al106%, nell'Eurozona dal 65 al 90%, in Italia dal 100 al 132,5%.

    Sono dati che parlano da soli. Ma è sorprendente il silenzio che accompagna le decisioni importanti in merito alla sua riduzione o alla sua cancellazione. E' il caso della Russia di Vladimir Putin che ha deciso di cancellare parte del debito contratto dagli stati africani.

    Come riportato nella pagina web del Cremlino, durante l'incontro pubblico dello scorso 27 settembre con Alpha Conde, presidente della Guinea Conakry e dell'Unione Africana, Putin ha detto che "la Russia sostiene attivamente gli sforzi della comunità internazionale per promuovere lo sviluppo degli Stati africani. Nell'ambito delle iniziative per aiutare i Paesi poveri molto indebitati, è stato deciso di cancellare oltre 20 miliardi di debiti ai Paesi africani".

    Si tratta di una cifra rilevante, cui la Russia ha deciso di rinunciare a beneficio di quei paesi africani, che con grandi sforzi e non poche difficoltà, stanno lavorando per superare il sottosviluppo e l'indigenza di grandi masse popolari.

    Già nel periodo 1998-2004, quando la Chiesa iniziò la grande campagna del Giubileo sollecitando una moratoria sul debito dei paesi poveri, la Russia cancellò ben 16,5 miliardi di dollari del debito africano.

    Putin ha aggiunto che dal 2016 Mosca sostiene i programmi alimentari mondiali e che 5 milioni di dollari di questi aiuti sono destinati per l'Africa. Tra questi vi è anche un interessante progetto dell'agenzia Unido per lo sviluppo dell'agricoltura e della pesca in Etiopia.

    In verità tutti i paesi Brics sono molto impegnati nello sviluppo economico e sociale e nella modernizzazione delle infrastrutture dell'intero continente africano. I loro summit hanno sempre dedicato molte energie e iniziative mirate all'Africa, nella consapevolezza che non si può prescindere dalla soluzione degli attuali squilibri.

    All'ultimo incontro di settembre a Xiamen, in Cina, hanno posto grande enfasi sull'importanza di allargare l'alleanza Brics verso i mercati emergenti e i paesi in via di sviluppo, rafforzando specialmente la cooperazione con l'Africa. In questo contesto, è molto importante la decisione di creare un Centro Regionale Africano all'interno della New Development Bank, la loro banca di sviluppo, e di lanciare un Piano di Azione per l'Innovazione e la Cooperazione soprattutto per l'Africa.

    I tanti pseudo esperti occidentali, purtroppo, sembra si stiano agitando per dimostrare che le decisioni della Russia e in generale dei Brics non sono altro che interessate operazioni per penetrare nel continente nero. Potrebbe anche esserci del vero. Ma i paesi europei e l'Unione europea dovrebbero spiegare perché stanno perdendo il loro naturale ruolo di amicizia e di cooperazione cui erano chiamati. Forse perché non hanno mai corretto l'arroganza propria del neocolonialismo? O forse perché mantengono un approccio prevalentemente improntato al massimo profitto e al liberismo più sfrenato? Noi pensiamo che l'approccio sia sbagliato.

    Al riguardo si ricordi che, per esempio, a più di 50 anni dalla dichiarazione di indipendenza dei Paesi francofoni dalla Francia, la loro moneta è ancora stampata a Parigi ed è totalmente controllata dalla Banque de France!

    Del resto non è un caso che anche la Chiesa, con l'enciclica "Populorum Progressio" di papa Paolo VI, abbia a suo tempo indicato la giusta strada per la riduzione del debito e per lo sviluppo dei popoli, denunciando, tra l'altro, "l'imperialismo internazionale del denaro". Si può costatare che la Chiesa è sempre stata molto attenta a queste problematiche economiche e sociali. I documenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace "Al servizio della Comunità umana: un approccio etico al debito internazionale" (1986) e "Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un'Autorità pubblica a competenza universale" (2011) sono chiari ed eloquenti.

    Anche l'Italia e le nostre imprese, purtroppo, pur avendo un'attitudine più cooperativa, e godendo di una certa simpatia in molte parti dell'Africa, non riescono ad esprimere una politica economica e culturale innovativa e più orientata allo sviluppo vero.

    Questo è il "secolo africano" che riteniamo debba essere affrontato con impegno maggiore e diverso nei 54 paesi che fanno parte dell'Africa.

        

     

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

Biotestamento, l'appello

dei senatori a vita

 

Sulle pagine di Repubblica è apparso ieri un appello a favore

del testamento biologico. Un appello scritto e firmato dai senatori

a vita Elena Cattaneo, Mario Monti, Renzo Piano e Carlo Rubbia

per sbloccare un testo da troppo tempo fermo al Senato dopo l'approvazione da parte della Camera.

 

"Da più di cinque mesi – scrivono – il disegno di legge sul testamento biologico è impantanato nella commissione Sanità del Senato. Nonostante tutti i sondaggi fatti sul tema dimostrino, da almeno un decennio, il consenso di un'amplissima maggioranza di italiani, 3mila emendamenti (in massima parte ostruzionistici) e discussioni infinite ostacolano la definitiva approvazione di una legge che non è di destra, di centro o di sinistra".

    È una legge di buon senso. "Una questione di libertà, di rispetto del­la volontà, di dignità del vivere e del morire che dev'essere lasciata quan­to più possibile alla scelta di ciascuno. Come se­natori a vita, chia­mati ad esercitare un ruolo il più possibile libero da ogni condi­zio­na­mento, appartenenza o calcolo, crediamo che questo Par­lamento ono­re­rebbe il Paese se, adottando in Senato senza modi­fi­che il testo già ap­pro­vato dalla Camera, trattasse i suoi cittadini da adul­ti, lasciando loro a fine legislatura, come un prezioso legato, il ri­co­noscimento di questo spazio incomprimibile di libertà e re­spon­sa­bi­li­tà".

    Un appello condiviso pienamente dalla portavoce del Psi, Maria Cristina Pisani. "Il disegno di legge è impantanato da cinque mesi al Senato. È vergognoso – afferma ancora Pisani – che la Lega abbia deciso di non ritirare molti degli gli oltre tremila emendamenti presentati, uno schiaffo in faccia a chi chiede semplicemente di affrontare con maggior serenità il drammatico e doloroso passaggio fra la vita e la morte". "C'è una terribile ipocrisia – continua – di chi parla di 'vita prima di tutto' anche se imposta fra atroci sofferenze. Una responsabilità a cui la politica non può più rinunciare delegando, per incapacità, la magistratura. La voce egoistica di alcune forze politiche non può soffocare – conclude – quella di decine di milioni di italiani".

    Il documento a firma dei senatori a vita riceve il plauso anche della Associazione Luca Coscioni che accoglie l'iniziativa con "riconoscenza e rinnovata fiducia". "La lettera dei Senatori – si legge in un comunicato dell'Associazione Luca Coscioni – segna un enorme evento istituzionale in relazione al tortuoso percorso affrontato finora dalla legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento. Siamo testimoni, con questa ennesima presa di posizione già assunta in precedenza da una moltitudine di altre importanti personalità nazionali, di un momento politico importante. Ci uniamo ai senatori firmatari e alla ferma condanna dell'ostruzionismo più sleale, quello in corso nei confronti di chi soffre e viene persino privato del diritto umano della libertà di scelta".

 

Vai al sito www.avantionline.it/

    

                    

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Le critiche a Visco e Bankitalia:

poco credibile il pulpito, non la predica

 

La parte renziana del Pd ha deciso di andare all'assalto del governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco. La cosa ha suscitato grande fibrillazione politica: sarebbe stato decisamente più opportuno che la fibrillazione fosse nata nel momento in cui le banche sono andate in difficoltà mettendo in mutande molti risparmiatori, o nel momento in cui, all'improvviso, i vertici bancari, a cominciare dalla stessa Banca d'Italia, hanno "scoperto" che esisteva un sistema chiamato bail-in.

    È evidente che siamo nel pieno della campagna elettorale tanto è vero che quello che oggi dicono i renziani del Pd tempo fa lo dicevano quelli del M5S che ora assumono una posizione diversa. Insomma, siamo nel pieno di un rodeo in cui tutto vale tutto, compreso un inutile referendum che si svolgerà in Lombardia e Veneto e che serve solo per garantire visibilità a Maroni e Zaia visto che la consultazione è puramente consultiva e quello che vogliono avrebbero tranquillamente potuto chiederlo senza scomodare gli elettori e spendere soldi pubblici.

    La sortita dei renziani solleva due domande. È giusto criticare Visco, anche duramente? È giusto che lo facciano Renzi e la Boschi attraverso persone di fiducia? La realtà è che l'attuale governatore della Banca d'Italia non passerà alla storia come una delle figure più luminose che abbiano gestito i destini di via Nazionale. Le vicende bancarie chiamano in ballo le manchevolezze di Visco, della Banca d'Italia e della Consob. Può puntellarlo anche domineddio ma la realtà è che i primi a non riporre fiducia in lui sono i risparmiatori e di questo deve tenere presente chi nomina il principale responsabile di Banca d'Italia. Ma ciò che stona è il mittente delle critiche cioè Renzi, la Boschi: personaggi che sono stati oggettivamente chiamati in causa nelle medesime vicende che ora vengono rinfacciate a Visco. Dunque, non è poco credibile la predica, ma il pulpito.

      

 

Freschi di stampa, 1917-2017 (21)

   

I massimalisti russi

 

I massimalisti russi è il titolo di un articolo che inizia a centro pagina sull'ADL dell'11 agosto 1917 e va a concludersi nelle tre colonne di spalla. La sigla "a.g." e l'indicazione di provenienza da "Il Grido del popolo di Torino" segnalano che l'autore qui è un ventiseienne di nome Antonio Gramsci.

 

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L'ADL dell'11 agosto 1917 con l'articolo

"I massimalisti russi" di Antonio Gramsci

 

Non sappiamo se il giovane dirigente socialista sia a co­no­scenza o me­no dell'evoluzione politica in Russia in tutte le sue deter­minanti. Non pare, per esempio, che Gramsci sappia già della fuga di Lenin in Fin­lan­dia o delle determinazioni di Kerenskij circa la con­ti­nuazione della guerra. Certo è che Lenin e Kerenskij, anche per il fu­tu­ro fondatore del PCdI, sono i gran duellanti di Russia, l'uno campione massimalista, l'altro dei socialisti moderati. Quel che emerge dallo scrit­to non è "l'ana­lisi concreta di una si­tua­zione concreta", ma piut­to­sto un ragio­na­mento speculativo, con retro­gusto di sapore neo-idealista.

    Aleksandr Kerenskij e i socialisti moderati «sono l'oggi della Rivoluzione, sono i realizzatori di un primo equilibrio sociale», questa la premessa gramsciana. Grazie ai moderati dell'oggi: «la Russia ha avuto però questa fortuna: che ha ignorato il giacobinismo». Nella nuova Russia nata dalla Rivoluzione di Febbraio vige il pluralismo. Perciò si sono formati numerosi gruppi politici «ognuno dei quali è più audace, e non vuole fermarsi, ognuno dei quali crede che il momento definitivo che bisogna raggiungere sia più in là, sia ancora lontano». La lotta va avanti: «tutti vanno avanti perché c'è almeno un gruppo che vuole sempre andare avanti, e lavora nella massa, e suscita sempre nuove energie proletarie, e organizza nuove forze sociali che minac­ciano gli stanchi, che li controllano e si addimostrano capaci di sosti­tuirli, di eliminarli se non si rinnovano... Così la rivoluzione non si ferma, non chiude il suo ciclo» (ADL 11.8.1917).

    La constatazione dell'instabilità politica russa assume in Gramsci i contorni di un'ontologia del movimento storico. In esso la Rivoluzione per propria natura intrinseca: «Divora i suoi uomini, sostituisce un gruppo con un altro più audace e per questa instabilità, per questa sua mai raggiunta perfezione è veramente e solamente rivoluzione». In Gramsci la storia stessa sembra procedere in analogia con il lavoro umano e – così come c'è un lavoro "morto" che vediamo imprigionato nel capitale e nei mezzi di produzione e c'è un lavoro "vivo" che ve­diamo sprigionarsi dall'attività operaia – così c'è una storia "morta" dentro la stabilità delle istituzioni, in contrasto con l'azione rivo­lu­zio­naria che è storia viva. Di più, la rivoluzione e "vita" tout court, e anzi: «Tutta la vita è diventata veramente rivoluzionaria: è un'attività sempre attuale, è un continuo scambio, una continua escavazione nel blocco amorfo del popolo» (ADL 11.8.1917).

    Con chiaroveggenza divinatoria è evocata l'immagine dell'incendio cosmico, che «si propaga, brucia cuori e cervelli nuovi, ne fa fiaccole ardenti di luce nuova, di nuove fiamme... La rivoluzione procede fino alla completa sua realizzazione». In questo stato nascente vengono suscitate nuove energie e propagate nuo­ve "idee-forze", sicché gli stadi graduali dell'evoluzionismo sociale possono essere bypassati dal pen­siero vitalistico-rivoluzionario. Esso in via di fatto «nega il tempo come fattore di progresso. Nega che tutte le esperienze intermedie fra la concezione del socialismo e la sua realizzazione debbano avere nel tempo e nello spazio una riprova assoluta e integrale. Queste espe­rien­ze basta che si attuino nel pensiero perché siano superate e si possa procedere oltre» (ADL 11.8.1917).

    Ma i massimalisti devono ora entrare in scena come "ultimo anello logico di questo divenire rivoluzionario". Il punto d'arrivo dell'intero movimento non può abitare nella casa dei riformisti che rappre­sentano solo uno stadio dialettico transitorio. Ma tutto deve approdare infine ai massimalisti che incarnano l'essenza dell'evento e «sono la continuità della rivoluzione, sono il ritorno della rivoluzione: perciò sono la rivoluzione stessa» (ADL 11.8.1917).

    Se Kerenskij è la stazione di partenza, quella d'arrivo si chiama dunque Lenin. E il futuro fondatore dell'URSS ha ormai «suscitato energie che più non morranno. Egli e i suoi compagni bolscevichi sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare il socialismo. Sono nutriti di pensiero marxista. Sono rivoluzionari, non evoluzionisti» (ADL 11.8.1917).

 

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Antonio Gramsci nel 1915, quando inizia la sua intensa

attività redazionale ne "Il Grido del Popolo" di Torino.

 

La tempesta vitalistica scompone e ricompone gli «aggregati sociali senza posa e impedisce… il formarsi delle paludi stagnanti, delle mor­te gore». Dopodiché, seconda divinazione di Gramsci, financo «Lenin e i suoi compagni più in vista possono essere travolti nello scatenarsi delle bufere che essi stessi hanno suscitato». Ed è proprio questo il travolgimento che, in effetti, accadrà già a partire dalle prime dure repliche della storia.

    E a quel punto Antonio Gramsci, non più ventiseienne in Torino, inizierà a lavorare al nucleo della sua riflessione filosofica più propria, l'idea-forza di una "egemonia culturale" intesa come conditio "so­vra­strut­tu­rale" della rivoluzione proletaria. L'egemonia deve avere luogo anzitutto nella coscienza delle masse. Senza il loro consenso s'in­stau­rerebbe, infatti, soltanto un "dominio" fattizio: un'oppressione vio­lenta, "giacobina", sostanzialmente instabile.

    In questo modo, però, l'idea-forza gramsciana approderà a un luogo molto distante rispetto a quello dell'assalto alle casematte del potere che il "massimalismo" leniniano si appresta a celebrare con la presa del Pa­lazzo d'Inverno. La sua "egemonia culturale" si collocherà semmai nei pressi della teoria della "rivoluzione sociale" che il riformista Tu­rati tratteggerà a Livorno nel gennaio del 1921.

(21. continua)

 

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell'anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté "coprirle" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di "guerra alla guerra". Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

 

   

LAICITÀ

 

DECIMO FESTIVAL

MEDITERRANEO DELLA LAICITÀ

 

Pescara, 20-21-22 ottobre 2017,

Aurum, Largo Gardone Riviera,

Sala Francesco Paolo Tosti, piano terra

 

PescaraOrganizzazione: Associazione Itinerari Laici - Collaborazione Scientifica: LabOnt Maurizio Ferraris - Coordinatrice organizzativa: Silvana Prosperi - Comitato organizzativo: Muni Cytron, Michele Meomartino, Greetje Van der Veer, Paolo Visci - Promozione / Ufficio Stampa: Associazione A.C.M.A. – Valentina Angela Stella

 

Il Festival è preceduto e seguito da tre cicli:

 

Laicità ARTE

EVENTO: www.facebook.com/events/115906432482028

Ciclo di Arte a cura di Simone Ciglia e GiovanBattista Benedicenti

sabato 16 settembre / sabato 23 settembre / sabato 7 ottobre 2017

Museo d'arte moderna Vittoria Colonna, Via Gramsci, 1, Pescara piano terra h. 17.30

 

Laicità MUSICA

EVENTO: www.facebook.com/events/1760317127594091/

Aurum, Largo Gardone Riviera, sala Francesco Paolo Tosti, Pescara piano terra h. 17.00

venerdì 20 ottobre 2017

Alan DI LIBERATORE – Violoncello

Esplorare Nuovi Linguaggi

 

Laicità CINEMA

EVENTO: www.facebook.com/events/305796813162029/

Ciclo di Cinema a cura dell'Associazione ACMA

Sabato 28 ottobre / sabato 4 novembre / sabato 11 novembre 2017

Museo d'arte moderna Vittoria Colonna, Via Gramsci, 1, Pescara piano terra h. 17.30

           

          

LETTERA

 

Storia, Geografia e Generi del Canto Sociale

 

Laboratorio pratico per voci libere o strumenti musicali

condotto da Salvatore Panu (fisarmonica e voce)

 

Il canto sociale è un concetto molto ampio, utile proprio in tal senso perché ci permette di comprendere la storia e l'attualità dei canti di protesta, di lotta, di lavoro e più in generale tutte le pratiche musicali delle culture popolari di tradizione orale. Nel recente passato, questa storia cantata, si riattiva in Italia a partire fin dagli anni Cinquanta con l'esperienza del Cantacronache e in maniera più diffusa a partire dai primi anni Sessanta con la nascita del Nuovo Canzoniere Italiano e quindi di tutti i Canzonieri diffusi in Italia (fra cui il Canzoniere delle Lame di Bologna) e soprattutto con la presa di coscienza da parte dei soggetti popolari stessi, dell'importanza e della bellezza della propria cultura popolare di tradizione orale, non più segno di inferiorità sociale ma tratto distintivo di riscatto delle differenze. Questa storia si arricchisce infatti anche con la diffusione delle ricerche antropologiche, sociali ed etno-musicologiche e l'intreccio continuo con i movimenti politici e culturali, con tutti quegli intellettuali rovesciati che hanno contribuito a questa presa di coscienza, incrociandosi in gran parte attorno all'esperienza dell'Istituto Ernesto De Martino. Il canto sociale rischia continuamente di farsi genere musicale ma sfugge sempre, grazie alla sua estensione, alle etichette di mercato, grazie alle ineluttabili nuove generazioni che hanno praticato successivamente la presa di parola critica sul mondo. Dagli anni '80 la canzone politica diminuisce la sua vena creativa ed emergono altri fenomeni più rilevanti dal punto di vista etno-sociologico musicale: le sottoculture punk degli anni '80, il rap e l'hip hop negli anni '90 e le culture dei migranti che sbarcano in Europa nel nuovo millennio.

    La dimensione europea della storia del canto sociale ha sicuramente due momenti di enorme importanza: il repertorio dei canti della Comune di Parigi (1871) e quelli della Guerra civile e della Resistenza spagnola (1936-39). Molta vivacità ha espresso soprattutto a partire dagli anni Sessanta anche la cultura latino americana. Infine, per capire a fondo la complessità delle culture popolari di tradizione orale, è importante approfondire lo studio delle singole culture popolari, per esempio quella tuttora viva e non in conserva della Sardegna, come di tante altre singole regioni italiane o di altre parti del mondo.

 

Salvatore Panu, torepanu at tiscali.it

        

        

LETTERA

 

AUTONOMIA, INDIPENDENZA,

SECESSIONE: LIBERTA' O MITO?

 

La vicenda Catalana di questi giorni fa esplodere un problema sentito da milioni di cittadini europei. Ci sono ben 30/35 aree geografiche europee pronte a chiedere una forma di regolare autonomia. La crisi catalana insegna che il rapporto tra Stati deve essere normato da leggi, regolamenti ma anche da un comune sentire di cui uno Stato attento non può non farsi carico. Ben prima di Bossi, fu il P.Sardo d'Azione primo ad intercettare il "comune sentire", come poi la Lega fece per il territorio lombardo e quello veneto. Distaccati dal paese per motivi di identità culturale, e forse anche etnica, ritrovano nella questione fiscale, il puntum dolens dell'unione al paese. Come liberarsi da questa, ritenuta dai più una zavorra?

    Si possono perseguire tre strade:

-   Quella della Autonomia, cavalcata nello Statuto Siciliano che individuava ragioni di indipendenza non separatista, una volta messi da parte Finocchiaro Aprile, l'Evis e la banda Giuliano che volevano fare dell'Isola la 51ma stella americana. Autonomia amministrativa con Statuto speciale volto alla risoluzione dei principali problemi normativi e legislativi su ogni tematica, anche quelle non comprese nel Titolo V. Alla base resta però l'uniformità di comportamenti politici internazionali e comunitari che rendono la Regione parte integrante del contesto Europeo. Agonismo sinergico dunque con lo Stato di appartenenza.

-   Quella della Indipendenza, amministrativa, fiscale, legislativa e su ogni fonte di cespite. E' il caso della Catalogna che vanta il 20% del PIL iberico, che ha tradizioni culturali, linguistiche ed economiche differenti ma non discostanti da quella spagnole. E' il caso della Scozia che vuole far valere il principio di primogenitura sul mercato del Brent, imponendo i suoi prezzi e non quelli del governo della Regina. Certo gli scozzesi hanno tradizioni differenti da quelle britanniche ma non discostanti al punto da entrare in competizione. Antagonismo paritario dunque con lo Stato di appartenenza.

-   Quella della Secessione che significherebbe rottura e antagonismo politico con frattura insanabile, balcanica come è avvenuto in Kossovo, Cecenia e paesi in cui il dettato costituzionale non c'è o stenta ad avvalersi.

    Come attuare il federalismo? Appare evidente che la prima moti­vazione sia quella della indipendenza fiscale. Il gettito va interamente alla Regione che lo raccoglie o in quale misura va destinato alle ne­cessità statali? I secondo problema è quello dell'esazione. Problema notissimo in Sicilia il cui Governo aveva affidato a privati l'esazione delle imposte. Ma sappiamo come la Satris, società con aggio al 10%, andò a finire. L'Esattoria poi passò la Monte dei Paschi che, si sa, non ha sede in Sicilia ma nella blindatissima Siena. La Serit, nata con l'acquisizione di Banca Popolare di Canicattì e Banca di Messina, fu chiamata ad assumere la gestione della riscossione dei tributi ma l'aggio restò ancora alto (1). Oggi il compito è affidato a Riscossione Sicilia, una S.p.A. il cui pacchetto azionario di maggioranza è detenuto dalla Regione Siciliana (99,885%) e solo lo 0,115% da Equitalia S.p.A. Sviluppare questo argomento è compito reso difficile dalla complessità delle norme tributarie ma c'è una notizia che ha sorpreso tutti i non addetti ai lavori.

    Una notizia clamorosa che è passata inosservata. La Corte Costi­tu­zionale, con la sentenza 4 luglio 2017 n° 154, ha in sostanza reso nulle e vanificato tutte le imposte fiscali (Iva-Irpef-Irpeg) e le accise sui beni di consumo quali alcolici e carburanti per i residenti della Sardegna. Anche le utenze di gas ed energia elettrica dovrebbero essere esenti da tasse quali IVA e accise, almeno dal 2010. La Corte Costituzionale conferma che, ai sensi del D.lgs. n. 114/2016, la Regione Sardegna è stata autorizzata a concedere (appunto a decorrere dal 2010) tutti i vantaggi fiscali previsti dalle Direttive n. 69/75/CEE, n. 69/74/CEE e dai Regolamenti n. 918/1983 e n. 2504/1988, quelle compensazioni fiscali che competono ai residenti nell'isola (2). E ciò in virtù del D.lgs. n. 75/98 che ha dichiarato il territorio della Sardegna extra doganale, ai sensi di quanto previsto dall'art. 128 del Regolamento n. 2913/92, dove si prevede che si può chiedere il rimborso o lo sgravio dai dazi doganali, Iva e accise (dazi all'importazione), quando si dimostri che le merci siano destinate ad una zona franca.

    L'art. 92 del Trattato di Roma conferisce alle Isole lontane come, appunto, la Sardegna e alla Sicilia, che pure non ne ha fatto richiesta, la liceità di un regime fiscale speciale di franchigia. Al di fuori di una ristretta classe politica e cerchia di giuristi, soprattutto esperti di Diritto Costituzionale, nessuno ne ha mai saputo nulla. Appare invece ascritto alla Giunta Cappellacci il merito di essersi battuta a riguardo, raccogliendo la sollecitazione di 320 sindaci per la Zona Franca Integrale(3).

    La vicenda nasce da un complesso articolato di concorrenza legislativa tra l'UE e Paesi membri, similare a quanto avviene codificato in Italia dall'art. 117 della Carta Costituzionale. All'Italia, quale Stato membro, compete l'obbligo di adottare disposizioni e contenuti non solo dei Trattati, ma anche dei Regolamenti e Direttive Comunitarie, quali appunto le Direttive n. 69/75/CEE, n. 69/74/CEE e dai Regolamenti n. 918/1983 e n. 2504/1988, sulle compensazioni fiscali.

    Invece, anziché la tassazione prevista nella Direttiva n.69/75/CEE, è stata riservata alle Regioni a Statuto Speciale la stessa tassazione fiscale riservata alle altre a statuto ordinario.

    Adesso la popolazione, cui non è stata applicata la disposizione, vanta ottimi motivi per una class action dal possibile risvolto devastante. Immaginate quanti artigiani, esercizi commerciali e imprenditoriali hanno avuto il destino del processo fallimentare a causa della mancata applicazione di questa normativa. Ne verrebbero coinvolti politici e funzionari dell'Agenzia delle Entrate della Sardegna.Senza considerare le aziende petrolifere che non hanno indotto i titolari della distribuzione dei carburanti a porre in essere detta normativa. Naturalmente potrebbero incorrere nel reato di evasione e frode fiscale per illecito arricchimento.

    Per estrapolazione medesimo regime fiscale potrebbe essere esteso anche ai ticket sanitari ed alle spese accessorie sanitarie private.

    La titolarietà della Zona Franca, quale territorio extra doganale ai sensi dell'art. 169, 170 e 251 del D.P.R. n.43/7, ha una lunga storia che trova le sue radici nei Padri Costituenti. Già la normativa delle zone franche veniva introdotta mediante l'art. 12 della legge Costituzionale n. 3/1948 e il successivo D. lgs 75/78. Il D. lgs 43/73 codifica il diritto di ritenersi o istituire zone franche per la caratterizzazione geografica di lontananza, di isolamento ovvero di natura demografica. Così sono disciplinati dalla stessa normativa, al pari della Sardegna, con esclusione di dazi doganali, iva e accise, la Regione della Valle d'Aosta, il porto franco di Trieste, diritto riconosciuto prima dell'entrata in vigore del Trattato di Roma del 1957, che con l'art. 234 modula le convenzioni internazionali concluse tra gli stati membri e paesi terzi (3).

    Contra legem dunque l'imposizione di un regime fiscale permanente. Chi lo pone in essere, classe politica che lo concepisce e classe dirigente che lo attua, si rende responsabile di danno provocato ad interi strati sociali, non dunque alla singola persona giuridica, ai sensi degli artt. 2598, 2599,2600, 2601 C.C.

    Tuttavia la Corte Costituzionale n.154 del 4.07.2017 a pagina 18 mitiga e pone una pregiudiziale ai fini giuridici futuri. Afferma infatti che il danno causato dall'Italia alla Sardegna, nella cosiddetta "Vertenza Entrate" viene "superato in conseguenza dei vantaggi ottenuti con l'accordo stipulato in data 21 luglio 2014, dei cui obblighi non può sostenersi l'inadempienza da parte dello Stato dopo che lo stesso ha dato attuazione all'art. 8 dello Statuto Sardo con l'emanazione del D.lgs. n. 114/2016, in tal modo eliminando la causa principale degli squilibri finanziari lamentati dalla Regione Sardegna", (3).

    Dunque, la Corte sentenzia che la Regione è stata autorizzata alla concessione dei benefici fiscali, previsti dalle Direttive n. 69/75/CEE, n. 69/74/CEE e dai Regolamenti n. 918/1983 e n. 2504/1988, avendo lo Stato italiano disciplinato la Regione Sardegna tra quella a Zona Franca. Regolamento n. 2913/92 che assieme al Regolamento n. 2454/93, disciplinano il regime fiscale che deve essere riservato ai residenti nei territori individuati come extra doganali, e per questo appositamente richiamati nello stesso decreto (D.lgs.n.75/98) (3).

    Dunque, ancora, preminenza del Diritto Comunitario rispetto a quello degli Stati membri, come recita anche il Regolamento UE n. 952/2013, che si pronuncia nel merito ora discusso. All'art. 5 si osserva che per l'Italia continuano ad applicarsi le disposizioni del D.P.R. n.43/73 (TULD) e quelle del D.lgs. n. 374/90 .

    E' questa una tematica che sembra più affrontata e risolta in sede europea che italiana. Come se il federalismo fiscale, la devoluzione e la disciplina fiscale nel suo complesso non fossero oggetto di considerazione dalla Costituzione. Invece l'art. 117 disciplina il regime di concorrenza legislativa, in pratica da un lato la potestas legislativa regionale, e qui parliamo di Regioni a Statuto Speciale, e dall'altro la Legge nazionale d'insieme o quadro, spettante al Governo. Mentre l'art. 116 disciplina non solo l'istituzione regionale ma ne codifica il funzionamento.

    Disattenzione od omissione? Un clamoroso esempio di mancata attuazione della Costituzione Italiana (artt. 116, 117 nonché Titolo V) e Disposizioni europee.

    Eppure in Sardegna da sempre è presente il Partito Sardo d'Azione. Al tempo dei suoi fondatori, Lussu, Melis, questa vicenda non sarebbe passata inosservata.

    Cessata la competitività devoluzionista della Lega, il nostro Partito Sardo d'Azione, che è ancora legato, e giustamente, a queste tematiche, dove va ?

 

Aldo Ferrara, Siena

 

1.                Lo Re Franco, La riscossione dei tributi in Sicilia. Dai Salvo ad oggi, cambiano i volti, non la sostanza delle cose, Tp 24 Economia,10.06.13

2.                D.Lgs. n. 114/2016, Norme di attuazione dell'articolo 8 dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna - legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, in materia di entrate erariali regionali.

3.                Sardegnareporter.it La Sardegna finalmente è ZONA FRANCA. Corte Costituzionale: sentenza del 4 luglio 2017 n°154/17. luglio 2017

        

 

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

 

Allegato Rimosso
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