[Diritti] Prima o poi



L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894

Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale - inviato oggi a oltre 50mila utenti – Zurigo, 21 settembre 2017

    

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IPSE DIXIT

 

Prima o poi - «Prima o poi, le banche centrali cesseranno di compor­tarsi come dei Madoff legalizzati. Dovranno ridurre il flusso di denaro gratuito che stanno dando alle banche. Ciò farà salire i tassi d'interesse e i governi e le imprese dovranno tagliare le spese o finiranno in bancarotta». – Jacques Attali

 

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Bernard Madoff. 150 anni di carcere

    

          

EDITORIALE

 

L'ADL ha tagliato il

traguardo dei 120 anni

 

120 anni dalla parte dei lavoratori, dei migranti e dei diritti

dell'uomo: una vecchia bandiera rossa che continua a

sventolare sfidando il tempo e l'arroganza del potere.

 

Questa testata nasce a fine Ottocento, in seguito ai vari "pogrom" anti-italiani che stavano avvenendo in quegli tempi nelle varie città europee e che si ripeterono, da ultimo, a Zurigo nel 1896.

    «Il 26.7.1896 nel quartiere operaio di Aussersihl a Zurigo scoppiarono dei tumulti, protrattisi per diversi giorni, a seguito di una rissa in cui un Alsaziano era morto accoltellato da un muratore. Come già avvenuto durante la rivolta del Käfigturm a Berna nel 1893, la collera popolare si scatenò dapprima contro gli Italiani per poi rivolgersi, dopo l'intervento della polizia e dell'esercito, anche contro le autorità», così si legge nel Dizionario storico della Svizzera.

 

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Copertina del Corriere della Domenica dedicata

ai "disordini di Zurigo" e alla "caccia agli Italiani".

 

«La sommossa fu una protesta spontanea delle classi popolari, priva di rivendicazioni concrete, e può essere considerata l'espressione di una crisi legata alla modernizzazione», prosegue il Dizionario, concludendo che: «Gli immigrati italiani, perlopiù lavoratori stagionali impiegati nell'edilizia, divennero il capro espiatorio del profondo disagio causato dai rivolgimenti economici e sociali dell'epoca.»

    Nelle analisi politiche dei nostri antichi predecessori, però, la ragione di quei pogrom anti-italiani risiedeva "materialisticamente" nella concorrenza salariale dei nostri migranti verso i lavoratori autoctoni. Da ciò conseguiva, per il PSI in Svizzera e in modo particolare per Giacinto Menotti Serrati allora alla guida del partito in emigrazione, la necessità di rafforzare massimamente il sindacato locale, anche tra i connazionali.

    E fu così che il PSI in Svizzera – insieme all'Unione sindacale e alla Federazione Muraria – fondò questo giornale come organo di stampa comune, che iniziò le pubblicazioni nel settembre del 1897, un anno e un mese dopo i "Tumulti antiitaliani" di Zurigo.

 

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Briga (ca. 1900) all'imbocco del traforo del Sempione

 

Nel corso del tempo questa testata ha cambiato dicitura due volte. All'atto di nascita si chiamava "Il Socialista", come ricorda Claude Cantini nel suo Quaderno sulla stampa italiana in Svizzera. Con il 1° luglio 1899 muterà in "L'Avvenire del lavoratore" (al singolare) per poi essere lievemente ritoccata al plurale in "L'Avvenire dei lavoratori" da Ignazio Silone nel 1944.

    Dopo la "prima fase", dedicata alla fondazione del sindacato in lingua italiana, la linea editoriale dell'ADL si sposta verso tematiche sempre più politiche. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, viene abbracciata decisamente la causa pacifista, sotto la direzione di Angelica Balabanoff, segretaria generale del movimento di Zimmerwald.

    In questa "seconda fase", l'originario entusiasmo per la rivoluzione russa si raffredda gradualmente, fino a spegnersi e a invertire la rotta in senso anti-sovietico dopo la rivolta di Kronstadt e il rientro della Balabanoff in Occidente nel 1922. Nel biennio 1921-1922, dalla Scissione di Livorno alla Marcia su Roma, lo stato liberale italiano subisce intanto un vero e proprio collasso.

    Inizia la "terza fase" dell'attività editoriale dell'ADL, che deve assumere su di sé i compiti legati al proprio nuovo status: l'essere rimasta l'unica testata libera della politica italiana. Gli altri giornali di partito vengono soppressi con l'avvento del fascismo-regime, don Luigi Sturzo viene esiliato a Londra con avvallo papale, la stampa collegata al Pci è assoggettata alle tiranniche direttive staliniane.

    Nella seconda metà degli anni Venti viene stampato a Zurigo l'Avanti! parigino in coedizione con l'ADL e con il determinante sostegno economico del movimento cooperativo italiano in Svizzera. Ma nell'estate del 1940 le armate hitleriane occupano Parigi e il "Centro estero" socialista deve riparare nella Francia sud-occidentale, a Tolosa. Di lì, nel 1941, il "Centro Estero" è trasferito in Svizzera, a Zurigo, sotto la guida di Ignazio Silone.

 

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Documento colorniano "Per gli Stati Uniti

d'Europa" in apertura dell'ADL dell'11.2.1944.

 

In questa "quarta fase" Silone avvia  un importante tentativo di rinnovamento del socialismo italiano – di concerto con Eugenio Colorni che da Roma conduce le attività del "Centro Interno" e dirige l’Avanti! clandestino. Come scrive Ariane Landuyt, questo tentativo s’impernia sull'idea degli "Stati Uniti d'Europa" in prospettiva strategica filo-occidentale e antisovietica. Colorni però cade in uno scontro a fuoco con le milizie fasciste e, all'indomani della Liberazione, la linea siloniana verrà sconfitta dal neo-frontismo di Nenni e Togliatti, ma quel tentativo di rinnovamento riemerge oggi, attualissimo, nella sua straordinaria capacità anticipatrice.

    Dopo il rientro in Italia dei fuoriusciti, la "quinta fase" – quella del secondo Dopoguerra – è caratterizzata da personalità del mondo po­litico e giornalistico svizzero che, come Ezio Canonica e Dario Rob­biani, si impegnarono fortemente a contrastare la xenofobia anti-stra­nieri esplosa in questo Paese con grande virulenza a partire dalla lunga ondata migratoria proveniente soprattutto dal Mezzogiorno d'Italia.

    La "sesta fase", quella in cui ci troviamo, è stata inaugurata dalla caduta del Muro di Berlino, dal crollo dell'Urss, dalla fine della "guerra fredda" e dalla crisi della "Prima Repubblica", che ha portato anche alla fine del PSI in Italia (ma non del “Centro Estero”).

    Noi non disconosciamo il desiderio di mora­liz­zazione che aveva mosso l'opinione pubblica all'epoca di "Mani pulite", ma giudichiamo altamente pericolose per la democrazia nel nostro Paese le spinte demagogiche sviluppatesi insieme al cosiddetto "circolo mediatico-giudiziario" fin dal 1992.

    Purtroppo, venticinque anni di cosiddetto "nuovo che avanza" mostrano risultati ormai evidenti a tutti. La lunghissima crisi economica ha provocato nuovi apici di disoccupazione giovanile e nuovi flussi migratori. È nato e si è diffuso un sentimento xenofobo, antipolitico e anti-europeo che si assomma azzardosamente alla crisi degli stati nazionali e allo scarso senso civico degli Italiani. La confusione, l'improvvisazione e l'approssimazione con cui pezzi d'establishment della "seconda Repubblica" hanno tentato revisioni costituzionali e riforme elettorali a proprio uso, stanno mettendo ulteriormente alla prova la tenuta delle istituzioni.

    A fronte dei problemi sul tappeto e delle sfide future, le nostre forze sono quasi del tutto trascurabili. Ma – non mollare! diceva Carlo Rosselli resteremo impegnati, in controtendenza rispetto all'eclissi della politica italiana, nella salvaguardia attiva di un patrimonio ideale di sinistra, che appartiene a tutti e che rimane ineludibile rispetto a qualunque tentativo serio che l'Italia vorrà intraprendere per uscire dall'attuale "costellazione weimariana".

   

                   

SPIGOLATURE 

 

«Solo il racconto del male è eccitante». Falso!

 

di Renzo Balmelli 

 

STEREOTIPO. A scrivere il grande romanzo del bene e del male, ovvero le due forze che muovono l’umanità, ha provveduto e tutt’ora provvede una vasta letteratura che va dai primi filosofi agli autori moderni e contemporanei. Venendo alla nostra epoca, contrassegnata dal flusso caotico dell’informazione e dall’inquietante deriva del feroce qualunquismo, verrebbe da dire, ripensando ad Hanna Arendt, che il male inteso come banalità sia da mettere sul conto della cecità morale. Una condizione che sembrò portarci all’annientamento delle coscienze quando eravamo sovrastati dalle urla e dal rumore agghiacciante degli scarponi chiodati. Ora che certe minacce sembrano voler uscire dai loro sepolcri, cresce la spinta verso un rinnovamento dei valori che il Corriere della Sera prova a intercettare col settimanale "Buone notizie. L’impresa del bene". Una provocazione e una sfida – come avverte la presentazione – per attivare il circolo virtuoso del bene e smentire la credenza che soltanto il racconto del male sia eccitante. Uno stereotipo – citiamo – fuorviante e ingannevole.

 

ADDIZIONE. Tormentone dell’accozzaglia populista, lo ius soli non è soltanto il "fiero pasto" di chi in Italia conta di ricavarne ampie scorte elettorali. In virtù di regole non scritte che hanno sdoganato un modo di intendere la cittadinanza scostante se non addirittura intollerante, la questione dell’identità tende a manifestarsi in varie forme anche dove meno te lo aspetti. Nella civilissima Svizzera, che non conosce lo ius soli, ma resta comunque un buon modello di integrazione, il solo fatto che alcuni candidati al seggio del governo federale rimasto vacante avessero due passaporti, quello elvetico e quello europeo, ha innescato una campagna al calor bianco anche qui alimentata ad arte dalla destra nazionalista anti UE. Il fatto che la polemica abbia investito l’agenda politica evidenzia quanto siano scoperti i nervi su un argomento che finora non aveva mai destato particolari problemi di convivenza. La Confederazione difatti è l’addizione di più appartenenze, di più lingue e culture che ha sempre funzionato senza particolari intoppi. Ma in giro tira un brutto vento e nessuno ne è al riparo.

 

PROVA. Come l’allenatore che riprende una squadra in difficoltà e sull’onda del fattore novità riesce a vincere tre o quattro partite di seguito, ma poi ripiomba nella mediocrità, anche Martin Schulz chiamato al capezzale della SPD per conquistare la Cancelleria, dopo l’iniziale euforia non ha saputo far valere le proprie ragioni. L’ex Presidente del Parlamento europeo, carica che gli aveva conferito visibilità e prestigio, attirandosi i giudizi sprezzanti di Berlusconi, non è riuscito a offrire una prestazione all’altezza delle aspettative. I sondaggi dicono addirittura che i socialdemocratici subiranno alle elezioni di domenica uno smacco bruciante, il peggiore della loro storia recente. Qualcuno ha scritto che Angela Merkel, ormai avviata verso la sicura e confortevole riconquista del quarto mandato, in Italia col suo modo di fare non andrebbe lontana. Ma è una magra consolazione. Le elezioni tedesche, così come quelle francesi o la Brexit ci riguardano da vicino e nell’ottica della sinistra costituiscono un banco di prova il cui esito può davvero cambiare il corso della sua e della storia europea del Terzo millennio.

 

BUGIE. Se è sempre valido il teorema di Agatha Christie secondo il quale tre indizi fanno una prova, lo stesso concetto potrebbe essere applicato anche alle fake news, che in forme sempre più massicce intasano i nuovi mezzi di comunicazione di massa. Enfatizzate, riproposte a oltranza e ingigantite dalla diffusione sui social network, le notizie false finiscono a volte col conquistare una loro subdola credibilità condizionando in modo erroneo la fruibilità da parte dell’utente più indifeso. È vero, certo, che le bugie ci sono sempre state. Ma nello scenario dell’ampia circolazione in rete il fenomeno dispone di un potenziale enorme e pernicioso che si manifesta attraverso gli appelli all’emotività e alle convinzioni personali. Mentre la cosiddetta famiglia dei "grandi fratelli" – Facebook, Twitter, Google – ha ormai una posizione consolidata, quello delle fake news rappresenta forse il fenomeno più subdolo di un sistema mediatico che ha detta di molti ha cambiato il mondo tanto quanto sia riuscito a fare la scoperta di Gutenberg. Ma con un impatto molto più amplificato.

   

      

   

ADL 120

 

1897

2017

 

 

Una giornata di studi e dibattiti

nel 120° dalla fondazione dell'ADL

 

 

18 novembre 2017

Cooperativo Zurigo, St. Jakobstrasse 6, 8004 Zürich

Ingresso libero / Info: 044 2414475 / cooperativo at bluewin.ch

 

Ore 10.00

 

Due libri presentati dai loro autori

Mattia Lento e Viviana Meschesi al confronto

con il pubblico zurighese

Il Dr. Lento parlerà de La scoperta dell’attore cinematografico eu­ro­peo, (Pisa 2017). La Dr. Meschesi parlerà di Sistema e Tra­sgres­sione. Logica e analogia in Rosenzweig, Benjamin e Levinas, (Milano 2010). Moderatore: Francesco Papagni, teologo e giornalista.

 

 

Ore 11.00

 

Anima, mondo ed esperienza.

L’eredità kantiana in Helmut Holzhey

 

Il prof. Pierfrancesco Fiorato (Sassari) discute con Helmut Holzhey (professore emerito presso l’Università di Zurigo) la sua opera Il concetto kantiano di esperienza, riedita nell’ottantesimo compleanno dell’Autore. / Moderatore: Dr. Andrea Ermano, direttore dell’ADL.

 

 

Ore 12.15

Pausa dei lavori e rinfresco

 

 

Ore 13.15

 

Il “Caso Englaro” otto anni dopo

Ricordi e riflessioni di Beppino Englaro e Renzo Tondo

 

Beppino Englaro, padre di Eluana Englaro, e l’on. Renzo Tondo, Governatore della Regione Friuli Venezia-Giulia all’epoca del “Caso Englaro”, verranno intervistati dal decano dei giornalisti italiani in Svizzera, Giangi Cretti.

 

 

Ore 14.15

 

Grande Riforma?

Ma l’Italia ha bisogno di grandi riforme? E, se sì, di quali?

 

Il sen. Paolo Bagnoli (Università Bocconi di Milano e Università di Siena), l’on. Felice Besostri (costituzionalista autore dei ricorsi contro il Porcellum e l’Italicum) e il Dr. Andrea Ermano, direttore dell’ADL, verranno “moderati” dal Dr. Mattia Lento (Innsbruck).

 

Ingresso libero / Info: 044 2414475 / cooperativo at bluewin.ch

   

    

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Malati di disuguaglianza

 

Alle Giornate del lavoro di Lecce la lectio magistralis di Paolo Vineis, professore di Epidemiologia ambientale all’Imperial College di Londra. Al cambiare del lavoro è cambiato anche l’impatto biologico, da uno molto fisico si è passati a uno psicologico.

 

di Lello Saracino

 

«I poveri muoiono prima» è il titolo di un documentario realizzato a Roma negli anni ’70 da un gruppo di registi vicini al PCI, tra cui spiccavano i fratelli Giuseppe e Bernardo Bertolucci. Ma se quel lavoro di indagine interessava i disservizi del sistema sanitario nella capitale, la povertà come elemento che riduce le aspettative di vita è da tempo oggetto di numerose ricerche e studi epidemiologici. Non solo ragioni ambientali connesse – malnutrizione e disagio abitativo per esempio – ma anche un processo genetico e metabolico che produce stress che si trasforma in malattia e che è connesso direttamente al lavoro e alla condizione di precarietà. "L’impatto biologico delle diseguaglianze" è il titolo della lectio magistralis che ha aperto il programma di sabato 15 settembre delle Giornate del Lavoro della Cgil a Lecce.

    Sul palco delle Officine Cantelmo Paolo Vineis, professore di Epidemiologia Ambientale presso l’Imperial College di Londra e che coordina il programma Horizon 2020 “Lifepath” sulle diseguaglianze nella salute. “Le speranze di vita tra il 1993 e il 2003 e tra il 2009 e il 2013 sono aumentata ma non per le aree povere. A una maggiore diseguaglianza è associata anche una minore mobilità sociale tra generazioni. Soprattutto questo è vero nelle società liberali dove più forte è il pregiudizio positivo delle opportunità, come nel caso de sogno americano. La realtà è ben diversa”.

    E al cambiare del lavoro è cambiato anche l’impatto biologico, afferma Vineis: “Da uno molto fisico si è passati a uno psicologico, connesso a due aspetti. Alle domanda di lavoro e al controllo della fase produttiva. Più è imprevedibile e pressante la domanda, meno si ha controllo della fase produttiva – le caratteristiche proprie di un lavoro precario – maggiore è l’impatto psicologico, lo stress, il logorio psico-fisico che ne deriva”. Ma in una fase di incertezza “anche un rapporto stabile può provocare stress, perché aumenta la domanda padronale che sa di poter far leva della paura della disoccupazione, e allo stesso tempo si è portati a mantenere un impiego anche se insoddisfatti”.

    Una condizione che “influenza biologicamente, interagisce con funzionamento dei geni, del DNA. Lo stress attiva meccanismi metabolici ed è documentale che questo processo è maggiore nelle classi sociali meno abbienti. La possibilità di realizzazione, le incertezze connesse alla globalizzazione, lo squilibrio tra domanda, aspettative sociali e possibilità di realizzazione connesse al lavoro incidono sull’invecchiamento, lo stress avvia processi infiammatori che dal cervello si trasferiscono al resto del corpo”.

   

     

ECONOMIA

 

Jackson Hole e le reticenze

delle banche centrali

 

Incontro "strano" quello di fine agosto

tra Janet Yellen, presidente della Federal

Reserve, e Mario Draghi, presidente della BCE…

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

È stato un incontro molto "strano" quello di fine agosto a Jackson Hole, dove si sono confrontati Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, e Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea.

Ogni anno nella nota località del Wyoming si fa il punto della situazione monetaria, finanziaria ed economica degli Stati Uniti e del resto del mondo. Quest’anno i due massimi responsabili della politica monetaria internazionale hanno parlato di molte cose, anche interessanti, ma hanno evitato accuratamente di presentare i loro programmi monetari futuri.

    I maggiori mass media economici hanno sostenuto che Yellen avrebbe difeso le riforme finanziarie e bancarie parzialmente realizzate dall’amministrazione Obama, mentre Draghi si sarebbe schierato contro il ritorno a misure protezionistiche. In sostanza entrambi avrebbero criticato le politiche di Donald Trump che, in effetti, sta smantellando la già debole riforma Dodd-Frank relativa alle banche "too big to fail" e al "sistema bancario ombra" e sta riavviando la campagna neoprotezionista "America First". 

    Considerazioni condivisibili. Ma il mondo vorrebbe anche sapere se e come la Fed aumenterà i tassi d’interesse e come e fino a quando la Bce intende continuare con il Quantitative easing. In questo momento le banche centrali perseguono politiche molto differenti ma con effetti globali rilevanti.

    In occasione del decennale della Grande Crisi, Yellen ha evidenziato che quanto fatto negli ultimi dieci anni avrebbe reso l’intero sistema più stabile e più sicuro.

    Importante è stata la sua ammissione che i responsabili della politica economica e monetaria americana avevano negato l’evidenza del collasso persino mentre questo avveniva. In merito ha detto: "Dieci anni fa il sistema finanziario americano e quello globale erano in una situazione di pericolo. I prezzi delle case nel 2006 avevano toccato il massimo e le difficoltà del mercato ipotecario erano diventate acute nella prima metà del 2007. In agosto la liquidità nei mercati monetari era deteriorata a tal punto da richiedere degli interventi da parte della Fed. Nonostante ciò, la discussione a Jackson Hole nell’agosto 2007, con poche eccezioni, era stata molto ottimista rispetto alle possibili ricadute economiche negative derivanti dalle tensioni che scuotevano il sistema finanziario".

    Il problema per i mercati, e non solo, è che la presidente della Fed ha attentamente evitato di confrontare la situazione del 2007 con quella di oggi. Eppure la situazione globale non è migliorata, anzi.

    Uno studio del Fondo Monetario Internazionale ha evidenziato che a fine 2015 il debito aggregato globale (pubblico, privato e corporate, senza il settore finanziario) ha toccato il livello di 152 trilioni di dollari, pari al 225% del Pil mondiale. La percentuale era di circa 190% nel 2007. E si stima che dal 2015 il debito sia cresciuto almeno di un trilione il mese.

    Intanto il debito pubblico mondiale è raddoppiato, passando da 29,5 trilioni del 2007 a circa 60 trilioni di dollari attuali.

    Lo stesso è accaduto per il debito "corporate", cioè quello delle imprese private. È di circa 50 trilioni di dollari, di cui la metà nelle economie emergenti, in primis la Cina. Nei paesi emergenti si è passati dai 7 trilioni del 2007 ai 25 trilioni di dollari di oggi.

    Anche il commercio mondiale non ha recuperato dopo il crollo post crisi. Secondo l’UNCTAD, l’agenzia dell’Onu che studia il commercio, definito 100 il valore del commercio mondiale delle merci nel 2000, esso era 250 nel 2008, 194 nel 2009 e 247 alla fine del 2016.

    Le borse internazionali hanno invece avuto un andamento molto differente e anche poco comprensibile. L’indice della borsa italiana è circa la metà di quello del 2007 e l’Euro Stoxx 50 Stock Market (l’indice delle 50 principali aziende dell’Eurozona, che dà una rappresentazione dei principali settori dell’area) è di 3500 punti contro i 4500 del 2007. Invece, è il Dow Jones americano a sbalordire: dal livello di 14.000 del 2007 era sceso a 6600 nel marzo del 2008 per arrivare oggi alla stratosferica vetta di 22.000 punti. Una crescita inflazionata senza precedenti!

    Non è un caso, quindi, che siano sempre più numerosi e autorevoli gli ammonimenti sul rischio di una nuova crisi finanziaria globale. Lo è sicuramente quello dell'ex presidente della Federal Reserve americana, Alan Greenspan, che, in una recente intervista all'agenzia stampa Bloomberg, ha detto che «siamo nel mezzo di una bolla relativa ai prezzi delle obbligazioni delle imprese».

    «Stiamo entrando in una nuova fase dell'economia, una stagflation mai vista dal 1970», ha detto Greenspan. Si tratta, com'è noto, della micidiale combinazione tra la stagnazione dell'economia e l'inflazione sui prezzi.

    Jacques Attali, il più noto uomo dell'establishment francese, dalle pagine dell'Express ha sostenuto che «prima o poi, le banche centrali cesseranno di comportarsi come dei Madoff legalizzati. Dovranno ridurre il flusso di denaro gratuito che stanno dando alle banche. Ciò farà salire i tassi d'interesse e i governi e le imprese dovranno tagliare le spese o finiranno in bancarotta». Si ricordi che Bernard Madoff è lo speculatore americano condannato a 150 anni di carcere per aver truffato 65 miliardi di dollari.

    Attali ha concluso che «sarebbe il momento di pensare collettivamente, con calma, a ridurre l'indebitamento e a mettere in atto delle vere riforme finanziarie da applicare a livello internazionale. Questo è il compito del G20. I governi dovrebbero occuparsi di questo, se hanno veramente a cuore l'interesse delle generazioni future. Naturalmente non si farà. Soltanto degli ottimisti lucidi potranno riuscirci». Un'amara conclusione, ma purtroppo realistica.

   

     

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

Trump sempre più "americanocentrico"

 

Debutta all'Onu il presidente Trump insieme al nuovo segretario generale, il socialista Guterres, il quale invita i Paesi all'unità, contro una "minaccia nucleare mai così elevata da Guerra Fredda". Trump critica l'Onu: "Tanti soldi, pochi fatti", e rimette al centro del dibattito gli Usa: "Metterò sempre l'America al primo posto e difenderò sempre i suoi interessi". Su Pyongyang non cambia idea: "Se attaccano distruggeremo la Corea del Nord"

 

Mentre gli occhi di tutto il mondo sono puntati sul presidente della Casa Bianca, la prima sorpresa viene offerta da Guterres che a una settimana dal referendum sull’indipendenza della regione del Kurdistan iracheno, gela le speranze dei curdi. “Il segretario generale ritiene che qualsiasi decisione unilaterale riguardo la convocazione di un referendum in questo momento possa distogliere l’attenzione dalla necessità di sconfiggere l’Isis, nonché dalla necessaria ricostruzione dei territori riconquistati e dal favorire un ritorno sicuro, volontario e dignitoso di oltre tre milioni di rifugiati e sfollati interni”, si legge in una nota del portavoce, Stephane Dujarric.

    Ma il referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno fissato dal leader curdo Massoud Barzani per il 25 settembre passa in secondo piano nell’agenda sul tavolo di Manhattan: Libia, l’accordo sul clima di Parigi, terrorismo e pulizia etnica dei Rohingya. Ma il punto principale e il nodo su cui si concentra l’attenzione dei Capi di Stato riuniti in assemblea è ancora una volta il problema degli armamenti nucleari e del conflitto con la Corea del Nord. “La minaccia del nucleare non è mai stata così alta dal periodo della Guerra Fredda”, così il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha aperto i lavori della sua prima Assemblea Generale. “La paura non è astratta – ha detto – milioni di persone vivono sotto un’ombra di terrore causata dai provocatori test nucleari della Nord Corea”. Guterres invita quindi il Consiglio di Sicurezza all’unità: “La soluzione deve essere politica, non bisogna procedere come sonnambuli verso la guerra”.

    Nonostante l’invito a restare uniti Trump parla ‘a senso unico’ e debutta in direzione “americanocentrica”. “Gli Stati Uniti hanno fatto molto bene dalla mia elezione – ha detto il presidente americano Donald Trump aprendo il suo intervento all’Onu – la Borsa è a livelli di record e la disoccupazione è in calo”. “Sono tempi di opportunità straordinari”. Donald Trump, aprendo il suo intervento all’Onu, afferma: “Benvenuti a New York. È un onore essere qui, nella mia città in rappresentanza degli americani”. Nella mattinata ha incontrato un altro ‘debuttante’ all’Assemblea generale, il presidente francese Emmanuel Macron, durante l’incontro gli ha ribadito che l’accordo sul clima di Parigi è ingiusto per gli Usa, aggiungendo però di non vedere l’ora di discutere ulteriormente della questione.

    Tuttavia il suo voler far da padrone negli States, lo ha portato anche a criticare e voler mettere i conti in ordine a Palazzo di Vetro. “Vedo un grande potenziale qui… Anche se negli ultimi anni non è stato raggiunto in pieno, a causa della burocrazia e della cattiva gestione. Nonostante il bilancio sia aumentato del 140% e il suo personale sia raddoppiato dal 2000 in poi, non vediamo risultati in linea con questi investimenti. Ma so che con il nuovo Segretario Generale le cose cambieranno rapidamente”. Il presidente americano chiede, tra l’altro, di filtrare e valutare anche sotto il profilo economico “ogni singola missione di peacekeeping”. Trump vuole ridurre i contributi americani, 28,5% per il bilancio da 7,3 miliardi delle operazioni di pace, e 22% per i 5,4 miliardi del bilancio regolare, ma sa che sono cifre ridicole rispetto ai quasi 700 miliardi spesi ogni anno dal Pentagono.

“Metterò sempre l’America al primo posto e difenderò sempre gli interessi americani”, dice Trump all’Onu: “Lavoreremo sempre con gli alleati ma non si potrà più approfittare di noi”. “Non vogliamo imporre il nostro stile di vita a nessuno – ha aggiunto – ma l’America vuole essere un modello”. Infine sulla Corea afferma: “Gli ‘Stati canaglia’ sono una minaccia per il mondo”, e aggiunge: “Se ci attaccano non c’e altra scelta che distruggere la Corea del Nord”.

    Ma da parte di Pyongyang invece si continua a denunciare l’ostilità americana. Il ministro degli Esteri nordcoreano definisce le sanzioni “il più viscido, immorale e inumano atto di ostilità”, sostenendo che queste hanno lo scopo di sterminare fisicamente il popolo, il governo e il sistema di Pyongyang.

 

Vai al sito www.avantionline.it/

    

          

Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

Il Di Pietro pentito

 

“C’è sempre uno più puro che ti epura”, diceva Nenni, rivolto probabilmente verso quei moralisti faciloni e manichei che dividono il mondo in buoni e cattivi. I buoni, ovviamente, sono loro. Il resto, tutti all’inferno. Con possibilità, al massimo, di scegliersi il girone dantesco in cui acquartierarsi. Poi però la coperta si rivela spesso corta. I proclami di purezza assumono il tono di starnazzamenti gridati alla luna. E il “tutto” che doveva cambiare, rimane, se va bene, uguale a prima. Se va male, peggiora, e di molto.

 

di Raffaele Tedesco

 

Voglio pensare che dietro le parole pronunciate da Di Pietro durante la trasmissione L’aria che Tira, su La7 ci sia la lettura meditata di Nenni. Già: perché quello che fu prima il volto più noto della vicenda di Mani Pulite, e poi il capo indiscusso e incontrastato di un partito che ne doveva rappresentare la longa manus politica, ha testualmente affermato: «Bisogna prendere atto di una verità sacrosanta, di cui sono parte interessata […] Se si cerca il consenso con la paura si possono ottenere voti a tre giorni, a un’elezione, ma poi si va a casa. Io ne sono testimone, io che ho fatto una politica sulla paura e ne ho pagato le conseguenze […] Io porto con me una conseguenza: ho fatto l’inchiesta Mani pulite con cui si è distrutto tutto ciò che era la prima Repubblica. Il male, e ce n’era tanto con la corruzione: ma anche le idee, perché sono nati i cosiddetti partiti personali. I Di Pietro, i Bossi, i Berlusconi, sono partiti che durano quanto una persona: e io personalmente, prima di mettere gli occhi al cielo, vorrei rendermi conto che non basta una persona».

    Da questa assunzione di responsabilità bisogna tenere ben distinti i due aspetti che hanno caratterizzato la vicenda personale di Di Pietro: quello giudiziario e quello politico. Su quello giudiziario, l’ex pubblico ministero non dice nulla di particolare, se non rilevare sia il dato della corruzione esistente all’epoca di Mani Pulite, sia la fine dei grandi partiti tradizionali con le loro idee e ideologie. E questa è storia. E’ sulla vicenda politica che invece c’è una piena assunzione di responsabilità. Con una chiara auto-stigmatizzazione del modo in cui si è cercato il consenso elettorale: con la paura, appunto. Il cui potenziale di infiammabilità è stato usato per fare terra bruciata nell’agone politico.

    Ma, così come la laicità di un paese non si misura con la mancanza o meno di volontà di una religione di permearne le istituzioni, ma attraverso l’impermeabilità e la capacità di queste ultime di resistere ad ogni tentativo di penetrazione della morale religiosa nelle leggi, l’opera di Di Pietro non ha avuto buon gioco solo per sue incapacità: anche per la “mollezza” dei corpi intermedi rimasti in piedi in quel momento in Italia. Cosa faceva la stampa in quel periodo, viene da chiedersi. Basta andare a rivedere le prime pagine di tutti i principali quotidiani dell’epoca per rendersene conto. Giocavano al tiro al piccione, mentre intorno ci si inebriava di furore iconoclasta con il quale si vaporizzava­no tanti corpi sociali, perdendone irrimediabilmente la fiducia.

    Quando Di Pietro, in modo teatrale, si tolse la toga e si tuffò in politica, trovò Berlusconi pronto ad offrirgli un ministero, in caso di vittoria alle elezioni politiche. Avergli messo a disposizione le sue televisioni, evidentemente, era poco. Qualche anno dopo, però, l’ex Pm una casa sicura la trovò nel collegio blindato del Mugello, gentilmente messogli a disposizione da Massimo D’Alema. E per non essergli da meno, il suo storico rivale per la leadership, Veltroni, fresco segretario del neonato Pd, designò Di Pietro come unico alleato di coalizione nelle elezioni del 2008 (con tutti i benefici che ne derivavano grazie alla legge elettorale), lasciando per strada i socialisti di Boselli. Senza dimenticare, ovviamente, gli anni in cui Di Pietro ebbe un ministero tutto suo.

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FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Ma il problema di Grillo

è la libertà, non la stampa

 

“Questo è sequestro di persona, vi mangerei tutti per il gusto di vomitarvi. Siete i principi del pettegolezzo, quindi non mi coin­vol­gerete. Un minimo di vergogna la percepite per il mestiere che fate, sì o no? O il vostro lavoro da 10 euro al pezzo giustifica tutto quello che state facendo, specialmente in questa città? Sulla realtà delle cose vi ponete un minimo di responsabilità di quello che mandate in onda nelle televisioni o sui giornali? Un minimo di amor proprio per questa terra ce l’avete oppure non vi riguarda?”. Queste le parole di Beppe Grillo all’uscita dell’Hotel Forum a Roma il 19 settembre.

 

di Valentina Bombardieri

 

Dichiarazioni che si commentano da sole. Ma si sa quanto ci piaccia esser scomodi. Motivo per cui vorremmo regalare ai nostri lettori qualche riflessione. È risaputo quanto Beppe Grillo e il Movimento Cinque Stelle non abbiano mai amato la stampa. Ma appare evidente quanto questa situazione di odio sia degenerata. C’è una strana idea di informazione in casa pentastellata. Nessuno di noi si è scordato le liste di proscrizione dedicate proprio ai nemici di sempre. Una idea che appare comune ad altri personaggi oggi in circolazione in Europa, che con la democrazia non hanno un rapporto amichevole (con qualcuno di loro il Movimento 5 stelle ha anche stretto alleanza parlamentare in Europa).

    Certo, Beppe Grillo è un comico. Anche se oramai non fa più ridere. È colui che ha creato un Movimento che assomiglia sempre di più a un Partito. Anzi, è un partito. A lui i giornalisti non piacciono. Ora. Ma se proviamo a ricordare gli anni d’oro della sua ascesa grazie ai quattrini degli abbonati Rai (e tra di essi molti dei giornalisti che adesso insulta, lui sì veramente senza vergogna per quel che dice, per come lo dice e per la distanza siderale dalla realtà dei fatti, ad esempio a proposito della condizioni di Roma, città in abbandono), fatichiamo a individuare momenti di fastidio davanti a un circo mediatico che gli dava successo e danaro. Nella trasmissione di Pippo Baudo non ha mai manifestato disappunto per la lucina rossa e gli occhi puntati addosso. Semmai, l’unico fastidio lo ha manifestato quando l’uomo che lo aveva lanciato si scusò per una sua battuta in larga misura di dubbio gusto (e anche di scarsa efficacia satirica) sui socialisti che aveva scatenato l’ira di Bettino Craxi (la prima fase della sua carriera Rai finì lì, ma poi, al di là di quel che dice lui, dopo un periodo di esilio, riprese).

    Sproloquiare sulla democrazia diretta è cosa che a Beppe Grillo viene molto bene. Ricordiamo però che non basta riempirsi la bocca della parola “democrazia”. Ogni democrazia che si rispetti ha bisogno dell’informazione. E questa non può essere sempre gradita. Anzi, più sgradita è agli uomini di potere (categoria a cui lui, che lo voglia o meno, si è iscritto nel momento in cui ha fondato un partito che punta a governare), più dimostra di essere libera, autonoma, indipendente. Può anche dare fastidio, può anche sbagliare, ma può anche essere chiamata a rispondere in giudizio dei suoi errori (cosa che lui evita per quanto riguarda il Blog domestico che porta il suo nome tenendolo, però, al riparo dalle responsabilità attraverso un sistema di ombre cinesi che lo nascondono e lo riparano dai rigori della legge quando da quelle colonne si diffama senza particolari conati, è proprio il caso di dire per rifarsi al suo elegante stile narrativo, di vergogna).

    Al guru pentastellato non piacciono i giornali e i giornalisti o giornalai, epiteto spesso usato in casa grillina (forse anche perché lavorando per ridurre la capacità concorrenziale, ad esempio sul piano della pubblicità, di questi mezzi di informazione concorrenti, punta a favorire il core business del suo “socio”, Casaleggio, prima padre e adesso figlio)? Problemi suoi. D’altro canto, anche lui non piace a tutti né a tutti piace la sua idea di libertà che, al contrario, può solo preoccupare chi della libertà ha veramente un sacro rispetto. E poi non a tutti piace informarsi attraverso il suo Sacro Blog che ha tutte le caratteristiche dei vecchi organi di informazione dei partiti: strumenti di propaganda, a volte anche molto professionali nella diffusione di notizie, ma da leggere con grande spirito critico non perseguendo, per ovvi motivi, il fine dell’obiettività. Non lo persegue, ovviamente, nemmeno quel Blog. E non lo persegue soprattutto Grillo che tira acqua al suo mulino, un mulino che dovrebbe cominciare ad allarmare tutti coloro che credono realmente nella democrazia e diffidano degli arruffapopoli.

    Essendo un cultore della democrazia diretta, Grillo saprà molto bene che la grande democrazia ateniese, quella che viene, a torto (secondo alcuni) o a ragione (secondo altri) associata al nome di Pericle, cominciò a declinare quando apparvero quelli che all’epoca venivano definiti demagoghi e che oggi si preferisce chiamare populisti. Cominciò il declino che si concluse col trionfo di Roma. Se con il disprezzo che a volte manifestano i ricchi nei confronti dei poveri, punta il dito contro i giornalisti da dieci euro a pezzo colpevoli di “spacciare” spazzatura, allora dovrebbe compiere il medesimo esercizio nei confronti di quei siti “spargi-bufale” attribuiti al variegato e pittoresco mondo del M5s.

    Così come nell’ambiente dello spettacolo vi sono comici bravi e comici meno bravi (Grillo è fuori quota perché non si sa bene cosa sia: comico quando insulta senza volerne pagare il prezzo, politico quando lancia i suoi diktat dal sapore sempre più illiberale) o così come in quello della sanità vi sono medici appassionati e altri che hanno abbracciato il mestiere perché qualcosa bisogna fare per campare, allo stesso modo vi sono giornalisti attenti e credibili e giornalisti disattenti e scarsamente attendibili. Ma non è Grillo, che non è titolare di alcuna cattedra morale, che può decidere chi lo sia e chi non lo sia. E come politico (perché tale è), se realmente crede nei principi democratici, deve solo accettare la presenza di queste fastidiose zanzare o, come dicono in America, di questi cani di guardia del potere, di chi già ci è arrivato e di, come i pentastellati, puntano ad arrivarci. Ma se Grillo questo non lo accetta, allora tutti quanti noi (non solo i giornalisti) dovremo porci una semplice domanda: siamo proprio convinti di voler mettere nelle mani di un simile demagogo strumenti di democrazia che abbiamo conquistato tra grandi sacrifici? Siamo disponibili a correre il rischio di compromettere quelle libertà che è molto agevole smarrire ma estremamente complicato riconquistare?

      

          

Freschi di stampa, 1917-2017 (17)

   

Un internazionalismo

al di sopra di ogni sospetto

 

L’ADL del 14.7.1917 comunica che la Commissione d’inchiesta istituita dall'Internazionale socialista sul parlamentare svizzero Robert Grimm «ha emesso il suo definitivo giudizio, dopo accurate e rapide indagini», concludendo che «nel suo tentativo di spianare la via alla pace o di sondare il terreno per una pace fondata su un accordo reciproco, Grimm fu guidato soltanto da nobili intenzioni».

    Di conseguenza, questo compagno sta "al di sopra di ogni sospetto" e, se a San Pietroburgo risulta avere intavolato trattative segrete per una "pace separata" tra Russia e Germania, egli certo non intendeva agire "nell’interesse dell’imperialismo germanico o come suo agente". Sicché, così come è fuori discussione «l’onore personale di Grimm, così è fuori di ogni dubbio il suo carattere di socialista e di zimmerwaldista» (ADL 14.7.1917).

    Tutto a posto, dunque?

    Non proprio tutto. La Commissione ha trovato, infatti, «incauto e impolitico che Grimm abbia fatto, sotto la propria responsabilità, un passo il quale ha porto occasione agli avversari di dipingere come malfido il movimento zimmerwaldiano» (ADL 14.7.1917). In realtà, tra i critici più ostili a Grimm si annoverano i suoi stessi compagni socialisti svizzeri di lingua francese: i romand, tradizionalmente schierati a sinistra, che però si sentono anche vicini ai socialisti francesi e cioè, in ultima analisi, alle forze dell'Intesa.

    Enumerazione dei principi violati da Grimm: «Siamo contro la collaborazione di classe, siamo contro la diplomazia segreta, siamo per l’azione aperta a visiera alzata, e Grimm ha errato nello stringere rapporti con un Ambasciatore borghese, nel valersi della diplomazia segreta, nell’agire segretamente all’insaputa dei compagni di lavoro». Certo, l’uomo Grimm «resta al di sopra d’ogni accusa… Ma il socia­lista ne resta toccato… e non potrà più svolgere quel rôle che lo aveva posto primo, tra i primi, a capo del movimento zimmerwal­diano» (ADL 14.7.1917).

    Il rôle di Grimm, nella direzione della Commissione socialista internazionale impegnata nelle trattative per la pace, viene ora assunto da Angelica Balabanoff. La quale a tale scopo si trasferisce a Stoc­colma. E, nel mentre assume le sue funzioni, Angelica invia alla Direzione nazionale del PSI, di cui fa parte, questa dichiarazione: «Non potendo seguire da qui la stampa italiana, autorizzo voi, cari compagni, di smentire nel modo più energico e di ricorrere eventualmente alle vie giudiziarie contro chiunque insinuasse che io personalmente o la Commissione socialista internazionale avesse comunque partecipato ai passi che si attribuiscono a Grimm» (ADL 14.7.1917).

    La Dottoressa Angelica concede anch'ella a Grimm una buona fede più che perfetta, ma ha nondimeno "approvato" le dimissioni di questo bravo compagno svizzero, come pure l’avvio dell’inchiesta su di lui, di cui s’è accennato più sopra. Quanto alle conclusioni di detta inchiesta, queste «sono state trasmesse dal telegrafo in tutti i paesi» onde puntualizzare l’estraneità più completa della Balabanoff come pure "degli altri zimmerwaldiani residenti a Pietroburgo" rispetto alle trattative per la "pace separata".

    «Superfluo dire a voi, compagni, che mi conoscete da molto tempo e molto bene, che se io avessi avuto la minima idea che Grimm volesse fare ciò che ha fatto… io avrei fatto ogni sforzo… per trattenerlo da un passo che io ritengo contrario ai nostri principî, puerile in sé stesso e che, sfruttato dai nemici del nostro movimento, avrebbe potuto assestare un colpo orribile» alle finalità degli internazionalisti zimmerwaldiani. Questo "colpo orribile" avrebbe orribilmente danneggiato, infatti, le possibilità stessa di «servire la causa della rivoluzione russa e della pace mondiale» (ADL 14.7.1917).

    Ciò premesso, alle accuse di "un grande giornale italiano", secondo il quale la Balabanoff a San Pietroburgo «non poteva non sapere» (testuale), la Dottoressa Angelica risponde dichiarando che, pur in una faccenda decisamente dolorosa: «io ho dovuto ridere».

    Come si vede, mostra la corda, la tattica distillata a Berlino di trarre un corposo vantaggio strategico dalla rivoluzione russa e dalla eventuale chiusura del fronte orientale che da essa si vorrebbe fare conseguire. In molti ormai dubitano delle possibilità di vittoria austro-germaniche, a prescindere dalle decisioni del Governo provvisorio russo, la cui guida il 21 luglio 1917 viene affidata ad Aleksandr Fëdorovič Kerenskij.

    Il "vantaggio meccanico" della bilancia della storia a favore dell’Intesa si può ormai desumere agevolmente, anche all’interno del movimento progressista e pacifista, dal combinato disposto di quanto abbiamo letto sopra. Ma c’è un articolo di spalla sull'ADL del 14.7.1917, firmato da I. M. Schweide, che fin dal titolo chiarisce questo tema al di sopra di ogni sospetto: "Ostacolo di pace: Germania!".

    Nel testo si cita, per iniziare, un fondo di Carlo Marx apparso sulla New York Tribune del 2 febbraio del 1854. In esso il filosofo di Treviri affermava che la «politica conquistatrice della Prussia… sarà vinta, e alfine aggiudicata al minore offerente, che in questo, come in tanti altri casi, sarà la Russia».

    La profezia marxiana "nell’anno di grazia – o di disgrazia – 1917", chiosa Schweide, vuol dire che la «Russia degli Zar è stata divorata dalla Russia rivoluzionaria» e che ora «il colpo mortale ricevuto dalla dinastia Romanoff deve assolutamente ripercuotersi sulla dinastia degli Hohenzollern… Così vuole la logica delle cose… Ogni giorno che passa rende sempre più impellente la necessità di una Germania democraticamente libera» (ADL 14.7.1917).

    La necessità di una rivoluzione democratica in Germania discende dal carattere "militarista e reazionario" e dagli "interessi espansionistici dell’imperialismo tedesco", che altrimenti non consentiranno mai la pace in Europa, afferma Schweide: «Appunto perciò i socialisti internazionalisti fanno di tutto perché la dinastia più reazionaria e forse la più responsabile di questa guerra… non sfugga alla catastrofe rivoluzionaria» (ADL 14.7.1917).

    D’altro canto, se la Germania avesse veramente voluto la pace, non avrebbe dovuto far altro che aderire all’offerta del Soviet di Pietrogrado e del Governo provvisorio russo, accettando «l’immediata necessità della pace senza indennità e senza annessioni». E invece la Germania che fa?! Sul fronte orientale innalza sì cartelloni «invitando i russi all’affratellamento delle armi», ma all’interno del Reich essa «arresta e perseguita i più fedeli socialisti del paese» (ADL 14.7.1917). In tal modo si dimostra essere il maggior ostacolo per la pace. E allora, ciò che occorre è la pace universale, non la pace separata! Cioè anzi­tut­to l'abbattimento del Kaiser.

    Il vantaggio meccanico della bilancia della storia fa sì che l’op­posi­zione universalistica alla "pace separata" appaia una posizione ormai consolidata tra tutti gli internazionalisti. Tra quasi tutti, in realtà: perché i bolscevichi continuano a puntare proprio sulla pace separata. Ma, al momento, i bolscevichi si trovano nelle patrie galere russe. O si sono dati alla macchia. Oppure sono di nuovo riparati in esilio.

    Il vantaggio meccanico nella bilancia della storia fa però apparire del tutto irrealistico assumere che nel giro di tre mesi e mezzo Lev Trockij sarà uscito di galera, Vladimir Il'ič Ul'janov detto Lenin sarà rientrato dall'esilio e persino Stalin non si darà più alla macchia… Nella notte tra il 7 e l'8 novembre 1917 (25 e 26 ottobre del calendario giuliano) essi prenderanno il Palazzo d'Inverno, profittando a man bassa della perseveranza di Kerenskij nell'impopolarissimo impegno bellico a fianco dell'Intesa.

(17. continua)

 

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell’anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté "coprirle" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di "guerra alla guerra". Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

     

      

LETTERA DA

CRITICA LIBERALE

 

 

Lettera agli amici

di Critica Liberale

 

Care amiche, cari amici,

 

Critica liberale in quest'ultimo anno ha incrementato l'impegno per garantire una proposta costante della cultura liberale nel nostro paese, allargando l'orizzonte anche alle realtà laiche e riformiste, legate alla cultura "azionista" o "liberalsocialista". Abbiamo infatti trasformato il nostro quindicinale, individuando un nuovo titolo che allude a questa intenzione.

    Anche quest'anno, grazie al generoso finanziamento della Tavola Valdese, legato all'8 per mille, abbiamo realizzato la ricerca sulla secolarizzazione e sulla presenza delle confessioni religiose in TV. È il momento giusto per riflettere sulle priorità e sugli obiettivi del prossimo anno, oltre che programmare qualche iniziativa invernale.

    Vi invitiamo quindi a partecipare, per chi vuole dare il suo contributo di idee, proposte o anche di semplice disponibilità a collaborare, ad una riunione di amici e sostenitori di Critica, al fine di predisporre un programma operativo da sottoporre al Consiglio di Amministrazione della Fondazione.

    Vi aspettiamo quindi giovedì 28 settembre prossimo alle ore 19,00 nella sede di Critica, in Roma via delle Carrozze, 19. Vi preghiamo di confermare la vostra presenza inviando una mail a info at criticaliberale.it.

    Nel caso lo riteniate opportuno, sarebbe gradita anche una breve nota sulle proposte che vorreste avanzare.

 

Il 28 settembre parleremo di:

 

  • nuovo sito di Critica Liberale
  • progetto per la digitalizzazione e promozione dell'archivio del Divorzio (campagna di raccolta fondi)
  • forum di Critica Liberale a novembre (di cosa parlare e come)
  • quindicinale "NONMOLLARE"
  • presentazione della ricerca sulla secolarizzazione e sulla presenza delle confessioni religiose in tv
  • proposte libere.

A presto

Enzo Marzo

Presidente della Fondazione Critica Liberale

     

                      

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

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