[Diritti] ADL 170406 - Passato o presente



L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894

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e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 6 aprile 2017

 

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IPSE DIXIT

 

Ogni le­game passato o presente - «Negare o na­scondere ogni le­game passato o presente, economico o politico con il nemico. To­glie­re ogni visibilità mediatica alle domande scomode: Chi ha venduto le armi a Saddam? Chi ha fatto affari con Milosevic e Bin Laden prima che si trasformas­sero nel "nuovo Hitler" e nel capo del nuo­vo "Impero del Male"? Far sfo­gare sul nemico personalizzato l'o­dio e la rabbia creata ad arte nel­l'o­pinione pubblica dimenticandosi che fino a ieri il "nemico" era an­che nostro partner di affari e che continua a gestire i suoi soldi tramite le nostre banche. Affrontare la questione del segreto bancario con mol­ta delicatezza. Anche se l'eliminazione dei paradisi fiscali e del segreto bancario sulle transazioni internazionali sarebbe decisiva per "ostaco­la­re" il "nemico", il terrorismo, il nar­co­traffico e il commercio delle ar­mi, queste soluzioni non vanno as­so­lu­tamente men­zionate.». – Carlo Gubitosa, Manuale per la propaganda di guerra

 

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R. Mutt (Marcel Duchamp), Fontana, foto dell'originale di A. Stieglitz apparsa su "The Blind Man No. 2" (NY, maggio 1917)

 

La Fontana di Mr. Mutt è una nuova idea per l'oggetto orinatoio - «Se Mr. Mutt abbia fatto o no la Fon­tana con le sue mani non ha im­portanza. Egli l'ha SCELTA. Ha pre­so un comune oggetto di vita [un orinatoio, ndr] e l'ha collocato in mo­do tale che un significato pratico scomparisse sotto il nuovo titolo e pun­to di vista; ha creato una nuova idea per l'oggetto.» - Louise Nor­ton

   

    

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    L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

    

        

Freschi di stampa, 1917-2017 (5)

 

Gli eventi di Russia e

l'entrata in guerra Usa

 

Neanche in quell'inizio dell'aprile 1917 Vladimir Il'ič Ul'janov incrociò gl'inservienti del locale dadaista, il Cabaret Voltaire, a una cinquantina di metri dalla sua casa di esule rivoluzionario. Nelle notti insonni li sentiva ogni tanto, Tristan Tzara e i suoi, declamare onomatopee a mi­traglia nelle loro tipiche risate. Ma lui poi, la mat­tina dopo, di­scen­deva disciplinatamente la Spiegelgasse dall'altra parte. E si recava al suo posto di combattimento, la biblioteca centrale di Zurigo, dove entrava ad apertura di cancello.

 

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Zurigo Spiegelgasse, le finestre

dell'appartamento degli Uljanov

 

Trenta passi fino all'odierna Kantorei. Poi il "Vicolo dei Giudei", l'odierna Froschaugasse, ed era già praticamente arrivato. Chissà se sapeva che da quelle parti c'era stata un'importante sinagoga medie­vale. Nel Trecento il rabbino Moses ben Menachem vi aveva composto il Semak Zurighese, un celebre commento ai Co­mandamenti, tuttora in uso nelle scuole di Talmud. Era stata, quella, un'epoca di alta fioritura per la locale comunità ebraica, prima di venire esiliata durante le per­secuzioni del 1348. Molti israeliti furono allora uccisi, e tra essi lo stesso rabbi Moses insieme ai suoi allievi in uno dei massacri sca­te­na­tisi con la peste del 1348-1349 e la psicosi antisemita conseguitane.

    Non sembri una divagazione. Per comprendere la Grande Peste del Novecento occorre tener fermo che la manzoniana "caccia all'untore" ha radici profonde nella psicologia delle masse. Perché storicamente le pestilenze tendono sì a provocare ondate di follia omicida, ma queste "crisi sacrificali" possono generarsi anche indipendentemente da esse. René Girard ritiene che la parola "peste" sia stata utilizzata da alcuni antichi cronisti anche per designare certi inquietanti fenomeni di al­lu­cinazione omicida di massa, slegati da qualsivoglia innesco epidemico.

    Ma torniamo al 1917. Un oceano di peste e pazzia circonda ormai da tre anni "la piccola isola di pace svizzera", scrive Zweig nel suo rac­con­to su Lenin, "questo ometto tarchiato… inappariscente che più non si può". Stefan Zweig è un umanista viennese profondamente lega­to al "mondo di prima". Detesta il pandaemonium della guerra. Per questo celebra la partenza di Vladimir Il'ič come quella di un rivolu­zionario portatore di pace che, alla fine dei conti, metterà la borghesia guer­ra­fondaia dinanzi al bivio: o la pace kantiana, o la rivoluzione mon­diale.

    Il Lenin che nell'aprile 1917 arriva al suo appuntamento con la sto­ria, al suo "momento fatale", è un signore schivo e disciplinato, "evita la società, raramente i suoi vicini hanno modo di incrociare lo sguardo acuminato degli occhi scuri a mandorla, raramente arrivano da lui dei visitatori. E invece lui, regolarmente, giorno dopo giorno, (…) se ne sta in biblioteca fino alla chiusura di mezzodì. Esattamente alle dodici e die­ci è di nuovo a casa; e di nuovo ne esce all'una meno dieci per esse­re il primo a rientrare in biblioteca e starsene lì fino alle sei di sera".

    Alcuni tra i più celebri "testi sacri" del leninismo – come ad esempio L'imperialismo, fase suprema del capitalismo – nascono in quei mesi di "guerra alla guerra" combattuta allo scrittoio della Zentralbibliothek. Né le polizie segrete mostrano di sapere che "pericolosissimi tra tutti, per ogni rivoluzionamento del mondo, sono sempre gli uomini solitari, che molto leggono e molto imparano", osserva Zweig.

    E così, ogni mattina di giorno feriale fino a quel mercoledì 4 aprile 1917, Lenin si imbuca nella Froschaugasse per sbucare, poi, dall'altra parte, sulla piazza antistante alla Biblioteca Centrale proprio mentre il campanile della Predigerkirche sta per battere i nove tocchi.

    Ma ora tutto questo appartiene al passato. Perché ormai lo stato za­rista "è stato". E poi Alexander Parvus ha già segnalato agli utili idioti del social­-sciovinismo tedesco che l'uomo più idoneo a de­sta­bilizzare il governo provvisorio formatosi a San Pietroburgo è il suo fido compa­gno di lotta Vladimir Il'ič Ul'janov detto Lenin, esule a Zurigo.

    Ah, se solo potesse rientrare in Russia, egli certo lavorerebbe più a­la­cremente di chiunque altro ad affossare l'esecutivo borghese guidato dal principe L'vov, facendo leva su tre idee forza: Pace subito, Con­fisca delle terre, Tutto il potere ai soviet.

    Secondo il calcolo strategico della cancelleria berlinese, questo Le­nin precipiterà la Russia in una guerra civile senza ritorno, chiu­de­ndo così, di fatto, la partita sul fronte orientale. E gli eserciti dei due Kaiser avranno allora buon gioco a concentrarsi nelle operazioni belliche a ovest e a sud.

    Ma quel 4 di aprile del 1917 – mentre all'ambasciata di Germania in Berna arriva una lista con le condizioni sulla cui base Lenin ac­cet­te­rebbe di farsi trasferire in treno verso i patrii confini – in quelle stesse ore a Washington il presidente Thomas Woodrow Wilson trasmette al Congresso la risoluzione per l'entrata americana nella guerra europea. E due giorni dopo gli Stati Uniti dichiarano, in effetti, lo stato di bel­ligeranza verso la Germania.

    È il 6 aprile 1917, venerdì santo. L'intervento americano in Europa si preannuncia d'impatto enorme. Ma non potrà dispiegarsi con effetto immediato. Occorre un anno almeno affinché tre milioni di soldati a stelle e strisce possano essere addestrati e trasferiti via nave in Francia con adeguato seguito di salmerie.

 

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Sulla scelta bellica degli Stati Uniti s'impernia la titolazione dell'ADL di sabato 7 aprile 1917 (v. foto qui sopra): La borghesia verso l'abis­so. Il delirio del folle massacro invade il nuovo mondo, apre la prima.

    E ancora: L'ultima "americanata" è il titolo dell'editoriale, che pro­segue così: «L'ultimo atto "americano" chiude la serie dei trapassi fan­tasmagorici con cui Wilson... ha cambiato l'acqua in vino... arte bor­ghe­se dell'interesse che guida, calpestando principi ed umanità, le azio­ni del Governo e degli uomini rappresentativi della società borghese... In quanto la pace conveniva alla borghesia americana, Wilson si tra­sfor­mava banditore di "pace". In quanto, venendo a mancare, per vo­lon­tà altrui, gli elementi indispensabili per rendere alla borghesia ame­ricana proficua la pace, venivano ad affermarsi proficue le ragioni della "guerra"... "Pace" e "guerra" sono dunque sinonimi... L'affermazione è vera se la si considera dal punto di vista dell'interesse borghese. Non pensiamo più ai milioni di cadaveri ed alle ricchezze distrutte, alle la­grime ed al sangue, alla fame ed allo sterminio. Pensiamo solo al gioco degli interessi» (ADL 7.4.1917).

    Pace e Guerra. Guerra e Rivoluzione. I nostri predecessori di allora oscillano tra delusione ed esaltazione: per il "voltafaccia guerrafon­daio" di Wilson e, rispettivamente, per gli eventi rivoluzionari in Russia: «Sul fuoco della guerra si getta una nuova catasta di com­bustibile. Un popolo di 100 milioni d'abitanti [gli USA, ndr] entra nel recinto ove il fuoco divora... Così vuole la borghesia... Guerra e Ri­vo­luzione. Più grande la guerra? (...) la guerra sia uccisa. E la Rivo­lu­zione sia vitto­riosa. E vi sia una sola fiamma a illuminare il mondo. La fiamma della vita è della libertà» (ADL 7.4.1917).

    Morale della favola: a Berlino non c'è più tempo da perdere. Le feste pasquali vengono impiegate nei febbrili preparativi del gran viaggio leniniano. Wilhelm Jansson, un sindaca­li­sta mezzo tedesco e mezzo svedese, insieme ad Arwed von der Planitz, capitano della cavalleria di riserva, è incaricato di riportare a casa l'in­ternazionalista russo.

    Sui binari della stazione di Zurigo viene predisposto un convoglio ferroviario atto ad attraversare il territorio del Reich. È il famoso treno piombato, ma "piombato" solo di nome, per mere ragioni politico-di­plo­matiche, date le ostilità in cui restano reciprocamente coinvolte la Germania e la Russia.

    Lunedì di Pasquetta, 9 aprile 1917: una trentina di persone si reca nella sala riunioni al primo piano del Cooperativo di Zurigo Militär­stras­se, a un centinaio di metri dai vagoni. Il fidatissimo compagno Pietro Bianchi, "muratore e sindacalizzato", fa da cameriere a Lenin e al suo seguito, diaframmandoli dal mondo esterno.

    Dentro quella sala, insieme al capo bolscevico, tra una scodella di minestrone e i famosi tortellini, si apprestano alla traversata delle Ger­ma­nie: la moglie, Nadežda Krupskaja, e poi Broński con la figlia Wan­da, ma ci sono anche Kharitonov, Radek, Sarra Rawicz, Safarov, Zi­nov'ev e Sokol'nikov. Di lì a pochi anni, dopo la morte di Vladimir Il'ič avvenuta nel 1924, tutti costoro saranno uccisi o internati in Si­be­ria su ordine di Stalin, eccezion fatta per la Krupskaja e Wanda Brońska.

    Sempre su ordine di Stalin il corpo di Vladimir Il'ič verrà imbal­sa­mato, contro la protesta della Krupskaja, ed esposto al pubblico sulla Piazza Rossa. Il cervello, suddiviso in circa trentuno mila sezionature da venti micrometri ciascuna, servirà alla scienza medico-biologica affinché essa indaghi "la base materiale di un genio immortale", recita il comunicato del Partito comunista russo.

    Di leader bolscevico Albert Einstein dirà: "Non considero i suoi metodi da pra­ti­carsi, ma… rendo onore a Lenin come uomo che ha interamente sa­crificato sé stesso e dedicato tutte le proprie energie alla realiz­za­zione della giustizia sociale.". – (5 - continua)

 

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Lenin con il borgomastro di

Stoccolma il 13 aprile 1917

 

Nell’anno delle due rivoluzioni russe l'ADL di allora poté "coprirle" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad An­ge­li­ca Bala­banoff, fautrice de­gli stretti legami tra i so­cia­listi ita­liani e russi impe­gna­ti, insieme al PS svizzero, nella gran­de campagna di "guerra alla guerra". Campagna lanciata con la Con­fe­renza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

 

    

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Legge elettorale, venti di

crisi: ma non è cosa seria

 

di Antonio Maglie

 

La legge elettorale, per motivi facilmente comprensibili, viene varata con una provvedimento ordinario e non con uno costituzionale (non la si può irrigidire sino al punto da non assecondare lo spirito dei tempi). Ciò non toglie che si possa definire una legge istituzionale: non defi­ni­sce le regole del gioco democratico, ma assicura il loro corretto fun­zio­na­mento. In un paese civile su un tema come questo si discute se­ria­mente e si cerca una intesa molto ampia perché quel meccanismo non deve sfavorire nessuno perché pensare di piegarlo a proprio vantaggio può, poi, nel tempo, determinare una situazione di svantaggio. In Italia negli ultimi anni tutti i partiti o le coalizioni di maggioranza hanno messo a punto leggi elettorali nell’intento di utilizzarle in funzione dei propri interessi: lo ha fatto Silvio Berlusconi con il Porcellum (can­cel­la­to dalla Corte Costituzionale), lo ha fatto Matteo Renzi con l’Ita­li­cum (cancellato dalla Corte costituzionale e, sostanzialmente, da un refe­ren­dum costituzionale). Alla resa dei conti, la legge elettorale che ha retto per l’arco più ampio di tempo è stata quella proporzionale partorita su­bito dopo la guerra e il motivo di questa sua relativa lon­ge­vità va cer­ca­to proprio nel fatto che fu il risultato di un accordo ampio.

    Ora intorno a questo provvedimento essenziale in una democrazia si è sviluppato una sorta di suk all’interno del quale sembrano lavorare dei veri e propri venditori di tappeti persiani falsi. Siamo sull’orlo di una crisi di governo, con un ex presidente del consiglio (Renzi) che soffia sul fuoco e gioca col fuoco (tenendo al guinzaglio il presidente del consiglio, Gentiloni, e il ministro addetto al portafoglio, Padoan, dopo averglielo fatto aprire in maniera impropria prima del famoso referendum). Motivo del contendere nel mercanteggiamento: la pre­si­denza della commissione Affari Costituzionali del Senato, poltrona la­sciata vuota da Anna Finocchiaro emigrata al governo, destinata al dem Giorgio Pagliari ma finita sotto le terga, dell’alfaniano (ma sembra in procinto di passare a Forza Italia) Salvatore Torrisi. Accordi traditi con la complicità di un bel pezzo di maggioranza (compreso qualche franco tiratore democratico). I renziani si sono scatenati. Questi movimenti a chi pensa che il Parlamento sia il luogo in cui si esercita l’arte della politica e non quella dell’intrigo di Palazzo, appaiono tutto sommato incomprensibili. La pensa così, ad esempio, il presidente del Senato, Pietro Grasso il quale ha parlato di "tempesta in un bicchiere d’acqua" aggiungendo che Torrisi avendo da vice svolto temporaneamente le funzioni presidenziali al posto della Finocchiaro, probabilmente è stato "apprezzato dalle opposizioni" pur facendo parte della maggioranza.

    Perché poi c’è anche questo problema: sul suo nome si sono coagu­lati tutti i voti dei partiti fuori dall’area di governo. E anche da questo punto di vista, gli "ingenui" faticano a comprendere le ragioni di que­sta "tempesta in un bicchier d’acqua": quei partiti si sono tutti attestati al referendum sul fronte del "no"; sarà stata pure una "accozzaglia" (co­pyright Matteo Renzi) ma se poi quell’accozzaglia si aggrega su un candidato che non è espresso dal partito-capofila nella battaglia a van­taggio del sì, ci si può veramente sorprendere o addirittura gridare allo scandalo? Alfano ha chiesto a Torrisi un passo indietro per ripristinare la solidarietà di maggioranza. Ma il fatto reale è che in questa vicenda non c’è nulla di serio. I partiti (tutti) avrebbero dovuto fornire una prova di maturità politica cercando di guardare, per una volta, al di là del loro orticello (o latifondo) elettorale ma non lo hanno voluto fare, ognuno ha continuato ad arare il proprio campo nella speranza di poter ottenere l’utile personale più cospicuo. Risultato: probabilmente andremo a votare con una legge improponibile che ci porteremo dietro sino a quando qualcuno, sentendosi più forte degli altri, proverà a imporne una tutta nuova e a lui più favorevole. L’ingovernabilità del Paese è garantita: risultato amaro di un gioco al massacro che squalifica chi oggi vi sta partecipando.

     

    

SPIGOLATURE

 

Strategie disumane

 

di Renzo Balmelli

 

ORRORE. Negli occhi stravolti dei bimbi siriani martoriati dal gas ner­vino, in quei loro corpicini stremati dallo sforzo di continuare a re­spirare, si rispecchia l'orrore senza fine di una guerra consumata al ri­paro da sguardi indiscreti in nome di bacate e disumane strategie. Una guerra assurda, pazzesca, come assurde e pazzesche sono tutte le guer­re, che dura ormai da oltre sei anni e che sta segnando attraverso il ri­corso al gas Sarin già usato dai nazisti, uno dei punti più bassi e più atroci della follia umana al servizio della prevaricazione e del potere. E come se non bastassero a scuoterci dall'indifferenza, le immagini di quel­la sperduta provincia siriana, centro nevralgico di atrocità spa­ven­tose, ecco che ad aggiungere orrore all'orrore ci pensano le tediose, stru­mentali e quindi tanto crudeli quanto insensate speculazioni sul rimpallo delle responsabilità per una tragedia umanitaria, oltre che di­plomatica, in cui nessuno può proclamarsi innocente. Martoriato dalle telluriche convulsioni del regime di Damasco rese possibili da un rete di complicità inaudite e inconfessabili il Medio oriente, ostaggio del terrorismo jihadista, sta precipitando in un buco nero in cui è andato perso anche l' ultimo barlume della ragione. E che nella sua demoniaca disgregazione potrebbe trascinare il mondo intero.

 

COLONNE. Tutto si poteva supporre dal ritorno allo splendido iso­la­zionismo del Regno Unito, ma non che la Brexit tra le tante e fragorose scosse di assestamento, avrebbe finito col fare tremare nientemeno che le colonne d' Ercole. Ovvero il baluardo invalicabile che secondo la mi­­tologia segnava nello specchio > di mare dove sorge Gibilterra i li­mi­ti estremi del mondo, oltre i quali era vietato il passaggio a tutti i mor­tali. Invece è successo. Quando si scuote la storia come sta facendo il referendum britannico per il divorzio dall'UE può accadere di tutto. Con ricadute tanto pesanti da far volare piatti , coltelli e dichiarazioni bellicose tra Londra e Madrid a proposito delle sovranità del territorio che riapre un contenzioso mai veramente risolto nonostante i trattati internazionali. Quanto questo aspetto del voto rimasto finora scono­sciuto possa riaccendere nuove fiammate di nazionalismo è un inter­ro­gativo fonte di comprensibili inquietudini per gli abitanti della Rocca, un po' spagnoli, un po' inglesi, che temono di restare strangolati dalla caduta del mito. E pensare che i negoziati per la Brexit non sono nem­meno cominciati.

 

SCHELETRI. A un certo punto di un suo famoso romanzo, Somerset Maugham scrive che "l'ipocrisia è il vizio più difficoltoso e snervante che un uomo possa coltivare; richiede una vigilanza continua e una rara abnegazione". Vivesse ai nostri tempi, il grande autore inglese avrebbe più di un motivo valido per vedere confermata l'esattezza della sua af­fermazione. Per rendersene conto basterebbe misurare il "carico da un­di­ci" col quale certi ambienti politici si danno da fare senza sosta per ammantare di considerazioni pseudo-filosofiche le ipocrite iniziative editoriali tese a conferire una patina di rispettabilità al passato che non passa e nel contempo a delegittimare, con martellante e inquietante in­si­stenza, sia la Resistenza che l'imminente 25 aprile. Quel salto al­l'in­dietro costruito con sapiente e ambigua intenzione da chi tiene i fili del dilagante populismo di destra dà ragione a Somerset Maugham che non a caso ha intitolato il suo capolavoro Lo scheletro nell'armadio (Adel­phi).

 

PREGIUDIZI. Non c'è soltanto Trump a vellicare gli istinti più riposti con iniziative tese a rendere più difficile la libera circolazione degli uo­mini e delle idee sancita dalla Dichiarazione di Helsinki. Magari sono in pochi a ricordarsi di quella famosa conferenza che a metà degli anni settanta del secolo scorso fissò i punti nevralgici della cooperazione e la sicurezza in Europa, e non solo. Sono tanti invece a fingere che non sia mai esistita e ad aggirarla con provvedimenti sempre più restrittivi. Se il tycoon medita ora di imporre oltre ai dazi assurde tagliole ai turi­sti in provenienza dall'Europa, non meno pedanteschi appaiono i prov­ve­dimenti di stampo leghista che penalizzano i frontalieri al confine italo-svizzero con la chiusura di alcuni valichi e l'obbligo del casellario giudiziario , quasi fossero criminali e non onesti e indispensabili lavo­ra­tori per l'economia locale. Con i muri che hanno imitatori un po' ovun­que non si innaffiano i fiori, ma si concimano i pregiudizi!

 

SEGNALE. Quando è circolata la prima foto, invero un po' sfocata, del presunto attentatore responsabile della strage nella metropolitana di San Pietroburgo, ha fatto una certa impressione la sua rassomiglianza con certi personaggi che ci sono stati tramandati dalla letteratura russa. Con il copricapo rotondo, la lunga barba e un nero pastrano, quell'im­ma­gine non mancava di evocare certi figuri alla Rasputin che si aggira­vano alla corte degli zar nella città dove "delitto e castigo" marciavano di pari passo. Già allora attentatori e dinamitardi tramavano contro il potere, esattamente come evidenzia l'attentato di alcuni giorni fa che è un chiaro segnale intimidatorio nei confronti dell'attuale uomo forte del Cremlino. Dal­l'indipendentismo locale alla rete internazionale del­l'e­ver­sione di matrice islamista la Russia di Putin, non di rado paragonato a un novello zar, tra minacce vere, crisi geopolitiche e repressioni sta affrontando in un clima di manifesto disagio la prova più difficile del post-comunismo, nel momento in cui molto spesso le manifestazioni di protesta coincidono con atti terroristici.

 

CROLLO. I populisti tedeschi stanno perdendo terreno. Come nella vecchia canzone, piange Frauke Petry, e ora se la sogna la popolarità da capogiro che alla sua prima, frastornante apparizione da leader del­l'estrema destra dalla "faccia pulita" lasciò esterrefatta non soltanto la Germania. Ma le ideologie bacate non sono eterne. Così com'era stata folgorante l'ascesa della leader della Alternative fuer Deutschland sul­l'onda del livore anti-immigrati, altrettanto rapido è stato il crollo che ne ha dimezzato il consenso e consegnato l'AfD agli esponenti se pos­sibile ancor più estremisti dell'impresentabile schieramento. Dalla di­scesa in campo di Schulz, con il suo forte accento sui temi sociali, e con la ricandidatura della Merkel, il baricentro politico della Repub­bli­ca federale, dopo qualche sbandamento, ha ritrovato il suo equilibrio ponendosi in controtendenza rispetto, per esempio, alla Francia, che ben presto andrà alle urne e dove gli eurofobici puntano alla fine del­l'UE. A meno che l'esempio di Berlino non faccia scuola anche sotto la Torre Eiffel. Speriamo!

   

        

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Le tante, troppe facce della

disuguaglianza economica

 

Il testo che segue è la sintesi dell’articolo pubblicato nel n.3-4 2016 de La Rivista delle Politiche Sociali (vai al sito). Disparità di reddito e di ricchezza sono spesso richiamate in termini superficiali, in uno sbandieramento di numeri che non aiuta a capire il fenomeno.

 

di Elena Granaglia*

e Michele Raitano**

 

La questione delle disuguaglianze economiche, di reddito e di ricchez­za, è ormai entrata nella discussione pubblica del nostro Paese. L’im­pres­sione tuttavia è che essa sia spesso richiamata in termini super­fi­cia­li, associata a uno sbandieramento di numeri che di per sé dicono poco – e, a volte, sono addirittura scorretti – e che, soprattutto, non aiutano a capire le cause alla base del livello e della tendenza del fenomeno.

    Si consideri l’affermazione, più volte espressa, secondo cui la di­suguaglianza dei redditi in Italia sarebbe notevolmente cresciuta negli anni della crisi. Se si considerano i redditi disponibili (dopo il paga­mento delle imposte e dopo la ricezione dei trasferimenti mone­tari) e si utilizza la misura più comune, ossia l’indice di Gini, non si osserva al contrario alcuna variazione. L’indice è stabile attorno a 0,325.

    La disuguaglianza è solitamente calcolata sulla base di rilevazioni campionarie che hanno estrema difficoltà a cogliere con precisione quanto avviene nelle code della distribuzione (fra i "super-ricchi" e i molto poveri). Senza contare che uno stesso valore dell’indice è com­patibile con cambiamenti orizzontali anche non di poco conto: le quote di reddito detenute dai diversi segmenti della distribuzione possono re­stare le stesse, ma i soggetti che occupano tali segmenti essere molto diversi. In Italia, solo per fare un esempio, abbiamo assistito a un con­sistente scivolamento degli operai e dei lavoratori meno retribuiti verso le parti più basse della distribuzione.

    Dall’altro lato, è rilevante la dimensione reddituale su cui si pone l’at­tenzione. Un conto è, infatti, guardare ai redditi disponibili, un altro è considerare le disuguaglianze di mercato (escludendo quindi l’effetto della redistribuzione), distinguendo anche per fonte di reddito. Così fa­cendo, si vedrebbe un chiaro incremento nella disuguaglianza dei red­di­ti individuali da lavoro, che non traspare dai dati complessivi, i quali scontano, fra le altre cose, la diminuzione dei redditi da capitale (di cui beneficiano i più ricchi) prodotta nei primi anni della crisi.

    Per una valutazione più precisa dell’andamento della disuguaglianza e dei meccanismi che la determinano occorre, dunque, entrare nei det­ta­gli. Non basta dire la disuguaglianza è aumentata. Nel dibattito pub­bli­co, poi, è diffusa la tendenza a trasformare la riflessione sulla disu­gua­glianza in una riflessione sulla povertà, nella sottovalutazione delle distinzioni fra i due fenomeni. Certamente, esistono casi in cui la di­su­guaglianza riguarda l’assenza per alcuni di una base di risorse ne­ces­sarie a soddisfare le capacità fondamentali. Se così, la disuguaglianza sarebbe affine alla povertà, pur implicando un livello di dotazioni più esigente di quello tipicamente connesso alla povertà.

    Sul versante economico, la disuguaglianza riguarda tuttavia le di­stan­ze all’interno della complessiva distribuzione. La povertà concerne un segmento della distribuzione. Si tratta, pertanto, di due fenomeni di­stinti, seppure in parte interrelati. La disuguaglianza comprende anche l’area della povertà, mentre non è vero il contrario. Il che rende erro­neo ridurre la disuguaglianza alla povertà. Occuparsi di povertà è in­dub­biamente essenziale, in particolare in un Paese come il nostro, dove la povertà assoluta, nel periodo 2005-2015, è aumentata del 140%, in­vestendo un milione di minori. Conta, tuttavia, occuparsi anche di di­suguaglianza, sia per gli effetti sulla povertà stessa, sia per altri effetti negativi, che anch’essi andrebbero considerati, quali quelli sulle più complessive opportunità e sul funzionamento del gioco democratico o sulla stessa crescita economica.

    Va detto che, spesso, sempre nel dibattito pubblico, si assiste a una strana discrasia fra la denuncia delle disuguaglianze e le politiche di contrasto auspicate. Queste ultime, paradossalmente, potrebbero com­portare l’effetto opposto di aggravio o, al meglio, essere di sostan­zia­le inutilità. Basti pensare agli interventi di stimolo alla crescita, la quale potrebbe rilevarsi del tutto compatibile con il mantenimento, se non addirittura con l’incremento, delle disuguaglianze. Parafrasando Krug­man, l’onda della crescita, anziché tutte le barche, potrebbe sollevare solo gli yacht, come ben esemplificato dalla capacità dell’1% più ricco degli americani di accaparrarsi nel ventennio 1993-2013 circa il 60% della crescita del Pil.

    E, dati alla mano, sembrano assai poco convincenti anche prospet­tive basate sui due tempi: accettare oggi una crescente deregolamenta­zio­ne delle forme contrattuali e, dunque, una maggiore disuguaglianza delle retribuzioni, come prezzo per avere, in futuro, meno disugua­glian­­za attraverso la crescita del numero dei posti di lavoro. Neppure, sono sufficienti politiche di creazione di lavoro; è necessario, anche, che la maggiore occupazione vada a beneficio delle famiglie nella par­te bassa della distribuzione, anziché coinvolgere il secondo coniuge in famiglie già prima non povere. Diversamente, la maggiore occupa­zione non riduce la disuguaglianza e neppure la povertà, come si è verificato nel recente passato nel nostro Paese, nonché in diversi altri Paesi europei.

 

*) Elena Granaglia è ordinario di Scienza delle finanze all’Università di Roma Tre.

**) Michele Raitano è ricercatore di Politica economica alla Sapienza.

   

        

Da Avanti! online

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LA VERSIONE DI MOSCA

 

Mentre il conflitto siriano continua a mietere vittime, dall’altra parte alle Nazioni Unite va in scena l’ennesimo scontro tra i Paesi membri. Da una parte Stati Uniti, Francia e Regno Unito che hanno presentato al Consiglio di Sicurezza una bozza di risoluzione che condanna l’attacco e chiede un’inchiesta sull’uso di armi chimiche contro la popolazione civile attribuito all’aviazione siriana, dall’altra il Cremlino che respinge la bozza e difende il Governo siriano.

 

La proposta di risoluzione presentata da Usa, Francia e Gran Bretagna condanna l’attacco chimico attribuendolo al regime di Assad e chiede che "i responsabili siano chiamati a risponderne". Si esprime poi pieno sostegno alla missione di inchiesta dell’Opac (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche), domandando che "riporti i risultati dell’indagine il più presto possibile". Il presidente siriano Assad dovrà inoltre "organizzare gli incontri richiesti, tra cui con generali o altri ufficiali, entro e non oltre cinque giorni dalla data in cui viene fatta domanda". E al segretario generale Onu Guterres si chiede di riferire se verranno fornite dal regime di Damasco le informazioni richieste ogni 30 giorni. Viene sottolineato anche che il presidente Assad deve "cooperare pienamente con il meccanismo di inchiesta e con Onu e Opac. Deve fornire i dati dei voli militari del giorno dell’attacco, i nomi degli individui al comando di squadre ed elicotteri, e accesso alle basi aeree da cui si crede siano state lanciate le armi chimiche". La decisione di agire è stata riaffermata anche stamani dal numero uno dell’Onu, Antonio Guterres: "L’orribile evento di ieri dimostra che in Siria si commettono crimini di guerra e che la legge umanitaria internazionale viene violata frequentemente. Il Consiglio di sicurezza si riunirà oggi. Abbiamo chiesto che si risponda dei crimini commessi e sono sicuro che il Consiglio di sicurezza si prenderà le sue responsabilità".

    Ma Mosca, membro permanente dell’Onu dispone del potere di veto, ha respinto totalmente la risoluzione bollandola come falsa. "Gli Usa hanno presentato una risoluzione basata su rapporti falsi – ha detto la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova – la bozza di ri­so­luzione complica i tentativi di una soluzione politica alla crisi, è anti-siriana e può portare a una escalation in Siria e nell’intera regione".

    Anzi la Russia difende Assad e dà la propria versione della strage di ieri: all’origine dell’attacco chimico a Idlib, per il Cremlino, vi sarebbe stato il bombardamento da parte dell’aviazione siriana di un "deposito terroristico" in cui erano contenute "sostanze tossiche" usate per produrre proiettili contenenti agenti chimici.

    Il bombardamento del 4 aprile - Si riaffaccia la Siria nella visuale della Comunità internazionale e lo fa riportando l’ennesimo orrore di cui è vittima la sua popolazione. Sono state infatti diffuse le immagini di un nuovo bombardamento nel nord-ovest della Siria nel quale sareb­be­ro stati utilizzati gas chimici: la notizia è stata diffusa oggi dall’ong Os­servatorio siriano per i diritti umani. Il raid è avvenuto nell’area di Khan Shaykhun, una cittadina della provincia di Idlib controllata da mi­lizie ribelli. Tantissime altre persone stanno soffrendo per gli effetti del­l’attacco, con fonti mediche che segnalano problemi respiratori e sintomi come svenimento, vomito e bava alla bocca, ha spiegato l’ong. Testimoni locali fanno sapere che gli ospedali della regione sono saturi e non sono più in grado di accogliere altri intossicati a causa dell’ina­la­zio­ne dei gas tossici, soprattutto dopo gli attacchi da parte dell’avia­zio­ne governativa siriana e di quella russa sua alleata cui si è assistito la set­timana scorsa contro diversi ospedali della provincia e in quella confinante di Hama, tra cui Maaret al-Numan, Talmanes e Latamneh.

    Successivamente un ospedale da campo dove venivano curate le vittime dell’attacco è stato colpito in un altro raid, secondo fonti degli attivisti. Il capo del servizio di difesa civile dell’opposizione a Khan Seikhun, citato dall’agenzia Ap, ha detto che la struttura è stata "presa di mira dopo l’attacco".

    Stamani il sito di notizie vicino all’opposizione ‘Shaam’ aveva parlato di bombe al cloro, ma per la Direzione sanità si tratterebbe invece di gas sarin, entrambi vietati a livello internazionale. Il bilancio intanto continua tristemente a salire: 100 morti e 400 feriti, tra cui tantissimi bambini e immagini a dir poco raccapriccianti. Inoltre tra i feriti ci sono anche membri dei Caschi Bianchi, il corpo di volontari che rischiano la vita per salvare i civili sotterrati dalle macerie.

    Le dinamiche del raid non sono chiare. La zona di Idlib è controllata da gruppi di ribelli e dai qaedisti dell’organizzazione Fatah al Sham, contraria al governo di Damasco. E proprio la Coalizione siriana, il gruppo delle opposizioni con sede all’estero, ha puntato il dito contro gli aerei governativi, accusandoli di essere i responsabili del bombardamento.

    Damasco però ha subito smentito l’uso di armi chimiche, asserendo che l’esercito siriano "non le usa e non le ha usate, prima di tutto perché non le ha". Un’indagine congiunta di Nazioni unite e osservatorio sulle armi chimiche aveva però in passato aveva accusato il governo di Damasco di attacchi con gas tossici, tanto che l’amministrazione Obama nell’estate del 2013 stava per intervenire contro il Governo di Damasco.

     "La comunità internazionale, dopo sei anni di inferno, deve porre fine a questo calvario. Non ci sono figli di Assad e dei ribelli, sono tutti vittime di una guerra che non hanno voluto", ha affermato Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, facendo appello anche ai politici italiani perché esprimano la loro condanna.

    Nel frattempo sono arrivate le dichiarazioni di denuncia della Comunità internazionale. Il ministro degli Esteri della Francia, Jean-Marc Ayrault, ha chiesto un incontro di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. "Un nuovo e particolarmente grave attacco chimico è avvenuto questa mattina nella provincia di Idlib. Le prime informazioni suggeriscono un grande numero di vittime, anche bambini. Condanno questo atto disgustoso", ha detto il ministro sottolineando che queste azioni gravi "minacciano la sicurezza internazionale". L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha puntato il dito contro il regime di Bashar al-Assad. "Oggi la notizia è tremenda", ha detto Mogherini parlando con i media a Bruxelles a margine della conferenza Ue-Onu.

     "L’Unione europea – ha detto ieri Mogherini alla vigilia alla vigilia della Conferenza sulla Siria che si tiene oggi e domani a Bruxelles – ritiene che in Siria sia impossibile tornare alla stessa situazione di sette anni fa. Dopo sei anni e mezzo di guerra sembra del tutto irrealistico credere che il futuro della Siria sarà esattamente uguale al passato". In questo modo viene auspicata l’idea di una Siria senza Assad, ma è stato più esplicito il tedesco Sigmar Gabriel, che si oppone alla posizione assunta di recente dagli Stati Uniti: "Il processo politico, che alla fine dovrà portare Assad a non essere più il presidente della Siria, e che significa riforme elettorali, riforme costituzionali, elezioni e riconciliazione all’interno del paese, non deve essere messo da parte. E questo nonostante ci sia ora chi dice: adesso abbiamo un nemico peggiore, i terroristi, e se necessario dobbiamo collaborare con Assad e con il suo regime e nel caso cedergli aree che sono state liberate, sottraendole ai terroristi".

    L’orrore in Siria è stato denunciato anche da Ankara che ha inviato nella zona dell’attacco 30 ambulanze dalla provincia frontaliera di Hatay. Inoltre il presidente turco Erdogan ha chiamato al telefono il presidente russo Vladimir Putin. Il presidente ha condannato l’attacco, definendolo "disumano" e "inaccettabile". Per Erdogan, l’attacco mette a rischio il processo di pace Astana. Entrambi i leader, stando ai media turchi, hanno ribadito l’importanza del rispetto del "cessate il fuoco" in Siria concordato lo scorso dicembre. Ma la difesa russa ha negato di aver effettuato bombardamenti nell’area di Khan Sheikun: "Gli aerei dell’aeronautica russa non hanno effettuato alcun raid nei pressi di Khan Sheikhun nella provincia di Idlib" afferma un comunicato del ministero della Difesa di Mosca.

    Anche il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha definito l’attacco "un crimine contro l’umanità che merita una punizione" e che "può distruggere l’intero processo" di pace avviato ad Astana. Sulla stessa linea turca persino Israele: Benyamin Netanyahu ha condannato l’attacco: "Le immagini terribili dalla Siria dovrebbero scuotere ogni essere umano. Ci appelliamo al mondo per tenere le armi chimiche fuori dalla Siria".

    Per il momento a Bruxelles si è aperta la conferenza internazionale di due giorni sulla Siria, in cui è atteso che i donatori prometteranno di versare miliardi di dollari di aiuti per i rifugiati siriani e in cui secondo l’Unione europea si dovrebbe impegnare a contribuire a porre fine agli oltre sei anni di guerra. Quest’anno le Nazioni unite hanno lanciato un appello a raccogliere 8 miliardi di dollari per gestire la crisi umanitaria, guardando sia ai donatori del Golfo che ai tradizionali donatori europei. Qatar e Kuwait si sono uniti a Ue, Norvegia e Nazioni unite come organizzatori di questa ultima conferenza internazionale dei donatori, che giunge dopo quelle di Berlino, Londra e Helsinki.

 

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Da l’Unità online

http://www.unita.tv/

 

Usa-Cina, occhi puntati su

incontro Xi Jinping-Trump

 

Occhi puntati sull’incontro storico tra il presidente degli Stati Uniti e il suo omologo cinese Xi Jinping che si vedranno nella tenuta di Donald Trump di Mar-a-Lago in Florida. Al centro del confronto la cooperazione tra i due Paesi, anche da un punto di vista commerciale.

    Su questo il Senato incalza Trump: in una lettera di cui è primo firmatario il senatore Amy Klobuchar, si chiede al presidente statunitense di sollecitare Xi Jinping sulla questione del dumping nel settore dell’acciaio che ha determinato danni all’economia statunitense.

     "Le pratiche commerciali illegali cinesi sono inaccettabili" si legge nell’appello dei senatori. Durante la sua campagna presidenziale, Trump ha ripetutamente accusato la Cina di approfittare degli Stati Uniti e si è impegnato a ridurre il deficit commerciale tra Stati Uniti e Cina riportando posti di lavoro nel manufatturiero nazionale.

    E’ il loro primo incontro e dovranno tentare di stabilizzare la relazione diplomatica più importante del mondo. Durante la campagna elettorale, il presidente americano, ha accusato la Cina di aver "stuprato" l’economia Usa, arrivando a definire il riscaldamento globale un "trucco" di Pechino per danneggiare il manifatturiero a stelle e strisce. Xi è il più potente leader cinese da decenni, con un cumulo di cariche da far impallidire i suoi predecessori: sta lavorando per il suo secondo mandato quinquennale, in vista del Congresso del Partito Comunista del prossimo autunno. E’ pertanto interessato ad un vertice senza scossoni, per il sistema internazionale o i mercati, perché avrebbero ripercussioni in Cina.

    Uno dei nodi, per Xi, è scongiurare una guerra commerciale, destabilizzante per la Cina se Trump decidesse di dare seguito alla sua minaccia di imporre tariffe sulle importazioni in Usa. Sulla Corea del Nord, Xi potrebbe mostrarsi disposto ad aumentare le pressioni come vogliono gli Stati Uniti "ma senza far collassare il regime di Pyong­yang, osserva il New York Times in un’analisi del board editoriale.

 

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Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

Giovanni Sartori

 

di Luigi Covatta

 

Ora che si vuole riesumare la legge Mattarella se n’è andato chi la de­finì Mattarellum. Per Giovanni Sartori quella definizione non era il frutto del suo estro a volte bizzarro, e incline – quando era il caso – alla caricatura. Era il giudizio impietoso su un sistema elettorale che avreb­be dato luogo al più clamoroso episodio di eterogenesi dei fini del do­po­guerra. Doveva favorire la governabilità, ma consentì a Berlusco­ni di truccare le carte con la doppia alleanza (al Nord con la Lega, al Cen­trosud con An), salvo poi subirne le conseguenze col ribaltone operato da Bossi. Doveva garantire un rapporto più diretto fra eletti ed elettori, ma fu una scuola di paracadutismo per centinaia di candidati destinati a collegi in cui non avevano mai messo piede, ma che in compenso erano "sicuri". Doveva semplificare il sistema dei partiti, ma assicurò lunga vita alle decine di "cespugli" che sorsero sotto le querce e gli ulivi.

    Sartori sosteneva il sistema francese: doppio turno di collegio e semipresidenzialismo. Era convinto, infatti, che non bastava una nuova legge elettorale per fondare una nuova Repubblica. Ed anche se nell’XI legislatura non c’era più modo di cambiare la Costituzione, sperava comunque che una legislatura eletta col doppio turno di collegio avrebbe potuto poi provvedere a modificare la forma di governo. Ed in zona Cesarini (a novembre del 1993) la Commissione Iotti stava perfino per dargli ragione, registrando il consenso di Martinazzoli ad un intervento prenatale su quel Mattarellum di cui già allora erano evidenti i difetti. Si oppose il Pds, che pure aveva fatto propria la posizione di Sartori come opzione "di bandiera" nel corso di un iter parlamentare in cui, fra le parti in commedia, ad esso toccava quella dell’opposizione.

    Finì come finì. Ma adesso che Sartori se n’è andato sarebbe il momento di onorarlo aprendo una riflessione collettiva sullo strano caso di una Repubblica nata per semplificare e finita nella confusione.

     

     

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

Nell'ottantesimo anniversario del

sacrificio di Carlo e Nello Rosselli

 

Per ricordare l'ottantesimo anniversario del sacrificio di Carlo e Nello Rosselli (1937-2017) la Fondazione Circolo Rosselli ha messo in cantiere una serie di iniziative. Diamo conto di quelle già definite.

 

 

Martedì 6 giugno a Parigi, presso l'Istituto Italiano di Cultura (50 rue de Varenne), una giornata di studio con relazioni di Marco Bresciani (Università di Pisa), Olivier Dard (Université Paris-Sorbonne), Francesco Margiotta Broglio (Univewrsità di Firenze), Michele Mioni (IMT Lucca), Isabelle Richet (Université Paris Diderot), Francesca Tortorella (Università di Strasburgo), Eric Vial (Université Cergy-Pontoise), Simone Visciola (Università di Tolone). Presiedono le sessioni Valdo Spini (Fondazione Circolo Rosselli) e Alessandro Giacone (Università di Grenoble).

    Al termine dei lavori, alle ore 19, ci sarà una iniziativa pubblica, coordinata dal direttore dell'Istituto Italiano di Cultura, dr. Fabio Gambaro, e sarà proiettato il documentario prodotto dalla RAI TV Il caso Rosselli. Un delitto di regime.

    Contemporaneamente, sarà allestita la Mostra sui fratelli Rosselli prodotta dalla Fondazione Circolo Rosselli

 

Mercoledì 7 giugno, a Bagnoles de l'Orne, presso il monumento che ricorda Carlo e Nello Rosselli, su invito delle autorità locali, si svolgerà una cerimonia di commemorazione. Ci volesse prenotarsi per il pullman che trasporterà i partecipanti da Parigi a Bagnoles de l'Orne può rivolgersi all'indirizzo: fondazione.circolorosselli at gmail.com.

 

Venerdì 9 giugno, giorno dell'ottantesimo dell'uccisione, alle 9.30 verranno deposte corone alla tomba dei Rosselli a Trespiano. Alle ore 11 si svolgerà un'iniziativa all'Archivio di Stato di Firenze, in Piazza Beccaria.

 

Martedì 13 giugno è prevista una iniziativa all'Istituto Italiano di Cultura di Barcellona, regione autonoma della Catalogna, in Spagna.

 

 

La Fondazione Circolo Rosselli mette a disposizione per i circoli locali che vogliano organizzare iniziative relative all'anniversario del sacrificio di Nello e Carlo un logo ufficiale, che può essere richiesto sempre all'indirizzo fondazione.circolorosselli at gmail.com. Analoga richiesta può essere fatta per la mostra che consta di 20 pannelli, disponibile anche in versione informatica.

     

            

Da CRITICA LIBERALE

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Mentalità autoritaria

e massiccia ignoranza

 

Osservazione elementare: i 5 Stelle, il loro obiettivo – dar vita a una "democrazia diretta" – lo hanno già raggiunto. Il caso delle comu­na­rie di Genova lo testimonia con chiarezza: la loro "democrazie" è appunto "diretta" da Beppe Grillo.

 

di Paolo Bagnoli

 

La deriva cui è giunto il sistema della politica in Italia fa sì che un episodio sul quale si sarebbe dovuto dire molto sia stato ridotto a un titolo di giornale. La concorrenza, cioè il Pd, per il piombo che ha nelle ali, pur alimentando un continuo duro battibecco con i rivali, non ha la forza necessaria per denunciare con la decisione dovuta il senso delle scelte genovesi e i toni, veramente preoccupanti, con i quali il garante del Movimento ha risposto a chi, all’interno e all’esterno di questo, ha avanzato delle critiche. Certo che del loro, e nel loro, Movimento i 5 Stelle possono fare quello che vogliono. Per una forza, tuttavia, che punta al governo del Paese la questione della mentalità e dei metodi con i quali essa agisce riguarda tutti poiché la democrazia sta, o dovrebbe stare, a cuore a tutti. Sottovalutarlo equivale a una fuga rispetto a una realtà inquietante.

    Oramai la politica ci regala un continuo spettacolo di gazzarra che altro non è se non la rappresentazione della patologia cui siamo giunti. In quello che succede non vi è, infatti, morale ossia senso dei valori concernenti la politica e le istituzioni. La febbre del potere unitamente alla bramosia della sua conquista e del suo esercizio, prevalgono su ogni legittima aspirazione al governo del Paese. Nella lotta i cui runner di testa sono il Pd e i 5 Stelle , si tritura tutto e ci sembra che il primo dei due sopracitati soggetti non si renda conto dell’errore che fa nel rincorrere i grillini sul loro terreno invece di arginarli e combatterli come dovrebbe. Aveva ragione Pietro Nenni: in politica c’è sempre uno più puro che ti epura. Oggi possiamo dire che a un rottamatore ne segue un altro che lo è ancora di più.

    La mentalità autoritativa e dogmatica ha trovato una sua esplicitazio­ne applicativa in un gesto che definire di protesta è sbagliato mentre si avrebbe dovuto avere il coraggio di chiamarlo per quello che è stato: un vero e proprio episodio dal sapore squadristico. Ci riferiamo, na­turalmente, al blliz tentato dai 5 Stelle nell’ufficio di presidenza della Ca­mera quale risposta alla bocciatura che esso aveva fatto sui vitalizi. Bene ha fatto la presidente Laura Boldrini a dichiarare che la Camera "non si farà intimidire". Ce n’è bisogno a fronte di quello che il ca­po­gruppo Pd, Rosato, ha qualificato come "un attacco violento e bar­ba­ro". Le pressioni intimidatorie, tuttavia, non sono finite poiché i gril­li­ni, non paghi del gesto squadristico, hanno completato l’iniziativa ar­rin­gando, per bocca del vicepresidente di Montecitorio Luigi Di Ma­io, la piazza con una filippica miserevole e retorica che ha rappresen­tato un altro atto di intimidazione contro il Parlamento. Non dimen­ti­chia­moci che Di Maio è quello delle liste di proscrizione dei giornalisti che avevano fatto delle inchieste che lo riguardavano. Beppe Grillo, il ga­rante, di par suo, si è indirizzato alla presidente Boldrini in questi ter­mini: "Chieda scusa in ginocchio per suo sopruso". Nei grillini sem­bra venire a sublimazione tutto il veleno che in questi anni è montato con­tro il Parlamento raffigurato come un luogo di salvaguardia castale, di usur­patori del privilegio e non c’è da stupirsi di essere arrivati a que­sto punto quando sotto il manto perbenistico di critiche su particolari si­tua­zioni, quando ciò che interessa è solo fare scandalo e generare de­ni­gra­zione. Inevitabile che a forza di seminare vento si raccolga tempesta.

    Quelli dei grillini sono atti e dichiarazioni di una gravità inaudita. Il Paese appare sotto schiaffo di un gruppo di crociati ai quali non basta rimproverare la gestione di Roma che sembra, peraltro, avere ben assorbito e pure fatto assorbire, mentre occorrerebbe un mobilitante coro di indignazione che suonasse anche a risveglio della responsabilità democratica.

    Il coro, però, non c’è. Comincia, invece, ad apparire qualche analisi seria sui 5 Stelle quale quella che Ernesto Galli della Loggia ha con­se­gnato il 25 marzo scorso al "Corriere della Sera". Il succo del ra­gio­na­mento di Galli della Loggia è che gli esponenti del grillismo i quali stuc­chevolmente esternano la sicumera dei primi della classe, pre­sen­tandosi come "diversi e migliori", non hanno nessuno dei fondamentali per divenire una classe dirigente. Riportiamo un brano dell’articolo che ci ha colpito. Scrive il professore riferendosi, appunto, alla dirigenza grillina, quella che ha tentato il blitz all’ufficio di presidenza della Ca­me­ra e poi aizzato la piazza contro la funzione parlamentare prefe­ren­do gesti ai discorsi: "Con la giovane età che per, lo più li con­trad­di­stingue essi appaiono, infatti, anche il frutto compiuto dello sfasciato sistema d’istruzione del loro (e ahimè nostro) Paese. Nel loro modo di parlare e di ragionare, nel loro lessico, è facile indovinare, curriculum scolastici rabberciati, insegnanti troppo indulgenti, lauree triennali in scienze della comunicazione, studi svogliati, poche letture, promozioni strappate con i denti. S’indovina cioè un vuoto. Il multiforme vuoto ita­liano di questi anni, in cui tutto sembra sgretolarsi e finire. Un vuoto a cui come elettori, peraltro, si può essere pure tentati di accostarsi con la speranza - sempre l’ultima a morire – che esso celi qualcosa di buono che a prima vista non è dato scorgere ma che forse c’è, in fondo chissà potrebbe pure esserci. Salvo restare ogni volta regolarmente delusi." D’al­tronde il solito Di Maio che trasforma, nel corso di una tra­smis­sio­ne televisiva, il sociologo Luciano Gallino nello "psicologo Gallini", conferma che Galli della Loggia dice cose vere. E ha sempre ragione: i 5 Stelle rappresentano un salto nel vuoto; non solo non sono l’alterna­ti­va alla crisi del sistema, ma testimoniano della terminalità cui questo sembra essere giunta.

    Rispondendo a Pier Luigi Bersani che aveva tentato un’apertura, molto tattica invero, verso i 5 Stelle per costruire una difficoltà al suo ex-partito, il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, figura di primo piano del neonato movimento "Articolo 1", ha preso le distanze definendo i grillini "reazionari e inquietanti". In altri termini ha avuto, se non altro, il buon senso di gridare la nudità del re. Bersani dal canto suo ha cercato di recuperare buttando sul tavolo, questa volta, un’altra verità: la crescita registrata dai 5 Stelle in questi anni è frutto dell’in­suf­ficienza del centrosinistra che non ha fatto, e non fa, il suo mestiere e che, limitandosi a dargli del populista, finisce per portare acqua al loro mulino.

    Ora, poiché il confronto di fondo della politica italiana si gioca, nella partita per il governo, tra Pd e 5 Stelle il quadro complessivo cui siamo di fronte è veramente preoccupante in una perdita generale di senso co­mu­ne che, in una democrazia politica cosciente di cosa essa sia e rap­pre­senti, costituisce un fattore morale concreto tutt’altro che marginale.

 

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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

 

     

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