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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894

Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 17 marzo 2016

  

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IPSE DIXIT

 

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Manoscritto di William Shakespeare da cui sono

tratte le parole dell’Ipse dixit di questa settimana.

 

D'indole così barbara - «Vi piacerebbe allora trovare una nazione d'indole così barbara che, in un'esplosione di violenza e di odio, non vi concedesse un posto sulla terra, affilasse i suoi detestabili coltelli contro le vostre gole, vi scacciasse come cani? (…) Che ne pensereste di essere trattati così? Questo è ciò che provano gli stranieri. Questa è la vostra disumanità». – William Shakespeare

 

   

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    L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

    

    

EDITORIALE

 

S’aggira per l’Europa uno spettro,

rosa come il principe azzurro

 

Molte delle giovani ragazze ammazzate da Breivik nel 2011 sull’isoletta di Utøya erano ai loro primi sogni d'amore romantico. Ma avevano già imparato a diffidare da cose tipo il "principe azzurro", uno che pos­siede troppe qualità e troppo straordinarie per essere vero...

 

di Andrea Ermano

 

Il 22 luglio di cinque anni fa un signore di nome Breivik, se­di­cente capo del Partito nazista norvegese, uccise 77 persone tra cui 69 giovani socialisti che avevano l'unica colpa di essersi riuniti sul­l'i­soletta di Utøya per svolgervi la festa della loro organizzazione: «Oggi morirete», gli diceva mentre li ammazzava uno dopo l’altro, e il più giovane aveva 14 anni.

    Al sopraggiungere (tardivo) della polizia lo stragista depose le armi, alzò le mani, si arrese ordinatamente, si fece arrestare, fu processato e condannato a 21 anni di galera.

    Ora questo signore – che vive in tre stanze con tv e toilette separata – fa causa allo stato norvegese ritenendo che siano stati violati i suoi diritti umani a causa dell'isolamento carcerario cui viene (parzial­men­te) sottoposto. Il controllo della posta e i colloqui da dietro un vetro vengono da lui paragonati al "waterboarding", una tecnica di tortura in uso durante l’Amministrazione Bush jr.

    È paradossale che con tutti i problemi realmente esistenti nei sistemi carcerari europei (quello italiano in testa) un tribunale norvegese debba occuparsi proprio dell’orrendo stragista.

 

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L’entrata in aula di Breivik martedì scorso

 

In realtà, Breivik continua a rappresentare un alto potenziale di pericolo per la società, come certificano le perizie psichiatriche che lo riguardano. E la gente di Norvegia lo odia profondamente. Quando costui passa accanto alle celle degli altri dete­nu­ti per accedere alla zona telefoni del penitenziario dove fino a qual­che tempo fa intratteneva lunghe conversazioni con una sua “amica”, gli altri detenuti lo bersagliano d’insulti e minacce.

    Lo scorso anno un recluso riuscì a eludere il sistema di sicurezza penetrando fin dentro al settore di reclusione riservato allo stragista di Oslo. Giunto sino al punto in cui li divideva solo una porta, la porta della cella, il detenuto urlò a Breivik:

- "Ecco, se non ci fosse questa porta io adesso ti ammazzerei!"

- "E perché?", domandò Breivik.

- "Perché hai assassinato tutti quei ragazzini", gli rispose l'altro.

- "Io amo il mio Paese!", gli gridò dietro il nazista mentre i secondini già trascinavano via l'intruso.

 

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Non poche delle ragazzine ammazzate da Breivik erano ai loro primi amori intessuti di sogni. Ma probabilmente già diffidavano di quella tendenza dell'animo che porta a desiderare il "principe azzurro", cioè una persona talmente ricca di bellissime qualità da non poter in alcun modo esistere se non nella forma incantata di un'astrazione. È dav­ve­ro terribile che sia loro capitato in sorte, invece, un "principe nero" così in­cre­dibilmente dedito al male da sembrare anch'egli a sua volta un'a­stra­zione, seppure in senso inverso.

    Breivik – figlio di un diplomatico – aveva organizzato ac­cu­ra­ta­mente quella strage con tanto di fucile d’assalto e pistole automatiche. Ac­coppò con fredda brutalità quei giovani inermi, a lui sconosciuti, e a suo dire fece questo allo scopo di mettere in guardia la Norvegia e l'Occidente dalla de­ge­ne­ra­zio­ne socialdemocratica dell'accoglienza e del pluralismo culturale “che imbastardisce le nostre civiltà”.

    Forse non è del tutto inutile ribadire che le nostre civiltà sono state grandi e stabili quando hanno saputo produrre forme statuali inclusive e pluralistiche, mentre il “Reich millenario” è collassato dopo solo dodici anni di caos e furore.

    Dopo la strage, il Governo socialista norvegese garantì un giusto pro­cesso all'assassino. Qualche mese più in là i socialisti perdettero le elezioni, forse anche a causa della paura vigliacca ma umanamente comprensibile diffusasi dopo l'attentato.

    Al momento i socialisti nor­ve­gesi conducono la loro civile battaglia d'opposizione. Prima o poi è verosimile che torneranno al governo.

    È difficile trovare oggi un esempio più alto di moralità politica e di compostezza umana.

    Dopo Utøya c’è uno “spettro rosa” che s’aggira per l’Europa. È lo spettro di quei giovani martiri delle loro idee, idee che non muoiono. Ma tutto questo non fa notizia. Nel­l'im­ma­gi­nario mass-mediatico continentale come nei percorsi mentali degli "opinion-leaders" i socialisti vanno squalificati, sistematicamente. I giornalisti ne parlano solo quando c'è da eccepire.

    Un esempio di ciò l'abbiamo voluto esporre noi stessi la scorsa set­timana riportando alcune osservazioni di un giornalista del Cor­rie­re della Sera, Goffredo Buccini, il quale si è divertito a mettere in luce le contraddizioni (reali) in cui sono incorsi il premier svedese e quello austriaco sul tema dell’immigrazione.

    «Ancora a settembre, Stefan Löfven, premier socialdemocratico della tollerante Svezia (prima in Europa per numero di rifugiati), ave­va bacchettato l’ultradestra di casa sua: “Noi accogliamo chi fugge dal­le guerre! Il nostro Paese non costruisce muri, apre porte!”. Poche set­timane (e ottantamila profughi) dopo, alla vigilia della chiusura del ponte di Öresund, ha dovuto spiegare in lacrime agli svedesi esa­sperati ciò che loro già temevano: “Non ce la facciamo più, dobbiamo ri­mettere i controlli alle frontiere”. / Lo scorso ottobre Werner Fay­mann, cancelliere socialdemocratico austriaco, visitando due campi di rifu­giati in Grecia, commosse Tsipras… e attaccò Viktor Orbàn, il pre­mier ungherese xenofobo sospettato di derive fascistoi­di… A fine gennaio ha rotto con la Merkel (troppo buonista) e messo in cantina Schengen, vagheggiando il “muro del Brennero”. Ieri, al vertice di Bruxel­les… Faymann s’è trovato accanto a Orbàn in un asse “neoa­sbur­gico”, anzi, schiacciato sotto di lui, nell’invocare “la chiusura di tutte le rotte, anche quella balcanica”».

    Tutto giusto, per carità, ma le cose dette sui due premier socialisti si potrebbero a ben maggior ragione ripetere di quasi tutti gli esponenti delle altre famiglie politiche europee. Senza contare che in campo socialdemocratico prevalgono le politiche di apertura e accoglienza, ma anche di esse non si parla. E senza contare, soprattutto, che l’on­data d’isteria collettiva a sfondo xenofobo viene massicciamente ali­men­tata da quegli stessi media che poi si ergono a censori della po­li­ti­ca, di qualunque politica, soprattutto se socialista.

    Da al­meno due decenni è esattamente di questo che si tratta: destrutturare la politica e lo stato, in quanto tali, per lasciare mano libe­ra agli animal spirits del danaro che “lavora”(!), ma non suda. E non puzza mai.

 

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Borghezio (Lega): "Molte idee di Breivik sono buone.

Colpa degli immigrati se poi sono sfociate nella violenza".

 

La crescita della Allianz für Deutschland alle recenti elezioni regio­na­li tedesche evidenzia l’intensità con cui i trend quando non le consapevoli strategie di propaganda mediatica con­tinuano a tirar la volata alle destre populiste. Certo, una residua attenzione vie­ne ancora riservata, tanto per far scena, ad Angela Merkel cui vanno ipocriti tributi per la “fermezza della statista”. Dimenticando per lo più che dietro alla Cancelliera c'è pur sempre un'alleanza di centro-sinistra sorretta dalla SPD. Ed è appunto questa formula del centro-sinistra, questa grande coalizione tra socialisti e popolari – nella quale l'Europa potreb­be ancora riparare ravvedendosi ed evitando il peggio – ciò che i grandi strateghi della con­ser­va­zio­ne da un ventennio combattono in tutti i modi.

    Il problema sta qui nel tratto "sociale" che le politiche di centro-sinistra indispensabilmente contengono: un intervento di regolazione statale in materia economica. O bestemmia! O sacrilegio!

    L’establish­ment non vuol certo vedere turbato il mega-trasfe­ri­men­to di ricchezza dal basso all’alto proprio mentre l'idrovora anarco-ca­pi­talista sta girando a mille: speculazioni, armi, droga, schiavi, guerre e mille mercati illegali... Mai gli affari sono andati così bene, per lor signori.

 

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Utøya, 29 luglio 2011

       

           

SPIGOLATURE 

 

Prima che sia troppo tardi

 

di Renzo Balmelli 

 

SVOLTA. Di loro non si può nemmeno dire che siano usciti dai sepolcri imbiancati. Poco piacevoli da vedere infatti lo sono in tutti modi, sia all'interno, sia all'esterno. Sgradevoli per ciò che rappresentano, per ciò che predicano, per il loro linguaggio carico di livore. La loro irruzione sulla scena politica tedesca, l'irruzione della destra radicale, non manca quindi di sollevare grosse preoccupazioni. Nei tre Länder in cui si è affermata con esiti vistosi, l'Alternative für Deutschland (AfD) si è fatta portatrice di un messaggio dai toni revanscisti. "E' solo l'inizio. I tedeschi hanno ripreso il loro destino. Basta coi sensi di colpa", sono slogan lugubri, reminiscenze del passato declinato facendo leva sulla paura, mentre si pensava che la Repubblica federale fosse immune dal vento populista, anti immigrati e anti europeo. Una svolta da prendere terribilmente sul serio, in quanto espressioni di timori e opinioni reali da indagare a fondo prima che sia troppo tardi.

 

CRUNA. Sul problema dei migranti, all'origine del ribaltone nel panorama elettorale a nord del Reno, Angela Merkel non sembra intenzionata a cambiare opinione. Secondo la  Frankfurter Allgemeine Zeitung è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago. La determinazione della Cancelliera, per quanto lodevole, deve tuttavia fare i conti con l'ondata dei nuovi leader populisti europei che guadagnano terreno a buon mercato vendendo messaggi falsi ma tali da suonare plausibili. Attraverso quel martellamento, si dimenticano gli errori del Novecento, un secolo molto lontano eppure così vicino, si erigono nuove barriere, si butta al macero l'accoglienza e i fantasmi della storia spingono per risbucare dagli armadi. L'allarme è più attuale che mai in vista soprattutto dei voti politici che in vari Paesi arriveranno presto a scadenza e potrebbero riservare amarissime sorprese in una Europa frastagliata e scossa dai sussulti nazionalisti.

 

AUSTERITÀ. Per affrontare la sfida con la torbida miscela ideologica smerciata dai vari fronti, da quello di Marine Le Pen al leghista Salvini, ora deve tornare il sereno sull'UE. Facile a dirsi, un po' meno a farsi. Occorrerebbe infatti una visione condivisa sul concetto di rigore e delle sue varie modalità di applicazione che sono all'origine dei mugugni nei Paesi che ne hanno fatto l'esperienza. Nell'ottica di sinistra prevale l'opinione che l'austerità disgiunta da una vera politica degli investimenti e dell'occupazione sia inconcludente e per finire abbia provocato soltanto disaffezione nei cittadini, rimpolpando così la destra xenofoba e razzista. Ritrovare il sereno non rientra nel novero delle missioni impossibili, ci mancherebbe, ma a patto di rispettare un pacchetto di impegni sociali a favore dei lavoratori e di una politica dell'asilo degna di questo nome. Se tutto questo c'è, la cooperazione non può che uscirne rafforzata.

 

PERLE. "Quello che dovreste sapere e che la classe politica dei miliardari non vorrebbe mai che sapeste". Alla fine della lunga, estenuante battaglia delle primarie, ciò che resterà scolpito nella memoria sono le perle di saggezza di Bernie Sanders, giocate sul filo dell'ironia come un vecchio film di Woody Allen. Alla luce del super mercoledì, copia quasi identica del super martedì, su cui svettano Hillary Clinton e Donald Trump, sembra infatti improbabile che il socialista del Vermont riesca a impensierire l'ex first lady. Mentre sta scattando tra i democratici l'effetto anti-Trump, d'ora in poi compito di Sanders sarà ora quello di condurre una campagna di testimonianza a sostegno del voto utile, affinché l'America abbia un Presidente che ne incarni i valori anziché uno che la metta in imbarazzo davanti al mondo intero. Uno che quei valori altro non fa che calpestarli.

 

SPICCIOLI. A proposito di miliardari, un certo Paperon de Paperoni, il ricchissimo spilorcio uscito dalla fantasia di Walt Disney, in un fumetto di alcuni anni fa gettò alle ortiche la sua proverbiale avarizia per finanziare gli studi al conservatorio di un giovane violinista che grazie alla sua musica gli aveva toccato il cuore. Nel mondo reale le cose vanno un pochino diversamente. Due solisti di grande fama, uno a Milano, l'altro a Washington, che per fare un esperimento si erano trasformati in musicisti di strada, hanno racimolato pochi spiccioli, qualche euro in Lombardia, alcuni dollari nella capitale americana. Eppure, in entrambi i casi, i pezzi suonati sull'improvvisato palcoscenico delle stazioni, era di altissima qualità. Ma pochi hanno prestato orecchio a quelle note sublimi. Sui motivi dell'insuccesso si può discettare a lungo, ma se temi ogni giorno di perdere il posto di lavoro si può capire che la gente sia distratta e non colga la magia di Bach.

    

        

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

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(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

    

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Lavoro: crollano i rapporti

a tempo indeterminato

 

A gennaio 2016, primo mese di sgravi ridotti per le imprese che assumono, l'Inps rileva una brusca frenata delle nuove attivazioni di contratti stabili (-39%). Continua invece la corsa dei voucher, che aumentano del 36,4%

 

di Fabrizio Ricci

 

La luna di miele sembra già finita. I dati sugli avviamenti dell’Osservatorio sul Precariato diffusi oggi dall’Inps descrivono, per gennaio 2016, primo mese di decontribuzione ridotta per le imprese che assumono (dagli 8mila euro del 2015 a poco più di 3mila euro), un vero e proprio crollo dei contratti a tempo indeterminato. Se ne sono attivati 70mila in meno rispetto a gennaio 2015, un calo del 39%. Ma anche 50mila in meno rispetto a gennaio 2014 (quando gli incentivi non c’erano).

    Una frenata era scontata e prevista, di queste proporzioni forse no. Il crollo è ben rappresentato da un grafico riportato nel rapporto Inps che descrive la curva di incidenza dei nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato attivati sul totale delle attivazioni. A dicembre 2015 c’è stato un picco al 66,4%, valore quasi dimezzato a gennaio (34,3%).

 

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ECONOMIA

 

Stato e mercato:

una contrapposizione

non obbligata

 

Il liberismo economico, l’ultima ideologia, invita a lasciare che sia solo il mercato a rilanciare la ripresa. Noi riteniamo che questa non sia la strada obbligata. Occorre un ‘different thinking’.

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

La Banca Centrale Europea ha deciso di rilanciare alla grande il suo Quantitative easing nella speranza di far crescere l’inflazione al 2% e di far aumentare investimenti e crescita. Ha portato i tassi d'interesse a meno 0,4% per i depositi effettuati dalle banche presso la Bce. L’intento è quello di dissuaderle dal ‘parcheggiare i soldi’ nei forzieri di Francoforte invece di indirizzarli verso l’economia reale.

    Draghi ha annunciato anche nuovi crediti alle banche al tasso di meno 0,4%. per la durata di 4 anni In altre parole esse restituiranno meno di quanto hanno ottenuto. Si vuole portare inoltre da 60 a 80 miliardi di euro al mese l’ammontare per acquisti di obbligazioni pubbliche e private, suscitando in verità critiche per l’estensione ai bond societari.

    Di fatto s'intende continuare con la politica fallimentare finora attuata. Se ne aumenta le dimensioni e si continua a considerare il sistema bancario l’unico referente, ignorando che esso è più interessato a coprire i propri buchi di bilancio che a sostenere investimenti e imprese. I dati e i fatti degli anni passati sono rivelatori e inconfutabili. Nel nostro caso non si tratta di un’opposizione preconcetta. Ideologica semmai è la fede cieca negli automatismi monetari e finanziari. Si sostiene che i tassi d'interesse bassi e una liquidità crescente andrebbero automaticamente a finanziare gli investimenti.

    E’ lo stesso atteggiamento ideologico imposto dalle economie dominanti del G20, quella americana, quella europea e quella giapponese. A Shanghai è stata presa la decisione di fare crescere gli interventi nelle infrastrutture sia in termini quantitativi che qualitativi. Le Banche di Sviluppo regionali sono state perciò invitate a preparare progetti ambiziosi e di alta qualità anche per attrarre settori della finanza privata verso la concessione di prestiti di lungo termine. Al prossimo summit del G20 allo scopo dovrebbe essere creata una "alleanza globale di collegamento infrastrutturale".

    Gli intenti ci sembrano positivi anche se preoccupa la mancanza di attori capaci di realizzarli. Le banche centrali creano liquidità e si aspettano che “il mercato” la porti verso gli investimenti. Il G20 propone lo sviluppo infrastrutturale ma si aspetta che sia sempre “il mercato” a finanziarlo. Cosa succede se il ‘dio mercato’ non funziona secondo le aspettative, come è successo negli anni passati?

    Il liberismo economico, l’ultima ideologia ottocentesca rimasta in vita, e purtroppo tuttora egemone, invita a non intervenire, a lasciare che sia solo il mercato con le sue leggi a rilanciare la ripresa e a ristabilire un equilibrio virtuoso. Noi riteniamo che questa non sia la strada obbligata. Occorre un ‘different thinking’.

    Gli esempi storici più vicini e simili a quelli dell’attuale crisi globale ci indicano strade e prospettive differenti e alternative.

    Si pensi al New Deal del presidente americano F. D. Roosevelt quando, per uscire dalla Grande Depressione del 1929-33, lanciò il vasto programma di investimenti infrastrutturali e di modernizzazione tecnologica. Dopo avere messo sotto controllo e neutralizzato la finanza speculativa, egli favorì la creazione di nuove linee di credito e nuovi bond del Tesoro per finanziare importanti progetti, utilizzando anche il veicolo delle istituzioni bancarie statali. Di fatto si trattava di uno dei primi esperimenti riusciti di Partenariato Pubblico-Privato. Lo Stato era la guida, il finanziatore e la garanzia della continuità e della riuscita dei progetti mentre le imprese private, non solo quelle statali, erano impegnate nella loro realizzazione.

    Oggi invece, nonostante quasi 8 anni di vani tentativi per portare l’economia e la finanza globale fuori dalle sabbie mobili della recessione, la parola Stato resta uno dei grandi tabù. Non si tratta di proporre un ritorno allo statalismo pervasivo ma di trovare soluzioni razionali. Se il mercato da solo non basta occorre che la politica di sviluppo e di crescita sia guidata dagli Stati. Del resto la programmazione economica e la pianificazione territoriale spettano allo Stato.

    Nel mondo non c’è stata soltanto la pianificazione quinquennale dei Paesi comunisti, ma anche la ‘planification indicative’ di Charles De Gaulle e in Italia l’esperimento positivo dell’IRI nella ricostruzione del dopoguerra. In Francia l’economia dirigista, il piano di orientamento in lotta contro le inevitabili tendenze alla burocratizzazione, cercava di mettere insieme le varie componenti sociali ed economiche del Paese evitando che esse si neutralizzassero tra loro. Il Commissariat au Plan doveva definire le priorità nazionali e, attraverso i momenti della concertazione, della decisione e della realizzazione, lavorare per creare un’armonia di interessi superando certe derive corporative.

    Si pensi che negli stessi Stati Uniti, patria del liberismo economico imperante, certi settori delicati, come quello militare, sono ancora guidati dallo Stato ma con il contributo essenziale delle imprese private ad alta tecnologia.

    In un'economia sociale di mercato la collaborazione pubblico-privato dovrebbe essere una costante, un impegno per i governi e per gli stessi operatori privati.

   

    

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

Siria. I curdi annunciano

la federazione del Kurdistan

 

di Maria Teresa Olivieri

 

Si rimescolano ancora una volta le carte sul tavolo siriano. Questa volta sono i curdi a prendere in mano la situazione e dopo essere stati esclusi dai colloqui di pace di Ginevra hanno annunciato la costituzione della “Federazione del Kurdistan” in Siria durante il congresso organizzato oggi dalla “Società Democratica” (TEV-DEM), movimento curdo-siriano legato al Partito dell’Unione Democratica (PYD), che è il braccio politico delle Unità di Difesa del Popolo (YPG).Il Congresso di terrà nella provincia siriana di Hasaka e ha riunito circa 200 rappresentanti del PYD e dei suoi alleati di diversi gruppi etnici e religiosi, ha riferito l’agenzia di stampa curda Hawar. La federazione dovrebbe sostituire i tre ‘cantoni’ in cui ora sono divisi: quelli di Jazira, Kobane e Afrin.

 

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Da l’Unità online

http://www.unita.tv/

 

Brasile, Dilma nomina Lula

capo di gabinetto e lo salva

 

Ora l’immunità ministeriale protegge Lula dai processi

penali in cui è coinvolto. Notte di protesta a Brasilia.

 

Migliaia di brasiliani sono scesi in piazza nella serata di mercoledì per protestare contro la nomina dell’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, indagato per corruzione e riciclaggio, a capo di gabinetto dell’attuale capo di stato Dilma Rousseff.

    Le manifestazioni di Brasilia sono iniziate, in particolare, dopo la pubblicazione delle intercettazioni di una chiamata tra Lula e Rousseff in cui quest’ultima lo informa che gli invierà il decreto della sua nomina per poterlo usare “se necessario”. La folla si è raccolta soprattutto attorno al palazzo del Planalto, la sede della presidenza disegnata da Oscar Niemeyer. Fino al tentativo di invadere la rampa di accesso e alla reazione della polizia con lacrimogeni e manganellate. L’intercettazione, registrata ieri mattina stesso dal giudice federale Sergio Moro, che segue lo scandalo Petrobras, rafforza le voci secondo cui la nomina di Lula a capo di gabinetto (un ministero chiave) serva soprattutto a salvarlo da un possibile arresto.

    I membri del governo, infatti, possono essere giudicati soltanto dalla Corte Suprema in Brasile e l’immunità ministeriale adesso protegge Lula dai processi penali in cui è coinvolto ma di cui ha sempre smentito le sue responsabilità. Nella notte proteste si sono svolte anche a San Paolo, secondo un fotografo della Afp. Tutti i manifestanti hanno chiesto a gran voce le dimissioni di Rousseff che è a sua volta alle prese con il possibile impeachment. La presidenza ha risposto alla pubblicazione delle intercettazioni annunciando in una nota che saranno prese “misure amministrative e giudiziarie” per porre rimedio “alla violazione palese della legge e della costituzione commessa dal giudice”.

 

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FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

La politica all’arrabbiata

 

Quello della destra populista e xenofoba

sembrava un lieve venticello...

 

di Antonio Maglie

 

Hillary Clinton, ormai proiettata verso la nomination, dopo il secondo super-martedì, ha galvanizzato i suoi elettori indicando quello che sarà il motivo centrale della battaglia per le presidenziali statunitensi: “L’America è stata resa grande dai valori che oggi Trump calpesta”. Lo scontro non è tra due persone ma tra due culture, tra la politica intesa come strumento per il miglioramento generale della società facendo convivere in maniera non conflittuale interessi diversi, e quella sorta di esercizio muscolare in cui tutto si trasforma in un duello all’ultimo sangue tra noi e gli altri vissuti come usurpatori. Trump, da questo punto di vista, interpreta una linea di pensiero (e di comportamento) che sembra riguardare tutto il vecchio mondo occidentale. Il tratto caratterizzante di questi tempi è la politica della rabbia da cui derivano, come conseguenza inevitabile, i governi rabbiosi.

    La scheda elettorale non sintetizza più una scelta di campo ma si è trasformata in una vera e propria lettera di insulti. L’organizzazione da parte di Beppe Grillo del “Vaffa-day” sembrava, qualche anno fa, la solita trovata provinciale di un Paese che non riusciva proprio ad andare oltre i suoi atavici limiti culturali. Al contrario era l’annuncio di una generale linea di tendenza. Un vero e proprio contagio determinato dal peso della paura e dall’inconsistenza di leadership timorose e tentennanti, abituate a farsi guidare dagli umori rumorosamente travasati nei sondaggi (ora, poi, ci sono anche quelli rapidi via web) e non più in grado, al contrario, di condurci verso un obiettivo, verso un approdo sicuro, con coraggio e lungimiranza, cioè riuscendo a vedere oggi prospettive che noi riusciremo a scorgere soltanto domani.

    La rabbia non ha bisogno di ideologie, né di valori, né di ideali. Vale in sé perché non c’è nulla di più liberatorio di un litigio a un incrocio stradale per una precedenza negata; perché l’insulto per essere lanciato contro un interlocutore non deve basarsi su analisi raffinate e valutazioni approfondite ma solo sull’umore momentaneo peggiorato, semmai, da contingenti motivi di irritazione personale. Certo i politici con i loro comportamenti quasi mai inappuntabili non aiutano. Ma molti li abbiamo votati semmai sull’onda di una precedente rabbia momentanea. Abbiamo voluto una politica senza radicamenti, senza riferimenti però poi ci lamentiamo se tra quelli che abbiamo scelto vi è chi salta, per interesse e tradendo le nostre attese, da un partito all’altro, manco fosse un canguro. E con la nostra rabbia produrremo, inevitabilmente, altri improvvisi (e improvvisati) fenomeni elettorali. Perché un’altra conseguenza della politica all’arrabbiata è proprio questa: il rapido sorgere di personaggi e movimenti. Un anno fa nessuno avrebbe preso sul serio Trump: era solo l’omologo televisivo di Briatore. Oggi compete per la più importante poltrona dell’Occidente democratico. Frauke Petry al di fuori dei confini tedeschi era quasi sconosciuta: qualche giorno fa ha conquistato il 24,2 per cento in Sassonia-Anhalt, il 15,1 nel Baden Wuerttenberg e “appena” il 12,6 in Renania-Palatinato.

    Quello della destra populista e largamente xenofoba solo un paio di anni fa, sembrava un lieve vento occidentale, un ponentino; in pochissimo tempo si è trasformato in un impetuoso maestrale. In Danimarca il Partito del Popolo danese guidato da Kristian Thulesen ha conquistato alle ultime consultazioni nazionali il 21,1 per cento; in Austria il Fpo controlla quaranta seggi in Parlamento a cui si aggiungono gli undici del Team Stronach, altro partito populista fondato dall’ottantenne Frank Stronach, una sorta di Berlusconi in lingua tedesca che ha fatto i soldi in Canada; in Francia Marine Le Pen alle ultime europee ha conquistato il 25 per cento; meglio in Gran Bretagna è andata all’Ukip che ha raccolto il 26,8 dei consensi; in Belgio, invece, all’Alleanza neo-fiamminga è andata un po’ peggio: 16,4; non se la sono cavata male quelli del Partito delle Libertà in Olanda (13,3), i Veri Finlandesi (12,9), i Democratici Svedesi (9,7), i greci di Alba Dorata (9,4). Poi ci sono i governi rabbiosi di Victor Orbàn (Ungheria) e di Jaroslaw Kaczynski (Polonia). Ha ragione Hillary Clinton perché non solo l’America ma anche l’Europa è diventata quella che oggi è grazie ai valori che Trump calpesta impunemente e in “ottima” (si fa per dire) compagnia.

       

   

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

    

ANALISI DEL VOTO

 

LA GERMANIA A DESTRA

MA SENZA ALTERNATIVE

 

Diverse le formule di governo uscente e tutte sconfitte: una Groβe Koalition a guida CDU nella Sassonia-Anhalt e due maggioranze rosso-verdi, nel Baden e nella Renania-Palatinato. Avanza ovunque la destra di “Allianz für Deutschland”. Interessante il risultato dei tre governatori uscenti: la “rossa” Malu Dreyer (SPD) tiene un confortevole 36,2% (+0,5%) nella Renania-Palatinato, trionfo personale del verde Winfried Kretschmann che sale al 30,3% (+6,91%) nel Baden-Württenberg, limita i danni il democristiano Reiner Haseloff che si attesta al 29,8% (-2,7%) nella Sassonia-Anhalt. Sinistra post-comunista a rischio irrilevanza.

 

di Felice Besostri

 

Che cosa emerge risultanti dalle elezioni tedesche in tre Laender tedeschi – Sassonia-Anhalt (SA), Baden-Württemberg (BW) e Renania-Palatinato (RP)? Da queste consultazioni – nelle quali sono coinvolti due Laender occidentali del sud cattolico e un Land orientale ex-DDR – escono due verità incontrovertibili.

    Prima verità: una svolta a destra con la "Allianz für Deutschland" (AfD) che diviene secondo (SA) o terzo Partito (BW e RP) mietendo percentuali dal 12,6% (RP) al 24,2% (SA).

    Seconda verità: la Linke non prende un voto dalle perdite a due cifre della SPD nel BW (-10,4%) e nella SA (-10,9%) e non entra per questo nei due Landtag del BW e della RP, inchiodata rispettivamente al 2,9% e al 2,8% a Ovest, mentre nel Land della ex DDR scende dal 23,7% al 16,3% passando da secondo a terzo partito, superato dalla AfD, che nel BW e nella SA supera anche la SPD.

    Il terremoto politico tedesco è tale perché le formule di governo uscenti sono state battute ovunque. La vicenda delle politiche di accoglienza sta dimostrando che non ci sono vaccini politici o ideologici e che si pongono alla testa della chiusura delle frontiere esponenti di partiti del PPE e del PSE, come il fascistoide ungherese Orban o il socialdemocratico nazionalista slovacco Fico o i polacchi con "dio, patria e famiglia" sulle loro bandiere come "Prawo i Sprawiedliwość" (Diritto e Giustizia).

    Prevalgono risposte emotive e nazionali tanto più esacerbate quanto più le politiche di austerità hanno ridotto il welfare state universale per tutti.

    Finché guerre, carestie, epidemie, repressioni spingono alla disperazione e alla fuga decine di milioni di persone (nulla rispetto a quando verrà la volta delle migrazioni climatiche) si crea un flusso di migranti e profughi inarrestabile. Sono problemi che nessuna dimensione nazionale è in grado di affrontare senza mettere in forse la tenuta delle istituzioni democratiche.

    Tuttavia, i successi sia pure episodici e controcorrente mietuti in due Laender da Socialdemocratici e Verdi, che dal Governo e dall’opposizione hanno appoggiato la politica di apertura della Merkel sui profughi, stanno ad indicare che continua a esistere in Germania un’opinione pubblica vincolata ai valori democratici.

 

 

L’ANALISI DEL VOTO

 

Entrando nel merito dei numeri vediamo che sono state sconfitte nella SA la Grande coalizione CDU-SPD, nel BW e nella RP i governi rosso-verdi, sia pure con il successo spettacolare del Partito del Governatore, i verdi del Ministerpräsident Kretschmann nel BW con il 30,3% e 47 seggi e i socialdemocratici della Ministerpräsidentin Dreyer nella RP con il 36,2% (+0,5%). L’unico Governatore punito è stato Reiner Haseloff della CDU, anche se ha contenuto le perdite ad un -2,4% conservando il primo posto della CDU. Una vittima collaterale, particolarmente significativa, nella Renania palatinato è stata la democristiana Julia Klöckner, che ambiva a sostituire Frau Merkel, con una critica radicale alla sua politica di accoglienza. Ha perso credibilità dopo una campagna elettorale arrogante con la parola d’ordine di far diventare la CDU il primo partito e di sostituire Malu Dreyer alla testa del Land: risultato -3,4%. Alla CDU resta la soddisfazione che la maggioranza rosso-verde non c’è più per il crollo dei Verdi, che perdono i due terzi dei voti dal 15,4% al 5,3% passando da 17 a 6 seggi. Lo storico partito liberale migliora le sue posizioni conquistando complessivamente 24 consiglieri a fronte dei 7 uscenti, resta con incremento di voti e seggi nel Landtag BW con 12 consiglieri l’8,3%, entra nella RP con 7 seggi e il 6,2% e resta fuori in SA con il 4,9 %.

    In Sassonia-Anhalt la maggioranza è di 44 seggi, nella Renania-Palatinato di 51 e nel Baden-Württemberg di 72. Dai dati elettorali in calce si evince che le maggioranze uscenti sono state sconfitte e alleanze con solo 2 partiti sono possibili nella RP con una grande coalizione SPD-CDU (77 seggi) e nel BW con una formula verde-nera (89 seggi). Scompare anche l’unica maggioranza, molto teorica, rosso-rossa nella SA, che contava su 55 seggi su 106.

    La SPD della Renania ha escluso un’alleanza con la CDU, ma cercherà di mettere d’accordo con lei sia i verdi che i liberali, per una maggioranza al pelo di 51 seggi. La stessa formula, che i tedeschi definiscono "semaforo" (dai colori dei partiti SPD rosso, FDP giallo e Verde) può valere per il BW con una più larga maggioranza di 78 seggi su 143. In Germania la formula del Governo centrale non è decisiva per le coalizioni nei Laender. Ci sono state anche maggioranze "Jamaica" (dai colori di quella bandiera: CDU nero, FDP giallo e Verde). Il rebus è la SA a causa di trend concomitanti: il successo della AfD al 24,2%, doppio rispetto al 12,6% della RP, con una Linke terzo partito al 16,3%. In quel Land l’unica maggioranza possibile sarebbe un’inedita coalizione CDU, SPD e GRÜNEN.

    I voti della AfD provengono da molte parti non solo dalla CDU, che in SA ha perso il 2,7%, nella RP il 3,4% e nel BW il 12% , solo in questo Land vi è una relazione stretta con il risultato della AfD (15,1%). Dal 2013 si sono intensificati i rapporti dell’ex socialdemocratico Thilo Sarrazin, un critico dell’immigrazioni, delle politiche sociali e dell’euro. Tranne che in SA è diminuito il voto per altre formazioni, tra cui i "Piraten", ed è diminuita l’astensione in modo significativo: -4,2% in BW, - 8,6% in RP e – 9,9% in SA. In passato formazioni di destra con tratti neonazisti, come la NPD o i "Republikaner", erano riuscite a passare la soglia del 5% ed essere rappresentati nelle assemblee dei Laender, ma mai con le percentuali della AfD, che è una destra molto più pericolosa in quanto più “rispettabile”.

 

   

I DATI ELETTORALI

 

Avvertenza: in Germania non sempre il numero dei seggi è fisso e possono aumentare anche in maniera significativa quando ci sono partiti senza o con pochi mandati diretti, con la necessità di riproporzionalizzare la rappresentanza.

 

Baden-Württemberg

 

GRÜ 30,3% +6,91% seggi 47 (+11)

CDU 27,6% -12%  seggi 42 (-18)

AfD 15,1% +15,1%  seggi 23 (+23)

SPD 12,7% -10,4%  seggi 19 (-16)

FDP 8,3% +03%  seggi 12 (+5)

LIN 2,9% +0,1%

Altri 3,7% -1,9%

 

Renania-Palatinato

 

SPD 36,2% +0,5% seggi 39 (-3)

CDU 31,8% -3,4%  seggi 35 (-6)

AfD 12,6% +12,6%  seggi 14 (+14)

FDP 6,2% +02,0%  seggi 7 (+7)

GRÜ 5,3% -10,1%  seggi 6 (-11)

LIN 2,8% -0,2%

Altri 5,1% -1,4%

 

Sassonia-Anhalt

 

CDU 29,8%  -2,7%  seggi 30 (-12)

AfD 24,2%  +24,2%  seggi 24 (+24)

LIN 16,3% -7,4%  seggi 17 (-12)

SPD 10,6% -10,9%  seggi 11 (-15)

GRÜ 5,2% -01,9%  seggi 5 (-4)

FDP 4,9% +01,1%

Altri 9,0% +2,0%

  

    

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

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