[Diritti] il pesce che mangiamo può essere stato pescato da schiavi



il pesce che mangiamo può essere stato pescato da schiavi



Una nuova denuncia sulla presenza di lavoratori schiavi nell’industria della pesca thailandese è fatta dall’agenzia AP che traccia in una isoletta indonesiana, Benjina, il luogo dove c’è l’incontro tra mercanti di schiavi, schiavi, pescato ed industria thailandese della pesca per rifornire i grandi mercati americani ed europei.

“Questa intricata ragnatela di connessioni separa il pesce che mangiamo dagli uomini che lo prendono, oscurando una importante verità: il pesce che mangiamo può essere stato pescato da schiavi ”
Per lo più si parla di gente che viene dalla Birmania che, dopo aver attraversato la Thailandia, è stata portata in questo angolo indonesiano.
E’ un giro che rifornisce le grandi catene di commercio alimentari come anche i ristoranti costosi.
“In un’indagine durata un anno, l’AP ha intervistato oltre 40 schiavi, attuali ed ex, a Benjina. Ha documentato il viaggio di una singola grande spedizione di pesce colto da schiavi dal villaggio indonesiano e lo ha seguito via satellite fino ad un brutto porto thailandese. All’arrivo giornalisti della AP hanno seguito i camion che hanno caricato e portato il pescato verso decine di impianti e grandi mercati del pesce.”
Il pescato si mischia con altri raccolti nei vari siti in Thailandia molti dei quali inviano negli USA, in Europa e in Asia. L’AP registra solo quelli americani perché il resoconto del traffico è pubblico.
il pesce che mangiamo può essere stato pescato da schiaviIl National Fisheries Institute a nome di oltre 300 imprese americane del pesce, il 75% delle imprese, dice che i propri membri sono turbati da quanto scoperto. “Non dà solo fastidio ma taglia le gambe, perché le nostre imprese hanno tolleranza nulla per gli abusi sul lavoro. Sono cose che fioriscono nell’oscurità”.
L’agenzia AP descrive turni fino a 20 ore di lavoro, dove non c’è neanche l’acqua potabile, dove i lavoratori sono costantemente minacciati, picchiati, presi a calci, e pagati poco o nulla. In tanti sono morti in mare. Dice uno scappato Hlaing Min: “Se europei ed americani mangiano il loro pesce ci dovrebbero ricordare. C’è una montagna di ossa in fondo al mare da poter farne un’isola per quante ce ne sono”.
Nel porticciolo risulta registrata una sola impresa, Pusaka Benjina Resources, nel cui recinto sono state trovate persino le gabbie per gli schiavi. Registrata in Indonesia con più di 90 pescherecci, la compagnia è di proprietà di thailandesi.
Il cargo che AP ha seguito è anch’esso thailandese ed al suo arrivo al porto di Samut Sakhon ha scaricato 150 carichi di pesce che poi vengono inviati alla lavorazione o alla distribuzione per la grande distribuzione americana attraverso intermediari thailandesi.
Nella stragrande maggioranza nessuno vuole rispondere alle domande della AP sul lavoro degli schiavi. Chi lo fa spesso riconosce la difficoltà nel tenere testa a questa pratica nonostante le certificazioni internazionali, i controlli fatti da terze parti. “Ci sono compagnie come la nostra che ci tengono e fanno tutto quanto loro possibile” dice un rappresentante di una impresa americana.
Le grandi imprese commerciali thai hanno un fatturato di miliardi di dollari all’anno rifornendo la grande catena commerciale americana persino nel pesce destinato agli animali o nella catene di negozi. Per la grande impresa miliardaria Thai Union è difficile eliminare gli abusi sul lavoro, come pure non si può dure che la catena di rifornimento thailandese sia pulita al 100%.
Sull’isola di Benjina intanto la disperazione è palpabile. C’è persino un cimitero degli schiavi disperso nella giungla, dove le tombe hanno nomi falsi di schiavi su navi dai falsi nomi. A ricordarli sono solo i loro amici. Ma questo accadde solo dopo che le autorità e le compagnie cominciarono a chiedere il resoconto su ogni persona imbarcata ai capitani delle navi. Prima chi moriva veniva lanciato in mare come alimento per gli squali.
Comincio a pensare che vivrò in Indonesia per sempre. Ricordo che pensavo che la sola cosa che ci attende qui è la morte” dice Hla Phyo.
http://www.irrawaddy.org/burma/are-slaves-from-burma-catching-the-fish-you-buy.html