[Diritti] ADL 161124 - Per tornare



 

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894

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Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 24 novembre 2016

  

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IPSE DIXIT

 

Tornare allo Statuto Albertino? - «La contro-riforma Renzi-Boschi rende irreversibile l’effetto disastroso dell’erosione del principio di rigidità costituzionale: per tornare allo Statuto Albertino, una costituzione flessibile, che poteva essere modificata con legge ordinaria e che consentì di cambiare la forma di Stato. Tant’è che con lo statuto Albertino morì lo stato liberale e s’impose il fascismo. E tutto ciò per modificare la prima parte della Carta, quella delle norme valoriali, che ha una sua ideologia politica di fondo: è una terza via. Che vincola i governi all’equità nella distribuzione, a una politica fiscale progressiva». - Rino Formica

 

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Rino Formica con Emanuele Macaluso

 

Perché mai rischiare? - «I mercati scontano già oggi l'incertezza, co­me si vede dallo "spread" in rialzo. L'esito del referendum avrà ine­vi­tabili strascichi politici, ma questo accadrà anche in caso di vittoria del "Sì"... C'è il Quirinale, il cui ruolo è proprio quello di garantire l'equi­li­brio nei momenti difficili… In ogni caso, è evidente che il dopo Renzi potrebbe coincidere con una nuova investitura dell'attuale premier, alla guida di un governo di fine legislatura… Nella maggioranza Pd-cen­tri­sti quasi nessuno vuole correre avventure. E di sicuro nessuno ha vo­glia di elezioni anticipate se dovesse prevalere il "No". Perché mai ri­schia­re una seconda e definitiva sconfitta?» - Stefano Folli

 

     

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EDITORIALE

 

La "quistione"

principale

 

La 'quistione' principale – come dice, con accento gramsciano, il vecchio leader socialista Rino Formica – è che la revisione Renzi-Boschi demolisce la rigidità della Costituzione repubblicana…

 

di Andrea Ermano

 

Puntano a tornare «allo Statuto Albertino, a una costituzione flessibile, che poteva essere modificata con legge ordinaria e che consentì di cambiare la forma di Stato. Tant’è che con lo Statuto Albertino morì lo stato liberale e s’impose il fascismo».

    In tema di Statuto Albertino riportiamo una testimonianza di Ettore Cella Dezza sui disordini tra fascisti e antifascisti nella Zurigo dei primi anni Trenta:

 

«Ogni anno a Zurigo le autorità consolari italiane celebravano la Festa dello Statuto. Si commemorava la costituzione sabauda nota sotto il nome di "Statuto Albertino" essendo stata promulgata da Carlo Alberto. In un’epoca nella quale nemmeno i discendenti di Casa Savoia si ponevano a difesa della Costituzione che pure il re aveva giurato solennemente di osservare e difendere, la Festa dello Statuto andava assumendo un carattere abbastanza paradossale.

    Alla Festa dello Statuto gli ex-combattenti, le corporazioni e i gruppi vicini alla corona si raccoglievano tutti alla Gessnerallee. Numerosi arrivavano anche da Sciaffusa e dalla Svizzera orientale, formando un corteo che poi, tra bandiere e stendardi, al suono delle fanfare, percorreva la Bahnhofstrasse fino al lago, a Buerkliplatz. In testa al corteo il tricolore bianco, rosso e verde, seguito dai làbari dei reduci al fronte del quindici-diciotto, e poi da gonfaloni dei vari gruppi associativi, dal club delle bocce a quello ciclistico. Né mancavano le organizzazioni clericali, anch’esse in prima fila con le sacre insegne e i drappi e i vessilli sventolanti, tutti inquadrati in questa bella festa patriottica che solo le organizzazioni politiche antifasciste disertavano.

    Giunti a Bürkliplatz, i partecipanti salivano su uno dei battelli e si facevano un giro sul lago, pranzando, cantando e ballando in allegra compagnia.

    Dopo l’avvento in Italia del regime fascista – che aveva conquistato il potere con mezzi criminosi, incluso l’assassinio politico, e che quindi aveva destituito di significato lo "Statuto Albertino" – la celebrazione dello stesso assumeva tutti i caratteri della farsa. Le forze liberali e democratiche, i socialisti, i comunisti e gli anarchici si raccolsero, dunque, in una contro-manifestazione per protestare contro ciò che consideravano una "festa nazionale dell’ipocrisia" nonché una "festa dell’ipocrisia nazionale". Raggiunta la Bahnhofstrasse, si dividevano in due ali di folla schierate ai bordi della strada con bandiere e striscioni. Dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, di cui il Duce dal balcone di Palazzo Venezia aveva rivendicato "la responsabi­li­tà storica, politica e morale", gli antifascisti italiani iniziarono a tributare la dovuta accoglienza ai cortei “statutari" sostenitori del regime.

    Sulle prime, la maggior parte degli "statutari" non capiva bene il senso di quelle salve di fischi, pernacchie e sbeffeggiamenti di cui venivano fatti oggetto. La maggior parte di loro partecipava al corteo per nostalgia patriottica, seguendo questa o quella bandiera, tricolore o insegna religiosa che fosse, in devozione nei confronti dello stato unitario o della chiesa cattolica».

 

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A illustrazione della testimonianza di Cella-Dezza, ripubblichiamo qui sopra la foto di una manifestazione promossa in quegli anni a Zurigo dall'emigrazione antifascista. Per dire che ci fu chi, a proprio rischio, disse No all'imbarbarimento mentre i più grandi tromboni euro-americani andavano cullandosi sui treni in orario del duce, senza vedere che la storia marciava al passo dell'oca verso l'abisso.

    Le persone che vedete nella foto – da Giulia Bondanini a Fernando Schiavetti con le loro due figlie Annarella e Franca, da Enrico Dezza a un ancor giovanissimo Amilcare Biagini – non ci sono più. Però man­tengono a buon diritto il titolo collettivo di Soci fondatori della Repubblica Italiana.

    Si opposero alla "festa nazionale dell’ipocrisia" nonché alla "festa dell’ipocrisia nazionale" nella ricorrenza dello Statuto Albertino. Chissà cosa direbbero oggi constatando che proprio a esso, allo Statuto Albertino, finiremmo per regredire con la "costituzione flessibile" inscritta nella Revisione Renzi-Boschi.

    Che le cose stiano proprio così, né più né meno, ci aiutano a capirlo gli avvocati milanesi firmatari dell'Appello pubblicato sotto: "La scelta di adottare una così vasta revisione costituzionale e una nuova legge elettorale con la sola forza contingente della maggioranza di governo (peraltro artificiosa) costituisce un grave limite genetico perché lascia presagire che, nel prossimo futuro, a ogni cambio di equilibrio politico potrà corrispondere una nuova modifica della Carta fondamentale e una nuova legge elettorale su misura dei vincitori".

    Ecco, è esattamente in questa prospettiva di mutamento delle leggi costituzionali ed elettorali a colpi di maggioranza, cioè a misura dei vincitori di turno, che si mostra in tutta chiarezza la "quistione" principale: "Come ha notato qualche settimana fa Rino Formica, ormai la somma delle difficoltà del Paese forma un agglomerato così vasto che alla prima occasione si può creare un rovesciamento", chiosa Francesco Bei sulla Stampa.

    Perché il punto vero sta in questo possibile “rovesciamento”, cioè nel fatto che il sistema, giunto ai suoi limiti di tenuta, è comunque alla vigilia di "qualcosa". Qualcosa che ancora non sappiamo. Ma sappiamo che quando saremo lì la scelta verterà, inevitabilmente, sulla democrazia. Perché o riusciremo osare "più democrazia" oppure rischieremo di perderla del tutto (anche su questo Formica ha semplicemente ragione).

    La democrazia – il potere dei molti – non è compatibile con l'attuale fase di scatenamento selvaggio. La logica del turbo-capitalismo è verticalizzare la ricchezza nelle mani di pochi e pochissimi, fa­gocitando ogni cosa gli si pari innanzi, nell'incapacità di fermarsi finché non avrà fagocitato anche se stesso.

    D'altronde la democrazia – lo stato di diritto – non è compatibile nemmeno con il bestiale impulso populista che consiste nel reagire al disagio di questa nostra società frantumata passando dal "tutti contro tutti" allo scatenamento sacrificale del "tutti contro uno".

    Perciò la democrazia, presa in mezzo a due scatenamenti, è tendenzialmente instabile. E allora ci appare financo logico che la Carta fondamentale sia sotto attacco.

    Gli elzeviristi della bancarotta globale prossima ventura minacciano l'Italia di sfracelli finanziari se la Costituzione rimanesse quella che è. Eppure loro sanno benissimo che prima o poi la crisi arriverà comunque, in Italia e fuori d'Italia, a prescindere dall'esito del Referendum. Ma sanno anche che la crisi non verrà il 5 di dicembre. Che cosa minacciano allora?

    In attesa di risposte plausibili è consigliabile salvaguardare quel che abbiamo: quel po' di rigidità della Costituzione, la quale è l'unico principio della nostra de­mo­cra­zia in cui si cela una spinta vera verso "più democrazia".

           

       

APPELLO DEGLI AVVOCATI MILANESI

 

UN "NO" ARGOMENTATO

 

Ricordiamo che le Costituzioni sono quelle regole che i popoli

si danno quando sono sobri per quando saranno ubriachi.

 

Il prossimo referendum sulla revisione costituzionale riguarda una ma­teria tecnicamente assai complessa, sia per l’eterogeneità e l’am­piez­za delle modifiche intervenute, sia per la difficoltà di cogliere tutte le im­plicazioni che ne potranno derivare.

    Come avvocati sentiamo il dovere di esprimerci, mettendo le nostre competenze giuridiche e la nostra esperienza professionale a di­spo­si­zio­ne dei cittadini per aiutarli a compiere una scelta con­sa­pe­vo­le.

 

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L'avv. Luciano Belli Paci, co-iniziatore dell'Appello

 

Anzitutto occorre osservare che la scelta di adottare una così vasta re­vi­sione costituzionale e una nuova legge elettorale con la sola forza contingente della maggioranza di governo (peraltro artificiosa) costi­tui­sce un grave limite genetico perché lascia presagire che, nel prossimo futuro, a ogni cambio di equilibrio politico potrà corrispondere una nuo­va modifica della Carta fondamentale e una nuova legge elettorale su misura dei vincitori. Una simile spirale di riforme e controriforme fa­­rebbe venire meno la concezione della materia istituzionale come ter­reno di valori condivisi, minando le basi della nostra convivenza demo­cratica.

    In secondo luogo, balza agli occhi dell’interprete la pessima qualità redazionale dell’intervento di revisione, che introduce nella nostra Car­ta fondamentale norme farraginose, illeggibili per il cittadino medio, spes­so contraddittorie o ambivalenti; insomma, la forma – che in que­sta materia è anche sostanza – appare lontanissima da quella tipica del­le norme co­stituzionali, che dovrebbero essere il più possibile cri­stal­li­ne, sobrie e accessibili a chiunque. Lo stile involuto e l’obiettiva oscu­­­rità di non po­che disposizioni raggiunge livelli tali da legittimare il dub­bio che non si tratti (solo) di limiti qualitativi, bensì di un’am­bi­guità intenzionale per lasciare aperte diverse opzioni applicative e in­terpretative a seconda degli equilibri politici che si potranno deter­mi­na­re in futuro.

    Il principale elemento che rischia di privare l’opinione pubblica di una piena consapevolezza degli effettivi esiti che la revisione oggetto di refe­rendum produrrà nella vita delle istituzioni è dato dalla intera­zio­ne tra la modifica costituzionale vera e propria e la legge elettorale per la Came­ra, detta “Italicum”. Questa, avendo reintrodotto sur­ret­ti­zia­mente i me­de­simi vizi stigmatizzati nella sentenza di incostituzio­na­li­tà della legge pre­ce­den­te (Porcellum), non solo è a sua volta illegit­ti­ma, ma costituisce an­che un oltraggio alla Corte Costituzionale incon­ce­­pibile in uno stato di diritto.

    La revisione costituzionale, eliminando l’elettività del Senato e la­scian­do alla sola Camera dei Deputati il rapporto di fiducia col gover­no, con­sen­ti­reb­be all’Italicum di dispiegare per intero il proprio effetto sulle isti­tu­zio­ni, effetto che sarà quello di produrre una sostanziale mo­di­fica­zione della forma di governo del nostro paese. Infatti, con il bal­lot­taggio tra liste e l’assegnazione di un abnorme premio di mag­gio­ranza al vincitore (un uni­cum a livello mondiale), a prescindere dal­l’ef­fet­tiva rappresenta­tività del corpo elettorale, la legge determinerà di fat­­to l’elezione diretta del pre­sidente del consiglio, l’illimitata com­pres­sione della rappresentanza democratica e la concentrazione nel go­ver­no di tutti i poteri: dal controllo sull’assemblea legislativa alla pos­si­bilità di eleggere gli organi di ga­ran­zia (Presidente della Re­pub­blica, Corte Costituzionale, Csm), dal dominio sulla Rai alla nomina delle varie Authority.

    Questo determinerebbe la fuoriuscita dal modello di democrazia par­lamentare, senza peraltro le garanzie del modello alternativo, quello del­la repubblica presidenziale, che è caratterizzato da rigorosa se­pa­ra­zione dei poteri e forte presenza di pesi e contrappesi.

    Un così radicale e avventuroso cambiamento del nostro assetto isti­tu­­zionale è stato introdotto in modo larvato e con legge ordinaria, ri­ma­nendo perciò formalmente estraneo alla revisione costituzionale og­getto del quesito referendario.

    I cittadini, che in questo modo sono privati della possibilità di espri­me­re il proprio giudizio sulla parte più incisiva del complessivo mu­ta­men­to costituzionale che si vuole realizzare, devono essere resi con­sa­pe­voli della reale posta in gioco perché possano riappropriarsi del dirit­to di deliberare anche su ciò che formalmente non viene loro richiesto.

    Peraltro, quale che sia il giudizio sulla legge elettorale, venendo al merito della revisione costituzionale - e prescindendo in questa sede da aspetti secondari (dai presunti risparmi all’abolizione del Cnel), di ca­rat­­tere essenzialmente propagandistico - basterà concentrare l’at­ten­zione sul tema cruciale del procedimento legislativo.

    Non è affatto certo che la semplificazione e velocizzazione del­l’at­ti­vità legislativa potrà realizzarsi come i sostenitori della revisione pro­met­tono. Infatti, il carattere assai confuso delle competenze e delle mo­dalità di par­tecipazione del futuro Senato al processo legislativo induce a pre­ve­de­re piuttosto una complicazione delle procedure ed una mol­ti­pli­cazione dei conflitti, con conseguenti ricorsi alla Corte Co­sti­tu­zio­na­le. Se poi la mag­gioranza politica del Senato espresso dai consiglieri regionali do­ves­se essere diversa da quella della Camera, è logico aspet­tar­si un siste­ma­tico richiamo di tutte le leggi approvate dalla Camera, con conseguente generalizzazione della “navetta” tra i due rami del parlamento, che oggi è un fenomeno limitato a circa il 3 % delle leggi che vengono varate.

    Ma poniamo, per ipotesi, che la semplificazione promessa venga rea­liz­­za­ta. In tal caso sarebbe necessario chiedersi se, al di là delle fa­ci­li sug­ge­stioni propagandistiche diffuse dalle forze di governo e da al­cu­ne rap­pre­sen­tanze dell’establishment economico, questo corrispon­da vera­mente al­l’in­teresse dei cittadini o non costituisca piuttosto il clas­si­co bisogno indotto.

    Nella realtà, nonostante il bicameralismo perfetto, l’Italia ha già oggi tempi di approvazione delle leggi che sono inferiori alla media degli al­tri stati democratici ed ha prodotto nei decenni una quantità di nuove leg­gi tale da rasentare un record mondiale. Il numero delle leggi in vi­go­re nel nostro paese è da tempo sfuggito al controllo (40000, 100000, 150000?) e questo ha creato incertezza del diritto, milioni di pro­cessi pendenti e condizioni favorevoli alla proliferazione della corruzione.

    Il che è quanto dire che non abbiamo un problema di lentezza nel­l’at­tività legislativa, ma al contrario abbiamo una iper-produzione le­gi­slativa che, oltretutto, si accompagna al progressivo ed allarmante sca­dimento della qualità delle nuove norme che vengono approvate, e che sempre più spesso sono di iniziativa governativa e non parlamentare.

    In questa situazione la prospettiva di un parlamento subalterno al­l’e­secutivo - che oltre a detenere la maggioranza garantita dal premio ne potrà determinare anche l’agenda - costituito in prevalenza di nominati, e ridotto a sfornare a getto continuo nuove leggi a data certa, senza i tem­pi necessari per i dovuti approfondimenti e per la discussione, do­vrebbe suscitare viva inquietudine in qualunque persona minimamente informata.

    Peraltro, la (ancora) minore ponderazione delle leggi e lo slittamento verso una forma di “democrazia immediata” comportano rischi non solo sul piano qualitativo, ma anche di sistema.

    Infatti, determinando una più diretta esposizione sia alle ondate e­mo­­tive dell’opinione pubblica, sia alla pressione dei media spesso pi­lotata dai poteri forti (“lo vogliono i mercati”; “lo vuole l’Europa”…), possono dare luogo facilmente a misure penali squilibrate – ora di di­su­mana severità, ora di esagerato lassismo – e ad improvvisate leggi ci­vi­li del caso singolo. Insomma, l’esatto contrario di quella normazione fat­ta di poche leggi, tecnicamente accurate, organiche e stabili nel tem­po di cui avrebbe davvero bisogno l’Italia per essere più moderna e competitiva.

    Anche la radicale modificazione del sistema delle autonomie e del rapporto Stato - Regioni non è condivisibile perché, allontanandosi bru­sca­mente dal disegno dei Costituenti che era quello di assegnare alle Re­gio­ni un potere di riforma delle stesse leggi dello Stato nelle materie ad esse attribuite dall’art. 117 Cost., determina uno svuotamento di questa autonomia e un ritorno di quasi tutte le competenze al potere centrale.

    La revisione costituzionale porta così a compimento la sconfitta dell’autonomia regionale, trasformando progressivamente le Regioni in enti non più prevalentemente legislativi e di tutela delle autonomie locali, ma in enti di spesa; tutto ovviamente con la complicità di un ceto politico locale più attento alla clientela che alla difesa della funzione costituzionale attribuita alla Regione.

    Questo ritorno al potere invasivo dello Stato centrale, sia politico che burocratico, avviene senza alcun risparmio di spesa, anzi al contra­rio, e con il mantenimento di un ceto politico regionale (Consigli e Giun­te Regionali) titolare soltanto di potere clientelare, in senso lato, os­sia di gestione di grandi flussi di denaro in funzione di vantaggio politico.

    Per tutte queste ragioni, noi riteniamo che siano di gran lunga prevalenti nella revisione costituzionale gli aspetti negativi. Inoltre riteniamo che nel bilanciamento che siamo chiamati a fare, dovendo approvare o bocciare in blocco una modifica costituzionale variegata, occorra sempre far prevalere un principio di precauzione, ricordando che le Costituzioni sono quelle regole che i popoli si danno quando sono sobri per quando saranno ubriachi.

 

Perciò, il nostro consiglio è di votare NO.

 

Inviate la vostra adesione a : avv.bellipaci at studiobellipaci.it

 

Primi firmatari: Avv. Luciano Belli Paci, Avv. Felice Besostri, Prof., Avv. Maria Agostina Cabiddu, Avv. Marco Dal Toso, Avv. Claudio Tani. – Hanno aderito (aggiornamento 8.11.2016): Avv. Velia Addonizio, Avv. Paolo Agnoletto, Avv. Alberto Amariti, Avv. Bruno Amato, Avv. Maria Anghelone, Prof., Avv. Vittorio Angiolini, Avv. Dario Ardizzone, Associazione Giuristi Democratici di Milano, Avv. Elisabetta Balduini, Avv. Enrico Barbagiovanni, Avv. Vincenzo Barone, Avv. Alessandro Bastianello, Avv. Aldo Bissi, Avv. Francesco Bochicchio, Avv. Marco Bove, Avv. Aldo Bozzi, Avv. Alessandro Brambilla Pisoni, Avv. Franz Brunacci, Avv. Riccardo Camano, Avv. Maura Carta, Avv. Alfonso Celeste, Avv. Mario Cerutti, Avv. Angela Chimienti, Avv. Dario Ciarletta, Avv. Riccardo Conte, Avv. Gianluca Corrado, Avv. Candida De Bernardinis Prof., Avv. Francesco Denozza, Avv. Gianalberico De Vecchi, Avv. Gino Di Maro, Avv. Mario Di Martino, Avv. Carmen Di Salvo, Avv. Enrica Domeneghetti, Avv. Rolando Dubini, Avv. Maria Cristina Faranda, Avv. Tecla Faranda, Avv. Paolo Gallo, Avv. Federico Garufi, Prof., Avv. Gustavo Ghidini,  , Avv. Mario Giambelli, Avv. Sabrina Giancola, Avv. Angelo Iannaccone, Avv. Massimiliano Lieto, Avv. Giovanni Marcucci, Avv. Floriana Maris, Avv. Gianluca Maris, Avv. Guido Mastelotto, Avv. Mirko Mazzali, Avv. Alberto Medina, Avv. Simona Merisi, Avv. Bruno Miranda, Avv. Cristina Mordiglia, Avv. Paolo Oddi, Avv. Fernando Palmisano, Avv. Stefano Paltrinieri, Avv. Alessandro Papa, Avv. Simonetta Patanè, Avv. Antonella Pettinato, Avv. Walter Pirracchio, Avv. Filippo Pistone, Avv. Giampaolo Pucci, Avv. Piera Pujatti, Avv. Francesco Rampone, Avv. Vitantonio Ripoli, Avv. Domenico Roccisano, Avv. Ilaria Rozzi, Avv. Elisabetta Rubini, Avv. Giovanni Saccaro, Avv. Danilo Scarlino, Avv. Andrea Siface, Avv. Salvatore Smaldone, Avv. Ernesto Tangari, Avv. Giulio Taticchi Mataloni, Avv. Armando Tempesta, Avv. Cristiana Totis, Avv. Fabio Vaccarezza, Avv. Giuseppe Vella, Avv. Eric Zanotelli, Avv. Paola Zanotti, Avv. Massimo Zarbin.

        

   

SPIGOLATURE

 

Un sereno weekend

al calor bianco

 

di Renzo Balmelli

 

TENDENZE. Collocate entrambe il 4 dicembre, una giornata destinata per le bizzarrie del calendario a diventare una domenica al calor bianco, le prove elettorali che avranno come protagoniste Italia e Austria saranno l'ultimo, emblematico, atto politico di un anno che non è stato certo avaro di emozioni forti e contrastate. Dopo la Brexit, l'ascesa di Trump e l'insorgere prepotente di vecchi fantasmi, sia il ballottaggio presidenziale austriaco, su cui aleggia lo spettro dell'estrema destra, sia il referendum di Renzi, quasi un anticipo di elezioni politiche, si configurano come eventi combattuti con toni sempre più accesi. Negli equilibri del potere gli scenari che un esito o l'altro apriranno saranno diversi a seconda del Paese, ma anche indicativi su un piano più generale per capire come si muoveranno le lancette della storia nel Vecchio Continente su cui soffiano venti burrascosi. La drammatizzazione dello scontro fa si che il verdetto delle urne concorra a tenere tutta l'UE col fiato sospeso. 

 

COMMIATO. Per ovvia ragion di stato, Obama prima di lasciare non poteva che esortare gli alleati europei a mantenere stretti legami di collaborazione con gli USA. Ma dal tono accorato si intuiva che il suo animo non era del tutto tranquillo nel passare le consegne a colui che fin dal primo giorno si sta muovendo come un elefante in un negozio di porcellane. Tranne qualche "trumpiano" lesto a salire sul carro del vincitore, nelle principali cancellerie europee regna un clima di inquietudine sulle prossime mosse di un Presidente dal quale è facile aspettarsi di tutto e il contrario di tutto così come gli garba, e che si circonda di collaboratori addirittura inneggiati dal Ku Klux Klan. No davvero, alla cena di commiato in Germania a piangere non era soltanto il cielo sopra Berlino.

 

WATER. Ah, gli scherzi del mercato globale. C'è un neo che offusca il trionfo elettorale dell'uomo dal ciuffetto color canarino. Non, come si potrebbe pensare, il fatto ininfluente, ma fastidioso per il suo ego sconfinato di avere avuto meno voti popolari della Clinton. No, ciò che lo irrita è la battaglia per fare togliere il suo nome da un marchio di gabinetti super accessoriati molto popolari in Cina e molto venduti all'estero. Marchio che nella traduzione significa appunto Trump. Avere come sfondo quel popò di "water" seppur dotato di raffinatissimi marchingegni idraulici, non è proprio lo scranno più indicato per costruire il nuovo ordine mondiale da lui vagheggiato. Quell' immagine va tolta di mezzo per non essere bersaglio dalla satira. Ma è sorto un inghippo: i cinesi non cedono e fanno – è il caso di dirlo – orecchio da mercante

 

TACCHI. In taluni frangenti la politica è anche una questione di stile come ha ben evidenziato il confronto tra l'eleganza discreta di Obama e le tenute sgargianti indossate da Trump in sintonia col personaggio. Anche tra Angela Merkel, candidata per un quarto mandato, e Marine Le Pen, che aspira all'Eliseo, si preannuncia una battaglia non solo sulle idee, distanti anni luce, ma anche sul modo di presentarsi in pubblico. La sfida che manda in estasi gli studiosi del costume sarà tra le infinite sfumature degli immancabili tailleur coi quali la Cancelliera ha modellato la sua fama di brava "Mutti" della patria e la bellicosa leader del Fronte Nazionale che ha invece optato per un look più spigliato, rinunciando ai pantaloni e presentandosi in gonna e tacchi a spillo. Insomma a volte anche l'abito fa il monaco, o la monaca!

 

REBUS. Senza un candidato comune, la sinistra francese rischia di presentarsi alle presidenziali dell'anno prossimo in ordine sparso e non certo attrezzata per tenere testa al centro destra che allo scopo non ha esitato a sacrificare il sempre meno amato Sarkozy. Nei ranghi della gauche comincia a serpeggiare il timore di non arrivare al secondo turno e quindi di dover scegliere il male minore come fece con Chirac per sbarrare il passo a Le Pen padre. Questa volta l'avversario comune è ancora una Le Pen, la figlia Marine, che ha lanciato la sua sfida sicura di farcela. Nello scompiglio dei partiti che precede il voto di maggio, appuntamento clou del 2017 assieme alle elezioni tedesche, la corsa all'Eliseo è ormai sempre più un rebus dall'esito quanto mai incerto, ma con un punto fermo: la sinistra deve ricompattarsi e superare le vecchie divisioni nella consapevolezza che in politica il male minore alla lunga può rivelarsi il peggiore. 

 

PUTIN. Quando militava nei piani alti del KGB, che non era proprio una leggiadra confraternita di francescani, Putin non godeva certo di grandi simpatie nel mondo occidentale. Nella terminologia di Reagan apparteneva " all'impero del male". Come abbia fatto l'attuale Presidente russo a diventare l'idolo di una parte consistente della destra europea è uno di quei misteri che non aiuta a capire l'esatta natura di questo fenomeno. Ma che però andrebbe analizzato attentamente. Le durissime reazioni dei suoi sostenitori alla risoluzione UE che accusa il Cremlino di sfidare i valori democratici e dividere l'Europa è d' altronde sintomatica. L'alzata di scudi, non priva di giudizi irriverenti nei confronti dell'euro parlamento, mostra un mutato e per certi versi acritico atteggiamento di alcuni settori dell'opinione pubblica che ora vede la Russia come l'approdo della terra promessa dopo averla considerata per anni una sterminata prigione a cielo aperto. Un cambio di passo radicale in cui non mancano i motivi di riflessione.

 

CORAGGIO. Al tema, delicato e controverso, celebrati autori hanno dedicato memorabili capolavori. Fra questi il grande Bergman con " Il settimo sigillo". Nel caso della ragazza inglese condannata dal cancro che ha scelto di farsi ibernare per rivendicare il suo diritto alla vita in un futuro senza tempo, non avrebbe comunque senso lambiccarsi in congetture filosofiche. D'altronde chi siamo noi per giudicare. Molto più semplicemente, con quel suo gesto che tanto ha fatto discutere, la giovane ha voluto portare via con sé un brandello di speranza, sorretta dall'ingenua convinzione di avere ancora in serbo un'ultima mossa, la mossa che non esiste, per dare scacco matto al mistero insondabile della morte. Aggrappandosi così, prima di chiudere gli occhi, all'illusione di risvegliarsi guarita in un mondo inesplorato. Nel suo cammino oltre i bastioni dell'ignoto, salutiamola con una carezza, perché, come canta Fabrizio de André, per morire a quell'età, ci vuole tanto, tanto coraggio.
 

   

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

    

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Camusso: le ragioni

per votare No

 

Il clima da “invasione delle cavallette”, spiega il segretario generale Cgil, è stato montato ad arte per creare scenari negativi e irreali

 

“Passiamo le giornate a sentirci dire che se non cambia la Costituzione non ci sarà stabilità. Mi pare invece che ci sarebbe una totale stabilità degli organismi di governo anche in caso contrario, da questo punto di vista siamo assolutamente tranquilli. Secondo Confindustria bisogna votare Sì per garantire la governabilità altrimenti arriva la recessione? Devo dire che la fantascienza non ha limiti”. Così il segretario generale della Cgil Susanna Camusso durante un'iniziativa a Bari (qui il podcast su RadioArticolo1) ha esordito nel suo intervento per spiegare i motivi che spingono la confederazione di corso d'Italia a schierarsi per il No.

 

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Nella nuova versione non sarà più il Parlamento a decidere tempi e modi delle leggi, bensì l'esecutivo che, in qualunque momento, potrà imporre la propria agenda. “Torniamo un attimo all'articolo iniziale della nostra Costituzione secondo cui siamo una Repubblica Parlamentare – ha spiegato la dirigente sindacale –, qui c'è la garanzia della democrazia. Con la riforma, invece, aumenteranno i poteri del presidente del Consiglio”. In altre parole, “il governo potrà utilizzare il Parlamento, un cambiamento da poco. Con tale modalità, con quella dell'Italia che stava per precipitare nel baratro, si è fatta la riforma Fornero. Un altro esempio? Quanto tempo ci si è messo per fare la legge sul Jobs Act e quanto per quella sul caporalato?

 

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Da Avanti! online

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Stiglitz: L'economia è un

mezzo non un fine in sé

 

di Gianfranco Sabattini

 

Joseph Stiglitz, economista premio Nobel e saggista di fama internazionale, nel piccolo saggio “Un’economia per l’uomo”, scritto in occasione di un suo intervento alla XVIII sessione dell’Accademia Pontificia per le Scienze Sociali, con all’ordine del giorno la discussione sul tema della “Pacem in Terris“, l’enciclica promulgata l’11 aprile del 1963 da Papa Giovanni XXIII, tratta di “alcune importanti questioni etiche nel contesto del comportamento economico”. Tali questioni sono sollevate, a parere di Stiglitz, dalla necessità “di creare armonia fra uomo e uomo e fra natura e uomo”, considerando l’economia come un mezzo orientato a soddisfare le esigenze esistenziali dell’uomo e non un fine in sé; nel convincimento, cioè, che l’uomo non esista per “servire l’economia”, ma al contrario sia l’economia al servizio della crescita e dello sviluppo dell’uomo. (…)

   

Riguardo alle banche, Stiglitz afferma che sono ormai molto ampie le prove del fatto che esse si sono approfittate dei gruppi sociali meno informati e meno accorti, al solo scopo di massimizzare i propri profitti; a rendere più severo il giudizio sul loro comportamento sta anche la circostanza che, quando sono loro “esplosi in mano gli ordigni che loro stesse avevano creato, il governo è intervenuto a salvarle, lasciando invece coloro che erano stati vittime in balia di se stessi”. In conseguenza di ciò, le banche, che avrebbero dovuto avere l’accortezza di gestire i rischi attraverso l’offerta di “prodotti finanziari adeguati”, in sottoscrizione ai risparmiatori, hanno invece “tradito la fiducia” loro accordata. (…)

 

L’obiettivo dell’armonia nelle relazioni intersoggettive può diventare un obiettivo realmente conseguibile nelle società moderne, non solo nella difesa dei diritti civili e politici, ma anche di quelli economici, così come sancisce la Dichiarazione Universale dei diritti Umani, redatta dopo la seconda guerra mondiale; ciò potrà accadere soltanto se le società civili nei Paesi democratici riusciranno a svolgere un ruolo più efficace di quanto non sia stato sinora, nella difesa del benessere collettivo, inteso come bene pubblico.

 

 

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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

      

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Kennedy, ricordo (rimpianto)

di un mondo di giganti

 

“E io vi dico che la nuova frontiera è qui, che noi la cerchiamo oppure no. Al di là si trovano i territori inesplorati della scienza e dello spazio, i problemi irrisolti della pace e della guerra, le sacche non debellate dell’ignoranza e del pregiudizio, le questioni irrisolte della povertà e della sovrapproduzione. Sarebbe più facile ritirarsi da quella frontiera, per guardare alla sicura mediocrità del passato, per cullarci nelle buone intenzioni e nella retorica delle belle parole, e chi preferisce quella strada non dovrebbe votare per me, qualunque sia il suo partito politico”. Il 22 novembre del 1963, cinquantatré anni fa, John Fitzgerald Kennedy veniva assassinato a Dallas. Ma l’esercizio del ricordo a volte aiuta a calcolare la distanza percorsa, marciando in avanti oppure a ritroso.

 

di Antonio Maglie

 

La storia con le sue a volte incomprensibili evoluzioni, costruisce trame che nemmeno il più abile sceneggiatore di serial televisive riuscirebbe a scrivere. Negli stessi giorni in cui l’America fu chiamata ad assistere alla “cancellazione di una presidenza”, adesso segue, in taluni casi con evidente apprensione, le evoluzioni di un altro presidente che preparandosi a fare il suo ingresso trionfale alla Casa Bianca, si sta dedicando alla costruzione di una squadra di governo con una selezione più simile a una puntata di Apprentice (i vecchi amori non si scordano mai) che a una valutazione politica delle caselle da occupare partendo dalla consapevolezza che in ogni caso gli Stati Uniti sono costretti a vivere in questo mondo e ad esserne (cosa peraltro continuamente rivendicata con parole e opere) un Paese-guida (più o meno accettato, più o meno apprezzato).

    I discorsi di Kennedy fecero storia. D’altro canto glieli scriveva uno storico, Arthur Schlesinger Jr, ispirandosi a un italiano, Gaetano Salvemini. E la forza evocativa della Frontiera richiamava in qualche maniera la grandezza dell’uomo, il suo desiderio di andare oltre i confini, di misurarsi con nuove esperienze, di uscire dal recinto di ciò che è comodo ma scontato per provare a misurarsi con le scomodità del nuovo. Erano parole potenti ma non isolate perché, poi, dall’altra parte dell’Oceano, in Vaticano, c’era un altro uomo, arrivato quasi per caso al soglio di San Pietro, Giovanni XXIII, troppo superficialmente definito il “Papa Buono” (al Sud la qualifica di buono spesso è sinonimo di inconsistente e circola un adagio che dice: al buon uomo non è mai stato fatto un monumento). In realtà fu un Papa Grande che con una scelta straordinariamente ardimentosa, cioè con il Concilio, provò a spostare qualche secolo più avanti un monolite, la Chiesa, fermo sulle abitudini di molti secoli indietro.

    Ma, volendo, a questo quadro di leader potremmo aggiungere, in Italia, Aldo Moro e Pietro Nenni che provarono a spostare, come Giovanni XXIII, più avanti l’orologio della storia del Paese che si era fermato al centrismo e, conseguentemente alla crisi del centrismo; o, nell’Unione Sovietica a Kruscev che provava a riformare un sistema che ancora non aveva fatto i conti con lo stalinismo e la burocrazia. Era, quello, un mondo in marcia, animato da un fortissimo bisogno di cambiamenti, di trasformazioni, anche nell’arte, nella musica, nella letteratura. Un mondo che voleva vivere regalandosi ogni giorno un momento di stupore. Diciamolo chiaramente: un mondo di giganti. Oggi ti guardi attorno e vedi Trump e i suoi discorsi in cui la Nuova Frontiera si trasforma nel Vecchio Condominio. In Russia c’è Putin al quale diamo persino l’occasione di fornirci delle lezioni di democrazia. E dell’Italia è meglio non parlare perché le scene e le parole che accompagnano questi giorni di campagna elettorale non ci regalano immagini di grandezza. In questo oceano di mediocrità, emerge solo la figura di Papa Francesco, troppo isolata (vox clamantis in deserto) per poter scuotere un pianeta troppo impegnato ad ammirare “la sicura mediocrità del passato”, a cullarsi “nelle buone intenzioni e nella retorica delle belle parole”. Anzi, in molti casi sono solo retoriche e per nulla belle.

       

                   

LETTERA

 

LA LETTERA DI D’ALEMA

 

Un commento da Milano alla "Lettera agli Italiani all'estero"

apparsa sull'ultimo numero de L'Avvenire dei Lavoratori.

 

L’ex onorevole Massimo D’Alema ha scritto una lettera agli Italiani all’estero invitandoli a votare NO al referendum costituzionale per i seguenti motivi:

- perché la riforma del Governo Renzi li costringerà alla rinuncia dei sei rappresentanti in Senato;

- perché il nuovo Senato rappresenterà quelle “autonomie territoriali – Regioni e Comuni”, con le quali essi mantengono “molti rapporti culturali, affettivi e persino materiali”;

- perché la nuova legge elettorale “Italicum” li escluderà sia dal con­teggio dei voti che determinano il premio di maggioranza, sia dal ballottaggio;

- perché la riforma del Governo Renzi “confinerà gli Italiani nel mondo in un ambito di esclusiva testimonianza”.

    A una prima e superficiale lettura, la lettera di D’Alema appare ben motivata. Ma, ad esaminarla con maggiore attenzione, essa induce a necessarie considerazioni.

    Citando l’Italicum (la legge elettorale votata dal Parlamento, non ancora in vigore e tuttora in fase di modifica/revisione), D’Alema omette di ricordare che – proprio grazie a quella legge, introdotta dal Governo Renzi, e per la prima volta nella nostra storia – “anche i cittadini italiani temporaneamente all’estero per un periodo di almeno tre mesi (per motivi di lavoro, studio o cure mediche), possono chiedere al proprio Comune di votare all’estero per corrispondenza”.

    Circa il voto degli Italiani residenti all’estero, occorre poi sottolineare che la nostra Costituzione Repubblicana non lo aveva previsto. La Legge da cui è esso stato introdotto (la n. 459/2001, seguita dal Regolamento attuativo del DPR n. 104/2003) fu approvata da un Governo dell’Ulivo su sollecitazione demagogica di un Parlamentare della Destra Nazionale. E già allora suscitò varie e valide perplessità.

    Le maggiori di tali perplessità (presenti anche nel dibattito dei nostri giorni) facevano e fanno riferimento al fatto che milioni di Italiani, presenti da una o più generazioni in tutti i Paesi esteri del pianeta, non vivono più in Italia, non ne conoscono la quotidianità e le dinamiche, non pagano le tasse da noi e spesso non parlano più neppure la nostra lingua. Se ne può dedurre che consentire loro di avere solo una rappresentanza politica di 12 Deputati alla Camera sia una scelta assolutamente giusta ed equilibrata.

    I sei Senatori “esteri” di prima, obiettivamente, non hanno più ragione di essere. Oltre che per motivi di risparmio della spesa pubblica, anche per il fatto che il nuovo Senato rappresenterà gli ambiti territoriali regionali “italiani” (cioè del territorio nazionale).

    Gli Italiani residenti all’estero hanno già proprie rappresentanze politiche, quelle elette nei “Comites” (i Comitati degli Italiani all’estero). Attraverso questi, essi possono farsi ben rappresentare dai loro 12 eletti nella nostra Camera dei Deputati (i quali, va sottolineato, sono scelti democraticamente, con suffragio universale estero, attraverso il legittimo controllo dei Consolati Generali d’Italia).

    Circa, infine, i rapporti di cui parla D’Alema (“rapporti culturali, affettivi e persino materiali”, che i nostri connazionali all’estero continuano ad avere con l’Italia: “internazionalizzazione delle piccole e medie imprese”, “tassazione locale sui beni immobili”, “interscambi culturali”, “promozione turistica”, “associazionismo regionale”), essi sono già adeguatamente regolati.

    In Italia, dalla Pubblica Amministrazione. In tutti gli altri Paesi del mondo, dalle nostre Ambasciate e dai Consolati italiani.

 

Prof.  Vincenzo Cutolo, Associazione EducaCi, Milano

 

 

Non discutiamo le libere opinioni che il Pro­f. Cutolo ha chiesto di ma­ni­fe­stare sull’ADL. Ma resta il fatto che – diversamente da quanto egli asseri­sce circa la legge elettorale "votata dal Parlamento, non ancora in vi­gore e tuttora in fase di modifi­ca/re­vi­sio­ne" l'Italicum è entrato uf­fi­cial­mente in vigore il 23 maggio del 2015 (vai alla vo­ce su Wiki­pe­dia). Forse il Professore in­ten­deva dire che questa legge non è stata “ap­pli­ca­ta”, non es­sendosi ancora celebrate elezioni politiche. Una leg­ge fino­ra mai applicata, ma che tutti vogliono già cambiare, in­clusi Ren­zi e Berlusconi i quali la misero al mondo nel famoso Patto del Na­za­reno (vai alla voce su Wikipedia). Era il 18 gennaio 2014: tre giorni do­po la sentenza con cui la Corte costituzionale aveva abrogato il Por­cellum (vai alla voce su Wikipedia). – La red dell’ADL

        

    

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

 

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